Omelie 2015 di don Giorgio: Pentecoste

24 maggio 2015: Pentecoste
At 2,1-11; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
Pentecoste: al di là di una festa celebrativa
Parlare della solennità della Pentecoste mi è facile e mi è difficile. Sarebbe facile se dovessi soffermarmi sull’aspetto storico, liturgico e religioso. Basterebbero qualche nozione biblica, un po’ di conoscenza esegetica e poi il tocco del solito tasto moralistico, e l’omelia sarebbe già pronta. Ma mi sarebbe più difficile raccogliere le vibrazioni interiori di una misteriosa presenza che va al di là di una festa, anche perché una festa può essere l’occasione per risvegliare ciò che abbiamo dentro, ma la festa di per sé non esaurisce il Mistero divino. Può essere una sosta per riflettere, ma il Mistero richiederebbe mille altre soste. Il cammino è iniziato molto tempo prima. Il cammino risale all’inizio della storia umana e, per ciascuno di noi, già dalla nostra nascita nel Pensiero divino.
Lo spirito non è un di più
So di toccare oggi qualcosa che potrebbe sembrare fuori della nostra vita comune, ma credo che sarebbe ora, a partire da noi ministri dello Spirito, elevare gli esseri umani al di sopra di una esistenza, che, pur problematica nella sua esistenzialità (ognuno ha i suoi problemi reali, talora di sopravvivenza), non può però assolutamente accontentarsi di naufragare in una quotidianità puramente materiale. La società moderna ha staccato il corpo dallo Spirito, tanto da fare dello Spirito quasi un lusso o un perditempo dei mistici. Ma è qui il problema: lo Spirito è il nostro vivere, quel vivere che dà il vero senso al nostro dibattersi tra le mille cose della vita. Per noi credenti, il problema è ancora più grave: ci siamo dimenticati di ciò che siamo, nonostante ci diciamo cristiani. Ed è qui che vorrei chiarire un po’ le cose, senza la pretesa di esaurirne il senso profondo.
La Pentecoste è già nel nostro essere
La Pentecoste come festività cristiana non ha dato origine al nostro essere cristiani. In altre parole, la Chiesa di Cristo non è nata il giorno di Pentecoste. Possiamo dire che la Chiesa è stata inaugurata solennemente con la Pentecoste, ma la Chiesa era già nella mente eterna di Cristo. Ma lo stesso Cristo non è venuto per donarci qualcosa di assolutamente nuovo. È vero: ha parlato ripetutamente di Spirito, lo ha promesso nei famosi Discorsi di Addio ai suoi apostoli, lo ha donato con la sua morte (morendo, emise lo spirito, che significa lo spirito di Dio), ma la stessa Parola di Dio, che è la Bibbia, ci parla ripetutamente dello Spirito come dono effuso su tutta l’umanità.
Tutto il creato ha avuto origine dallo Spirito. Le prime parole della Bibbia sono chiare: «La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gn 1,2). Letteralmente “il soffio di Dio”. E l’autore sacro, quando descrive la creazione dell’uomo, dice: «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue radici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gn 2,7). E, qualche versetto precedente, troviamo queste parole: «E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò». È evidente il collegamento tra il soffio divino e il nostro essere a immagine di Dio. Il nostro essere è il soffio di Dio!
E allora, attenzione!
E allora, attenzione! È vero che oggi i credenti hanno perso il significato della Pentecoste cristiana, tanto da dimenticarsene, ma è altrettanto vero che non basta concentrare tutta la nostra fede in una manifestazione pentecostale, facendone quasi una bandiera.
I primi due brani della Messa possono portarci lontano dalla realtà, e la realtà non consiste in qualcosa di visibile, di tangibile, di straordinario.
Don Paolo Curtaz giustamente commenta: «Luca, negli Atti degli Apostoli, descrive l’evento rimandando esplicitamente alla teofania di Dio sul monte Sinai: i tuoni, le nubi, il fuoco, il vento sono elementi che descrivono la solennità dell’evento e la presenza di Dio ma che possono anche essere riletti in una chiave spirituale.
Lo Spirito è tuono e terremoto: ci scuote nel profondo, scardina le nostre presunte certezze, ci obbliga a superare i luoghi comuni sulla fede (e sul cristianesimo!).
Lo Spirito è nube: la nebbia ci costringe a fidarci di qualcuno che ci conduce per non perdere la strada della verità.
Lo Spirito è fuoco che riscalda i nostri cuori e illumina i nostri passi.
Lo Spirito è vento: siamo noi a dover orientare le vele per raccogliere la sua spinta e attraversare il mare della vita!».
Paolo Curtaz continua: «Tenetelo nel cassetto lo Spirito, per favore. È pericoloso, devastante, inquietante.
Quando la Chiesa si siede o si arrocca fa nascere i santi che la ribaltano.
Quando pensate che la vostra vita sia finita, annientata, vi spalanca lo sguardo del cuore.
Quando le nostre parrocchie languono, si clericalizzano, si svuotano, si abituano, si stancano, si illudono egli scuote dalle fondamenta, fa crollare i palazzi della retorica e ci spinge a uscire nelle strade del nostro quartiere a dire Dio.
Gli Atti degli apostoli sono una divertente comica in cui lo Spirito combina pasticci e gli apostoli corrono (invano) cercando di capire cosa fare veramente.
È lo Spirito che guida la Chiesa, anche se cerchiamo continuamente di correggere la rotta».
Lo Spirito ci spinge alla verità tutta intera
Gesù Cristo ha parlato chiaro, quando ha promesso il dono dello Spirito sulla Chiesa. «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità… » (Gv 16,12-13).
Anche qui notate: il Cristo storico si sente quasi impotente di fronte alla totalità della verità da comunicare. Solo il Cristo mistico o il Cristo dello Spirito avrà il compito di portare l’umanità verso l’Omega, verso l’apice della verità.
Dunque, lo Spirito non sarà un dono al risparmio, un dono che avrà come prima preoccupazione quella di mantenere il poco o il tanto. Lo Spirito punta al massimo, ci spinge alla totalità. Guai, dunque, se ci limitassimo al già visto, al già avuto, al già posseduto, al passato che frena il presente, ad un presente che è immobile.
Una cosa ci chiede in modo particolare lo Spirito: cercare, cercare, cercare. Dobbiamo essere assetati di una verità che è ancora tutta o in parte da scoprire. Agli inizi della Chiesa, i cristiani erano chiamati i seguaci della Via. Dunque il Cristianesimo è la Via, cammino, e non una dottrina da chiudere entro i paletti di un dogma.
Lo Spirito e le ossa aride
Infine, vorrei richiamare una pagina dell’Antico Testamento, una tra le più suggestive presenti nella Bibbia. È l’inizio del capitolo 37 del libro di Ezechiele. Pochi si rifanno a questa pagina, dove il profeta immagina di vedere una valle piena di ossa aride, che, man mano, sotto l’azione dello Spirito, rivivono. Prendo le parole di un esegeta, che così commenta. «In una visione grandiosa, Ezechiele si trova di fronte a una sterminata distesa di ossa calcificate, segno di dolore e di morte. Egli riceve l’ordine di annunziare il passaggio dello Spirito creatore, che irromperà in esse per farle ritornare in vita. Alla voce del profeta che invoca dai quattro venti, cioè dalla totalità dello spazio, l’irruzione dello Spirito divino, ecco l’evento straordinario della risurrezione di quelle ossa secche e prive di vita. Esse si ricompongono per costituire uno scheletro, su cui si stendono i nervi, la carne e la pelle; lentamente, attraverso un rumore surreale e impressionante, si levano nuove creature, come era accaduto al momento della creazione dell’umanità; alla fine, ecco un esercito immenso di viventi».
Anche se il profeta Ezechiele applica questa scena di risurrezione al popolo ebraico in esilio, che era convinto che tutto fosse ormai perduto, è chiaro che, essendo parola profetica, possiamo applicarla anche all’oggi.
Spesse volte mi rifaccio a questa visione di Ezechiele, quando penso al tempo in cui vivo.
Più che invocare lo Spirito per ricevere i carismi o doni preferenziali, più che accaparrarci lo Spirito per benedire le nostre strutture, dovremmo invocarlo per far tornare in vita una società che sembra proprio una valle di ossa inaridite: senza vita, senza speranza, senza futuro.

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