È la Chiesa in se stessa, come struttura-religione, il vero problema!

sinodo
di don Giorgio De Capitani
Abbiamo creato, prima del Sinodo, una tensione tale da condizionare, direttamente o indirettamente, le scelte dei vescovi in un senso o nell’altro. Per ottenere poi che cosa? Un pugno di mosche!
Più che i tradizionalisti, che, tranne le solite eccezioni, se ne sono stati zitti, pronti comunque a partire in quinta se la Chiesa avesse preso la strada della innovazione “spregiudicata”, sono stati i cosiddetti progressisti, laici e cattolici, che, in nome di chissà quale apertura, hanno inscenato un tale clamore da pensare che stavolta la Chiesa “dei conservatori” sarebbe stata travolta. Ma così non è stato.
Tutti abbiamo sbagliato. Abbiamo posto problemi scottanti, ma “fuori contesto”. O, se vogliamo, abbiamo preteso che i vescovi risolvessero o per lo meno dessero risposte esplicite alle nostre problematiche domande. In parte, è successo così: i vescovi hanno tentato di rispondere, facendosi in parte condizionare dalle nostre pur legittime richieste.
Sembrava che il vero problema di oggi fosse: comunione sì comunione no ai divorziati risposati. Con altre aggiunte, ma secondarie: matrimonio dei gay. Ancor più secondariamente: il celibato dei preti, che però è rimasto nell’agenda dell’anno 3000 circa.
Ciò che vorrei dire è questo. Manca ancora tra la gerarchia il coraggio di mettersi davanti al Vangelo radicale di Cristo, e chiedersi con tutta onestà: la Chiesa, oggi, come rispecchia questo Vangelo?
Qui si pone il problema della coerenza, che secondo me è fondamentale, perché sta qui, in una concezione falsa di coerenza, buona parte della cocciutaggine di una Chiesa tradizionalista, di quella Chiesa cioè che afferma: su certi valori non si può transigere, prendendo per valori ciò che essa ritiene verità assolute. Non sono io ad affermarlo, ma lo stesso Cristo: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13), ma sarà un cammino lungo, che richiederà grande disponibilità d’animo e apertura mentale alla Novità sempre in gestazione, che si attua nella Storia come una nascita continua (pensiamo al discorso notturno di Gesù con Nicodemo, a certe affermazioni di san Paolo).
Allora: la coerenza intesa come qualcosa di fisso alle proprie convinzioni, che perciò non dovrebbero mai mutare, può bloccare in me questa gestazione della Verità. Se anni fa ero coerente nel pensarla in un certo modo, ora, cambiate le circostanze, cambiati i tempi, con l’evoluzione della Storia divina che ad ogni istante offre una rivelazione nuova (rivelazione significa “mettere dietro” il velo), sono altrettanto coerente se adesso faccio un passo ulteriore, “mettendo dietro” le mie vecchie convinzioni. Chiariamo subito una cosa. Qui non sto parlando di umori, o di trasformismi opportunistici, come ad esempio succede spesso nel mondo politico. Chiarito questo, la coerenza è in rapporto alla Novità che avanza, per cui sarebbe insipiente, pericoloso, deleterio, o per lo meno sciocco, restare sempre fermi alle convinzioni precedenti, giustificandosi che si tratta di valori “non negoziabili”. Certo, concediamo pure, questi valori erano non negoziabili anni fa (forse nemmeno allora). Oggi, devo avere il coraggio di dire che, per una maggiore presa di coscienza, quei valori un tempo ritenuti non negoziabili non stanno più in piedi. Metterli in discussione non è incoerenza! Se persistessi nel riaffermarli, questo sì che sarebbe incoerenza con la mia coscienza e con la coscienza della Novità sempre emergente.
Teilhard de Chardin parlava di evoluzione della coscienza; ed è in base all’evoluzione della coscienza che l’umanità migliora, progredisce verso il compimento del Cristo cosmico. O sbaglio?
Perché insisto sul concetto di coerenza? Secondo me, sta qui il vero problema della Chiesa. Essa ha un concetto tutto suo di valori, e di conseguenza un concetto tutto suo di coerenza. Quante volte, nei giorni scorsi, abbiamo sentito vescovi parlare di fedeltà intransigente al Vangelo o alle parole di Cristo o addirittura alla Chiesa in quanto struttura.
La Chiesa gerarchica dovrebbe anzitutto capire che cosa significhi evoluzione della coscienza in rapporto alla Novità divina, che è rinascita, ri-velazione, gestazione mai finita. La coerenza della Chiesa è in rapporto a tutto questo. È una coerenza sempre in movimento, come in movimento è la mia coscienza della verità e la coscienza del cosmo intero.
La Chiesa di Cristo tradisce se stessa, quando resta immobile, fissa al palo delle tradizioni, dei dogmi. Anche i dogmi non sono immutabili, sia nella loro formulazione sia nel loro contenuto. Possono essere delle frecce, delle tappe verso il traguardo, anche delle conquiste, ma verso una ulteriore presa di coscienza.  
Perché dicevo all’inizio che tutti quanti, tradizionalisti e progressisti, abbiamo sbagliato a condizionare, direttamente o indirettamente, i vescovi nel rispondere alle nostre domande o a restare fermi ai dogmi precedenti? Se avete notato: nei primi secoli della Chiesa, le discussioni erano tutte di carattere teologico, poi, con il medioevo, divennero di carattere più sociale, oggi sono di carattere moralistico.
La Chiesa attuale, dietro la spinta di domande esistenziali sempre più pressanti, si è fatta condizionare a tal punto da cedere, per me solo “apparentemente”, su alcuni aspetti, ma di carattere moralistico. In gioco invece c’è un concetto falso di Dio. Le problematiche esistenziali si risolverebbero, se la Chiesa avesse il coraggio di mettere in discussione la sua visione di Dio sulla Storia umano-divina. Per la Chiesa questa visione è prettamente “religiosa”, ovvero legata ad una religione, chiamala cattolica o ebraica o islamica, che è sempre una struttura che imprigiona il concetto che si ha di Dio. Noi abbiamo il nostro, la religione ha il suo. Ed è qui l’equivoco di fondo: anche noi, tradizionalisti o progressisti, abbiamo un “nostro” concetto di Dio. Ma Dio non è un concetto, non è un’idea, non è qualcosa di “nostro”. Dio è Altro.
Dio è “absconditus”, dicevano gli antichi, e non sbagliavano, ma sbagliavano quando poi in pratica accettavano il dio della religione, a cui appartenevano. Non potevano fare altro, altrimenti sarebbero stati condannati come eretici.
Se Dio è il Mistero che tutto coinvolge senza farsi coinvolgere, non possiamo noi Chiesa dettare norme vincolanti come se Dio stesso le avesse dettate o tuttora le dettasse, dietro il paravento dello Spirito santo che, cosa stranissima, sembra un burattino che esegue ordini da parte di una gerarchia preoccupata solo di salvare la propria dottrina, e non l’Inscrutabile disegno di Dio sulla storia.
Il problema vero è questo: la Chiesa cattolica vuole salvare se stessa in quanto religione-struttura oppure la sua missione consiste nel condurre l’essere umano a prendere sempre più Coscienza del suo “essere umano”?
La Chiesa, in quanto struttura, ha le sue regole, i suoi riti, i suoi strumenti, che, se rispettano la dignità dell’essere umano, fanno parte di ogni religione. Ma la struttura è struttura, e come tale non è assoluta, intoccabile, sacra.
La Chiesa è al servizio dell’Umanità, e non viceversa: non è l’Umanità al servizio della Chiesa. La Chiesa non può contenere e tanto meno deve comprimere l’intera Umanità. L’Umanità va oltre la Chiesa. La Chiesa deve mettersi continuamente in atteggiamento di ricerca dei Valori umani. E questi Valori sono in continua gestazione. La Chiesa, man mano li scopre, non deve metterci un cappello sopra, o un suo copyright. E neppure deve dire: Solo io sono in grado di scoprirli. Tu, Chiesa, devi essere così disponibile alla Verità presente nel mondo in gestazione che, se qualcuno fuori della Chiesa scoprisse un barlume di questa Verità o un valore Umano, non dovresti metterti in atteggiamento di rifiuto. I “semina o signa divinitatis” sono presenti ovunque, come dicevano gli antichi saggi.
Forse, invece che porre alcune questioni pur scottanti all’attenzione dei vescovi, dovevamo mettere in crisi la chiusura dogmatica, e perciò moralistica, di una Chiesa che, ancora oggi, nonostante papa Francesco, ha un concetto tutto suo di Dio, del mondo e dell’essere umano.
Ci vuole poco per costringere alla resa la gerarchia sui preservativi: basta che il popolo di Dio ne facesse uso apertamente (in privato lo fa, ma senza dirlo pubblicamente)! Come ha scritto Hans Küng, la gerarchia ha chiuso un occhio sulle chierichette, dopo che i preti in massa le avevano messe sull’altare a servire, come i maschietti. Così, se una buona parte del clero si fidanzasse ufficialmente, la gerarchia cederebbe sul celibato. Così si dica della comunione ai divorziati risposati.
Ma il vero problema rimarrebbe. Si risolverebbero alcuni casi, ma la Chiesa resterebbe ancora chiusa su tanti altri. Il vero problema è la Chiesa in sé, come struttura. Fino a quando non accetterà l’evoluzione della coscienza, e non si metterà in continuo stato di auto-coscienza, non serviranno mille Sinodi dei vescovi a risolvere i problemi.
Qualcuno in questi giorni ha scritto: il Sinodo che si è appena concluso ha gettato le basi per il prossimo; con il prossimo, ci sarà sicuramente una maggiore apertura. In che senso? Un passo avanti nel campo della morale sessuale? Nel frattempo, nasceranno altre problematiche, e aspetteremo sempre un prossimo Sinodo?
Se il problema è la Chiesa in sé, allora dovrà essere la Chiesa a mettersi già da ora in atteggiamento di conversione. A che cosa? All’Umanità in gestazione. Certo, spetterà sempre alla base stimolare la gerarchia, ma questo sarà un altro discorso.

10 Commenti

  1. Massimo ha detto:

    Caro Don Giorgio, spesso non sono d’accordo con i suoi articoli (o lo sono solo in parte), ma li trovo comunque quasi sempre stimolanti. Stavolta, invece, devo dire che ha assolutamente ragione su tutto, e che questo è l’articolo più bello che ho letto sul suo sito finora. La sua riflessione sulla struttura della Chiesa che impedisce, o rallenta, lo sviluppo della coscienza mi richiama in qualche modo ciò che disse Francesco ancora prima di essere Papa: una Chiesa autoreferenziale (la struttura) tiene Cristo prigioniero e gli impedisce di andare verso il mondo. E’ una espressione fortissima, molto più di altre del Papa che vengono continuamente rimarcate dai media. Forse 1000 Sinodi non basteranno, come dice lei, ma intanto ringraziamo lo Spirito per questo Papa (basta pensare a chi avremmo potuto oggi avere al suo posto per rabbrividire…)

  2. Domenico g ha detto:

    “Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre” (San Cipriano da Cartagine, MARTIRE)

  3. Maria Teresa ha detto:

    Commento brevemente una espressione di Gianni: “uno ritiene di aver diritto a poter ricevere la comunione, anche se divorziato risposato?
    Vada in una chiesa dove non lo conoscono, e si faccia dare le comunione”. Questo è veramente inaccettabile. Il vostro dire sia sì, no. Sta al divorziato risposato decidere se può ricevere il sacramento della comunione, possibilmente dopo un franco confronto con un sacerdote intelligente, ma senza nascondimenti. O è sì o è no.
    Dai tanti commenti non traspare con chiarezza il concetto che se la Chiesa è madre, la sua accoglienza deve essere infinita. Lasciatelo dire a una donna: una madre accoglie l’atto del concepimento, il concepito e il figlio finché ha vita, magari criticando alcuni atteggiamenti, ma amando senza riserve.

    • GIANNI ha detto:

      Ovviamente, non condivido.
      Se uno ritiene, ad esempio, nella propria concezione teologica, quindi distinta dal cattolicesimo, che il sacramento della comunione sia comunque valido, anche se ricevuto al di fuori dei casi consentiti dal cattolicesimo, esiste perfetta coerenza.
      Quindi, dove sta il problema?

  4. dioamore ha detto:

    Secondo me il problema è la legittimazione della Proprietà, origine del peccato.

    Sì, la Chiesa deve portare l’essere umano a prendere coscienza della propria natura divina oltre che umana. Ma anche la Chiesa deve prendere coscienza della propria natura divina oltre che umana.

    Con la parola “matrimonio” ci si riferisce all’unione del maschio e della femmina. Ma è una parola un po’ fuorviante perché matrimonio, dal punto di vista etimologico, significa solo “dovere della madre”.

    Non si può parlare di matrimonio senza parlare di patrimonio che etimologicamente significa “dovere del padre”.
    Il dovere del padre va sotto il nome di “patrimonio” o “capitale” (da caput = capo) che è il complesso di risorse e di elementi materiali e non materiali propri di una persona. Il patrimonio fa parte della Proprietà Privata e viceversa.

    Il dovere della madre è allattare la prole e generare la vita. Il dovere del padre è fornire i beni affinché la madre possa accudire la prole.

    Matrimonio e patrimonio sono le due facce della stessa medaglia che è l’immagine di Dio: padre incarnato in Gesù e madre incarnata nella Chiesa. Non mi pare di dire novità, ma di ribadire concetti ortodossi.

    Nel bel mezzo di questo quadretto entra il peccato che è la libera o volontaria trasgressione della legge divina. Qual è la principale legge divina? Ama il prossimo tuo come te stesso. Quindi, peccare significa trasgredire alla legge dell’amore.

    Ora ascolta bene quello che ti dico. Il concubinato, cioè la convivenza di un uomo e una donna non sposati trasgredisce la legge dell’amore, dell’amare il prossimo tuo come te stesso?
    Ripeto, se una persona convive con un’altra persona fuori dal matrimonio viola il comandamento di Dio: ama il prossimo tuo come te stesso? Lascio a te la risposta.

    Cosa è la proprietà? E’ il diritto di godere e disporre di un bene in modo pieno ed esclusivo. E lì casca l’asino, casca la Chiesa, casca in quell’aggettivo: esclusivo. Esclusivo: che spetta solo a una persona o a un gruppo di persone ed esclude tutti gli altri.

    Come puoi amare il prossimo tuo se lo escludi dal diritto di godere e disporre di un bene (che in origine è comune) in modo pieno, visto che te ne sei appropriato? Ecco perché dico che il problema è la legittimazione della Proprietà, origine del peccato.

    Come può una madre accudire la prole se la si esclude dal patrimonio, dal capitale? E che madre è una persona che non ti dà il nutrimento per vivere, che ti esclude dalla comunione?

    La Chiesa deve prendere coscienza della sua natura materna e divina per farsi madre dell’umanità. Il patrimonio, il capitale, lo mette Gesù che è il capo, è Dio, è il padre e il suo dovere è: fornire i beni affinché la madre possa nutrire la prole. Il dovere della Chiesa è il dovere della madre: accudire e nutrire tutta l’umanità, il genere umano.

    E non chiamate madre nessuno di voi sulla terra perché una sola è la vostra Madre: la Chiesa.

    Ma la Chiesa è la comunità dei credenti: laici e clero. Spetta a noi credenti farci madri e nutrire l’umanità. Cosa possibile se prendiamo coscienza della nostra natura divina donando la nostra maternità e paternità e quindi i nostri figli presunti o meno all’ umanità, per diventare madri e padri dell’umanità stessa.

    E non chiamate nessuno padre sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo.

    Là dove c’è una famiglia single, omosessuale o eterosessuale, un partito, uno Stato, un popolo, non ci potrà mai essere la Chiesa intesa come madre dell’umanità, come corpo di Cristo, come immagine di Dio, ma solo sterili sinodi e concili. E’ la Chiesa che deve essere espressione dell’amore di Cristo, dell’amore di Dio, non la famiglia, cazzo!!!

  5. Giuseppe ha detto:

    Secondo me, l’errore sta nel fondamentalismo, che è presente in ogni religione, o almeno in quelle che hanno avuto origine dalla tradizione mediterranea e mediorientale, che è generalmente riconosciuta come la culla della storia della parte del mondo in cui viviamo. Per il fondamentalismo il messaggio che è alla base della comune fede in un solo Dio (a prescindere da come lo si chiami) è passato quasi in secondo piano rispetto alla forma con cui deve essere manifestata questa fede, cioè la religione. Per questo le istituzioni, la gerarchia, i riti, le cerimonie e le regole da cui è infarcita questa religione finiscono per assumere un’importanza spropositata. Spesso gran parte dei precetti e delle norme è stata originata dal bisogno di dare una corretta interpretazione ad alcuni aspetti della pratica del culto e/o per correggere certi comportamenti ritenuti inadeguati, ma non hanno nulla a che fare (e non vanno confusi) con la fede. Insomma l’apparato ecclesiastico, nonostante l’opera costante dello Spirito Santo (evidentemente poco ascoltato o riconosciuto), ha ritenuto opportuno caricare sulle spalle dei credenti una serie di obblighi e di divieti che, pur non riguardando l’essenza del messaggio evangelico (di per sé chiaro ed immodificabile), per i “principi della chiesa” sono diventati dei cardini fondamentali , ed una eventuale loro trasgressione viene ritenuta, talvolta, più grave di una mancanza di carità, di misericordia o di comprensione. Sotto certi aspetti, è come se l’apparato ecclesiastico nel suo complesso si ostini a comportarsi come degli “Amish”, rifiutando il progresso e l’evoluzione del pensiero e della società, per restare ancorato senza alcun motivo a tradizioni e usanze che appartengono ad un passato ormai irrecuperabile.

  6. don Luciano ha detto:

    Carissimo don Giorgio,
    mi inserisco in punta di piedi nel discorso che hai appena scritto (e che condivido pienamente). Hai fatto un accenno al “problema” della nostra concezione di Dio, del suo volto. Credo che uno dei cambiamento che dovremmo attuare si situi a livello di prospettiva. Ci hanno insegnato che Gesù è come Dio, e da lì tutte le teorie, note o meno, circa Dio, la sua natura, ecc… per poi applicarle a Gesù. Ora io credo sia ora di recuperare la prospettiva più evangelica del Dio come Gesù, con tutto quello che questa comporta, uscendo così dalla dimensione “religione” per entrare in quella della fede. In fondo Gesù è questo che ha proposto: non un dio da servire, ma un Padre che serve e che chiede di essere accolto e di assomigliare a Lui nel nostro modo di amare e di comunicare vita. nella “religione” siamo tesi e impegnati a ingraziarci Dio, a servirlo, in attesa di una qualche ricompensa che verrà. Nella fede accogliamo questa presenza amorosa che ci permette di diventare come Lui, come Gesù stesso ci ha detto. Se la Chiesa cominciasse a vivere secondo questa prospettiva sarebbe certamente meno preoccupata di fissare dei paletti, di stabilire chi è dentro e chi è fuori, e più attenta a far brillare il volto di un Dio che si manifesta nell’uomo Gesù per renderci simili a Lui. Non mi dilungo oltre. Ti ringrazio per gli stimoli che mi offri. Non ho un sito web, ma solo una pagina Facebook, don Luciano Locatelli. Grazie di cuore.

  7. zorro ha detto:

    Ma e’ possibile sostenere che solo pochi eletti possano interpretare i testi sacri? Il vangelo e’ annunciazione anche per i piu’ umili e la chiesa esiste dove due persone sono riunite nel mio nome.La struttura religiosa serve solo come organizzazione politico sociale.Il vangelo e’ di tutti non e’ solo appannaggio di eletti.Ogni tanto mi capita di vedere su telenova i dibattiti dei dotti mi sembrano piu’ speculazioni filosofiche e esercizi di intelletto anziche’ chiesa dell’ annunciazione.Chi li capisce?Se si continua di questo passo le chiese si svuoteranno e la chiesa dei dotti fallira’,ma non quella di DIO.

    • GIANNI ha detto:

      Colgo questo commento quale occasione per una riflessione ulteriore.
      Il grande problema della chiesa istituzione può, a mio modesto avviso, essere risolto tramite la logica.
      Penso, infatti, che la maggior parte dei problemi esistenziali del fedele sia costituita da falsi problemi, alla luce di questa disciplina, per tanti versi abbandonata, e riscoprire la quale potrebbe aiutare molto.
      Anche sui problemi di fede e di religione.
      Nel mio ragionamento, parto da un presupposto.
      Sia storico, che logico.
      Storicamente, che uno fosse credente o meno, con la chiesa fino ad una certa fase storica ha avuto a che fare, in relazione al fatto che questa rappresentava anche un potere temporale, in forma di stato.
      Anche parte delle vicende che vanno dall’epoca risorgimentale sino al periodo fascista ha visto come protagonista la chiesa.
      Pensiamo all’unità d’Italia, passata per il conflitto con il Vaticano, e pensiamo ad esempio ai patti lateranensi.
      Venuto sostanzialmente meno l’aspetto temporale, almeno per la maggior parte degli italiani,
      cosa è rimasto?
      Ovviamente, essenzialmente una funzione teologica e spiirituale.
      E qui veniamo al presupposto logico.
      Che funzione ha la chiesa, oggi?
      Per chi ci crede, quella di essere depositaria di verità in materia di teologia, sia teoterica che morale.
      Quindi, il vero fedele cattolico non è colui che, ad esempio, si proclama cattolico (ma il ragionamento vale anche per le altre religioni e confessioni), ma poi non crede che la chiesa sia depositaria di verità.
      Se effettivamente si crede in questo, allora ne consegue un aspetto fondamentale.
      Se la chiesa è depositaria di verità, il credere a qualcosa di diverso sarebbe errore, e quindi non resta che credere, per il fedele, in quanto la chiesa dice, come verità conformi all’ordine teoretico e morale voluto da Dio.
      Ma……
      oggi molti non credono che in tutto e per tutto la chiesa sia depositaria di verità.
      Solo che……
      l’atteggiamento logico sarebbe in tal caso il seguente: se uno non ritiene la chiesa depositaria di verità, allora dovrebbe essere coerente e dire: non mi riconosco più nel cattolicesimo…penso di poter avere una mia idea…..e penso di poter fare come mi pare, in coerenza con tale idea..
      Se, infatti, quel che conta è la conformità a DIo, se uno ritiene di coglierla, che bisogno ha, appunto, del famoso placet canonico?
      Se quel che conta è Dio, e se uno è convinto che il suo operato non è contrario alla morale divina, quindi che la chiesa sbaglia, agirà di conseguenza.
      Qualcuno potrebbe obiettare che istituzionalmente mancano i presupposti per fare questo.
      FALSO
      Qualche esempio: non esistono matrimoni per gli omosessuali?
      Stipulino un contratto che, patrimonialmente, ed ereditariamente, preveda gli stessi diritti dei coniugi.
      Idem per il diritto alle visite.
      Prima di finire, eventualmente, in un ospedale. Chi desidera che il proprio compagno omosessuale continui a visitarlo, faccia autenticare un documento, in cui sottoscrive che in caso di incoscienza, tipo ricovero in ospedale, da diritto al compagno di visitarlo.
      A questo punto, nessuna famiglia potrà opporsi ad un documento che attesta, nel pieno delle proprie facoltà, una precisa volontà—
      Qualcuno dirà: ma i sacramenti?
      Anche qui:
      uno ritiene di aver diritto a poter ricevere la comunione, anche se divorziato risposato?
      Vada in una chiesa dove non lo conoscono, e si faccia dare le comunione.
      Se, tanto, quel che conta è Dio, una volta deceduto, dinnanzi a lui, se non avrà commesso peccato, questo sarà riconosciuto, e questo vale anche al contrario.
      Cioè, se anche la chiesa dicesse che non è peccato che un divorziato risposato riceva la comunione, se invece Dio ritenesse questa una grave colpa essa sarebbe comunque tale.
      Credo, in sostanza, che tutto questo discorso per cui chiediamo alla chiesa di concedere questo o quello non ha senso.
      Essa è interprete di una dimensione metafisica, ma se per caso erra, erra sia nel vietare che nel concedere qualcosa, se comunque contrario alla volontà divina.
      Per cui, credo che coloro che si basano solo sul fatto che la chiesa conceda o meno qualcosa, siano come coloro che cercano un capro espiatorio, nel senso di sentirsi in pace, purchè facciano come dice la chiesa.
      Io non credo sia così
      Se anche la chiesa continuasse, in ipotesi, a dire di aver fatto bene a mandare al rogo gli eretici, sarà quel che ne pensa Dio a contare, non certo quello che pensa la chiesa.
      Quindi, cerchiamo di evitare di dare alla chiesa la delega delle nostre scelte, assumiamoci le nostre responsabiltà, e non sentiamoci in pace solo perché agiamo come dice la chiesa.
      Se siamo credenti, dovremmo quanto meno pensare che un domani l’anima non sarà giudicata da un sinodo di vescovi o da qualche pontefice, ma da Dio, il quale potrebbe essere pienamente in disaccordo con quanto pensano pontefice e vescovi.-

  8. GIANNI ha detto:

    Il tema è complesso.
    Se la chiesa struttura accetta di mettersi in gioco, di autocriticarsi, allora il quesito di fondo diviene:
    a cosa serve la chiesa struttura?
    Quale la sua funzione?
    Qui sta il nodo del problema.
    In fondo, come già dissi, cos’è una confessione religiosa, anzi, quella particolare confessione che denominiamo cattolicesimo?
    Potremmo rispondere in molteplici modi ma, probabilmente, se non riusciamo proprio a centrare il problema, credo che quanto meno ci avviciniamo alla soluzione, se diciamo che il cattolicesimo pretende di dare una interpretazione delle presunte verità di fede, nei diversi campi che vanno dall’etica alla dogmatica teorica, sulla base di una costruzione umana gerarchicamente ordinata.
    Tanto che dire struttura equivale a dire gerarchia.
    Qui probabilmente sta la apparente contraddizione del cattolicesimo.
    Perchè contraddizione, e perchè apparente?
    Contraddizione perchè proprio una costruzione umana presume di porre regole e limiti all’uomo.
    Ed apparente perchè, ameno su questa terra, è l’uomo a dominare l’altro uomo.
    Poi nell’al di là vedremo……
    In altri termini, una religione presume che, tramite l’opera dogmatica di teologi e gerarchie ecclesiastiche, si pervenga ad una costruzione dottrinale che va bene per il fedele.
    Nella concezione cattolica non c’è reale spazio per le cosiddette coscienze libere, il fedele può solo accettare certe presunte verità di fede e norme morali imposte dall’alto.
    Del resto, se la chiesa non fosse questo, a che servirebbe?
    A ben poco, secondo i sostenitori della chiesa stessa.
    Infatti, se ognuno potesse liberamente interpretare le questioni divine, per non chiamarle religiose, secondo i propri convincimenti, ripeto, a che servirebbe la chiesa?
    Probabilmente a nulla.
    SU questo presupposto logico e teologico si basa la costruzione secolare e millenaria di una realtà storica, che presume di essere depositaria assoluta, e gerarchicamente ordinata, delle verità di fede.
    Lo dice il nome stesso, cattolicesimo, cioè universalismo gerarchicamente creato che deve andare bene per tutti.
    Anticamente, se uno non condivideva, era il rogo, ora almeno è solo la scomunica.

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