Abusi e no, trentamila piccoli vittime delle liti tra i genitori

da AVVENIRE
22 novembre 2020
Infanzia.

Abusi e no,

trentamila piccoli vittime delle liti tra i genitori

Luciano Moia
Ignorati i diritti dei piccoli che vivono all’interno di situazioni di conflitto. A Como il caso di un papà condannato per una perizia considerata irregolare dall’Ordine degli psicologi
Nella settimana dedicata all’infanzia, con due giornate internazionali specifiche – mercoledì c’è stata quella contro gli abusi, venerdì per i diritti dei bambini – è rimasto in ombra il dramma dei minori costretti a sopportare le sofferenze derivanti dalla conflittualità dei genitori. Circa trentamila piccoli ogni anno – un terzo delle separazioni concluse – in cui spesso si concentrano troppi diritti negati. Tutelare i bambini dagli abusi non significa solo proteggere, educare e prevenire, ma anche evitare che la violenza supposta possa trasformarsi in un’arma all’interno della coppia. Troppe volte infatti nei processi di separazione l’accusa di abuso si trasforma in una strategia processuale per attaccare il partner. Il 30 ottobre è cominciata l’udienza preliminare dell’inchiesta “Angeli e demoni” sugli affidi illeciti di bambini a Bibbiano e in Val d’Enza. L’indagine – domani la seconda udienza – ha aperto uno squarcio sui metodi inquisitori spesso utilizzati per valutare presunti casi di abusi su minori. Ma troppe volte quei “presunti” sono stati considerati autentici.
Proprio come il caso emerso a Como, dove un imprenditore è stato condannato in via definitiva per abusi sulla figlia di due anni, sulla base delle accuse rivoltegli della moglie e della suocera. Tutto come da copione? No, questa volta c’è un elemento che rende l’episodio ancora più assurdo. Lo psicologo che ha svolto la perizia sulla bambina è stato sanzionato dall’Ordine degli psicologi della Lombardia per aver usato un metodo non riconosciuto dalla comunità scientifica. Da qui la richiesta di revisione del processo.
La vicenda comincia nel 2011. La circostanza è sempre la stessa: una separazione conflittuale in cui la piccola diventa l’autentica vittima. La madre e la nonna materna, con l’appoggio di una pediatra che si limita a una rapida occhiata durante il cambio del pannolino, senza stilare alcun referto né raccogliere prove documentali – e anzi ammette di non aver mai trattato nella sua carriera violenze sessuali – sostengono che la bambina abbia pronunciato parole inequivocabili. A due anni? Eppure il Gip indaga. Della questione viene incaricata una psicologa infantile che conduce un accertamento secondo le linee guida accreditate dalla comunità scientifica. E infatti la bambina non racconta nulla di compatibile con l’ipotesi di abusi commessi dal padre. Non basta ancora. Il giudice nomina un perito che deve valutare la capacità della bambina di spiegare quello che le sarebbe capitato. Questa volta i metodi impiegati per l’accertamento non sono esemplari. Non solo l’uomo pone alla piccola quelle domande manipolatorie che le linee guida dell’ordine considerano ad alto rischio, ma non si preoccupa neppure di videoregistrare la seduta decisiva. Quella in cui, come scrive nella relazione finale, si convince che l’abuso sia davvero capitato. Non c’è alcun riscontro, ma sulla base di queste accuse, nel settembre 2015 l’uomo (che nel frattempo non ha potuto più incontrare la figlia) viene condannato in via definitiva dalla Cassazione a sette anni e sei mesi di reclusione.
Intanto il caso finisce all’Ordine degli psicologi della Lombardia che nel gennaio 2017 infligge una sanzione disciplinare all’esperto «per aver impiegato metodologie delle quali non è stato in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici» e «per aver espresso valutazioni e giudizi professionali non fondati su conoscenza professionale diretta o su documentazione adeguata e attendibile». E che fa lo psicologo? Contesta? No, ammette l’errore.
Da qui la richiesta di un processo di revisione. Nel maggio 2018 la Corte d’appello di Brescia rigetta però l’istanza. Interviene la Cassazione che censura la mancata valutazione da parte dei giudici d’appello del provvedimento disciplinare emesso nei confronti del perito. Niente da fare. Il 5 novembre 2019 la Corte d’appello di Brescia rigetta nuovamente la richiesta di revisione. Il 27 gennaio 2021 la Cassazione sarà chiamata a pronunciarsi di nuovo sulla legittimità della decisione presa dai magistrati bresciani.
Vicenda assurda, anche se non è la prima volta che le sentenze dei giudici di Como a proposito di abusi sui minori, finiscono per essere bocciate dalle istanze superiori. Alcuni anni fa, sempre nel capoluogo comasco, un uomo (Renato Sterio) fu condannato in via definitiva per abusi sulla figlia sulla base delle accuse della moglie e della suocera. Trascorse tre anni e dieci mesi in carcere prima di essere assolto nel processo di revisione. Non c’era stato alcun abuso. E qualche giorno fa, sempre a Como, un caso analogo. Un padre di 45 anni condannato in primo grado per abusi a 8 anni e mezzo di reclusione, è stato assolto dalla corte di appello di Milano. Anche in questo caso il giudice d’appello ha criticato il perito scelto dal pm per non aver utilizzato nell’ascolto della bambina i metodi della Carta di Noto, che appunto escludono domande suggestive, toni drammatizzati, manipolazioni e impongono rispetto dei tempi e della spontaneità dei piccoli.
Ecco perché lottare contro gli abusi significa anche assicurare ai piccoli quelle garanzie indispensabili per proteggerli da false accuse e da strumentalizzazioni giudiziarie.

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