Omelie 2016 di don Giorgio: TERZA DOPO L’EPIFANIA

24 gennaio 2016: Terza dopo l’Epifania
Nm 13,1-2.17-27; 2Cor 9,7-14; Mt 15,32-38
Una terra dove scorre latte e miele
Le parole con cui si conclude il primo brano della Messa, tolto dal libro dei Numeri, contengono un’espressione diventata famosa: “una terra dove scorre latte e miele”, che sta a indicare abbondanza. L’espressione è frequente nei primi cinque libri della Bibbia per indicare la Terra promessa. Non dimentichiamo che la Palestina faceva parte della cosiddetta “mezzaluna fertile”.
A questo proposito, il brano di oggi riporta un fatto emblematico. Era successo che Mosè aveva inviato alcuni esploratori a perlustrare la regione promessa da Dio a Israele verso la quale le tribù erano in marcia, così da vederne la qualità e conoscerne la popolazione. È il tempio della vendemmia, ed ecco che gli esploratori scoprono una valle con grappoli d’uva iperbolici: due persone li devono portare a spalla con una spranga. È evidente l’intenzione dell’autore sacro di esagerare per dare impressione agli israeliti di andare ad abitare in una specie di paradiso terrestre.
Mistificazione di personaggi e di eventi
Qui vorrei allargare il discorso. Solitamente, quando faccio esegesi, cioè spiego un brano della Bibbia, cerco di contestualizzarlo dal punto di vista cronologico o temporale, e dal punto di vista geografico o spaziale. Ma non basta. C’è un altro contesto, che è fondamentale da evidenziare, ed è quello simbolico o allegorico o mistico.
Fermarsi solo al senso puramente letterale, ovvero prendere le parole come sono, alla lettera, conduce inevitabilmente al fondamentalismo oppure, all’opposto, ci porta ad odiare la Bibbia stessa, quando narra fatti o eventi che oggi farebbero accapponare la pelle. Ed è per questo che, ad esempio, i mistici avevano una particolare antipatia verso l’Antico Testamento, dove l’immagine di Dio era distorta da una religione che ne aveva fatto un idolo alla stregua degli idoli dei popoli pagani. Se non altro, presso i popoli pagani gli dei erano molteplici, e quindi c’era pluralismo, ma il Dio ebraico, essendo unico, rappresentava un pericolo maggiore.
Sinceramente, è difficile leggere la Bibbia, se non usiamo un particolare occhio, che è quello della fede, per scoprire le verità eterne. E non basta neppure dire che la Bibbia usa simbologie o allegorie. I fatti sono fatti, a meno di non mettere in discussione tutta la storicità dei personaggi e degli eventi. Anche senza arrivare a ritenere tutto mitico, è certo ormai che certi personaggi ed eventi sono stati rivestiti di mistificazioni varie, tanto da risultare complesso cogliere il nucleo storico. Cito un solo esempio: che cosa c’è di storico di tutte le vicende narrate su Mosè? Non è facile rispondere. Una cosa è sicura: Mosè è diventato un personaggio mitico, anche nei suoi difetti. Il popolo ebraico, a un certo punto della sua storia, ha sentito il bisogno di ricostruire le sue origini, creando personaggi mitici, proprio per dare più lustro al suo passato. In realtà, questa operazione mitica l’hanno fatta tutti i popoli antichi.
Il brano di oggi è un altro caso emblematico di come la Terra promessa fosse miticizzata o enfatizzata: una terra dove appunto scorreva latte e miele, una terra da sogno, un paradiso terrestre.
Ma che cosa è successo? Ed è qui un’altra prova della contraddizione della Bibbia. La Terra promessa era sì qualcosa di ideale, ma per attirare l’interesse degli ebrei, tanto da spingerli a conquistarla con il sangue. Questo, ai nostri occhi, risulta inaccettabile.
Poniamoci ora due domande: qual è la verità da cogliere dietro una descrizione iperbolica (cioè esagerata o mitica) della Terra promessa? Inoltre: il comportamento di appropriazione violenta del popolo ebraico non è ancora presente nella società di oggi?
Mi sembra, anzitutto, di cogliere questa verità: il mondo in cui viviamo è ricco di grandi possibilità e di tali energie che basterebbero a far vivere tutti i suoi abitanti, senza dover creare disuguaglianze e ingiustizie. Eppure, ancora oggi esistono gli accumuli, i capitali nelle mani di pochi, le multinazionali, gli imperi, i blocchi intercontinentali. E, per stare nel nostro piccolo, che cosa vediamo? C’è chi si crea un piccolo paradiso terrestre, e chi non ha neppure un’abitazione decente, c’è chi ha lavorato una vita per avere il diritto ad una propria casa, e ci sono assessori comunali che rubano tale diritto a un proprio cittadino, con l’intenzione poi di fare investimenti immobiliari. Ed ecco la domanda: dov’è la terra, promessa da Dio a tutti i suoi figli? Perché è stata concentrata nelle mani di pochi?
Condivisione sì, ma di che?
Mi aggancio al brano del Vangelo, dove Gesù con il miracolo dei pani e pesci ha voluto farci capire qual è la legge “naturale”, che Dio ha impresso nella sua creazione. Già dire “naturale” indica che tale legge è da sottrarre alle leggi convenzionali sociali.
Attenzione: evitiamo di parlare di moltiplicazione dei pani e dei pesci, perché anche i ricchi sanno moltiplicarli, ma a danno dei poveri. Parliamo invece di spezzare il pane, ma per condividerlo. Chi deve, anzitutto, condividerlo è colui che possiede di più: deve condividere il di più, di cui si è appropriato a danno della destinazione universale dei beni.
È una questione di giustizia, perché ogni di più è un furto, ma è anche una questione di carità. Mentre la giustizia dà a ciascuno ciò che gli spetta per diritto, la carità va oltre, arrivando al punto di spogliarsi dei propri diritti di avere, per far prevalere i doveri dell’essere. La giustizia viene collegata con il mondo dei diritti, e sarà sempre difficile stabilire per ciascuno i propri. La carità, invece, rinunciando ai propri diritti di avere, allarga il proprio cuore dando precedenza ai più bisognosi.
Comunque, non c’è solo una condivisione di beni materiali, ma anche di beni spirituali, che, ripeto per l’ennesima volta, non corrispondono a quelli religiosi. Oggi, nel nostro mondo occidentale, non so chi sia il vero povero: chi manca del pane materiale o chi manca del pane dello spirito. Nel mondo dello spirito, i diritti scompaiono per lasciare il posto ai doveri dell’essere: la carità rientra tra questi doveri.
Questo servizio liturgico
Ho lasciato per ultimo il brano di San Paolo. Per comprenderlo bisogna tornare al capitolo precedente, dove leggiamo che l’Apostolo aveva lanciato una colletta, ovvero una raccolta di fondi presso le varie comunità cristiane disseminate un po’ ovunque, per sostenere alcuni fratelli in difficoltà  della Comunità di Gerusalemme. Ma c’era anche un altro scopo: quello di attestare una profonda comunione tra i cristiani di origine ebraica e cristiani di matrice pagana. C’è di più. L’Apostolo usa termini particolari per indicare la colletta: grazia, benedizione e servizio liturgico.
Don Angelo Casati commenta: «San Paolo chiama la colletta ”questo servizio liturgico”, nel testo greco “questo servizio della Liturgia”. Dunque, la liturgia che fa salire a Dio la nostra benedizione e accoglie su di noi la sua benedizione, non si compie solo qui in chiesa. Divina liturgia è venire in soccorso ai poveri. È gesto sacro quanto una Messa, è divina liturgia».
I nostri vecchi quanto erano profondamente cristiani! A quei tempi guai a perdere anche una sola Messa festiva, ma succedeva che, di fronte ad un’emergenza, come ad esempio assistere ad un malato in famiglia, non ci si ponesse tanti scrupoli, restando a casa. I nostri vecchi avevano una grande fede che puntava al cuore dell’amore.
A parte il fatto che oggi si perde Messa anche per sciocchezze, ma mi chiedo se quando si va a Messa, comprendiamo che la Messa deve continuare nella vita quotidiana. Messa è, come scrive san Paolo, servizio liturgico. Che significa “servizio”?

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