Al Vicario Generale di Milano mons. Mario Delpini: perché?… perché?… perché?…

 

Rev. Mons. Don Mario Delpini

Sì, è vero: l’incontro che ho avuto con Lei a Monte, sabato 13 luglio, l’ho sentito puramente “formale”, anche perché non mi è stata data o non ho saputo cogliere la possibilità di dire qualcosa che andasse oltre la fredda comunicazione del mio trasferimento. Probabilmente erano presupposti i due colloqui precedenti col Vicario di Zona, don Maurizio Rolla, che poi hanno portato alla decisione del cardinale di rimuovermi da Monte.

Non è facile dire in due parole ciò che nei due incontri si è detto tra me e il Vicario episcopale, ma in sintesi la conclusione è stata questa: o rimanere da pensionato-residente a Monte, il che avrebbe significato l’azzeramento del mio modo di condurre la comunità con tutte le inevitabili conseguenze, ovvero: assistere passivamente in loco ad una impostazione pastorale all’opposto della mia, oppure andarmene. Non mi rimaneva altra scelta che fare le valigie. La comunità di Monte ha capito che non potevo fare altro, ma non riesce ad accettare che si rimetta ancora in gioco il suo futuro, che oramai non è più in linea con la visuale di fede nel senso diciamo tradizionale. Indipendentemente dalla situazione reale della nostra Comunità pastorale che definire tradizionale è veramente eufemistico, il mio disappunto sta nel fatto che non mi sembrava sbagliato che mi si lasciasse la possibilità di fare un’esperienza diversa, senza per forza dover entrare a tutti gli effetti canonici o curiali in una struttura, quella della Comunità pastorale, che tutti sanno quanto sia fragile, talora inibitoria per non dire disastrosa. Perché – ecco la mia domanda – non permettere qualche esperienza fuori della norma? Nella nostra Diocesi, una tra le più grandi del mondo, è proprio così pericoloso fare un’eccezione? Oggi si parla dei vari Movimenti ecclesiali come se fossero la ricchezza multiforme della Chiesa; giusto o sbagliato che sia, perché non parlare anche delle comunità di base come ricchezze della Chiesa? Non penso che la Chiesa abbia soprattutto bisogno di qualcosa di statico, o di ordine e di disciplina, o di strutture che devono essere come macchine ben oleate. Lo Spirito santo agisce in un modo tutto suo. Con questo non intendo contrapporre una Chiesa senza lo Spirito ad una Chiesa col soffio dello Spirito santo. Faccio una semplice domanda: perché non permettere esperienze diverse? perché tutto deve rientrare nella macchina organizzativa imposta dalla curia?

Ma c’è qualcosa d’altro da tenere in considerazione. Come mai oggi la gente contesta le strutture troppo rigide e formali, come mai diserta le chiese, come mai c’è un forte malumore per una religione chiusa all’Umanità, e invece si avvicina alla Chiesa e va a Messa quando sente di poter respirare un’aria nuova? Questo papa non è forse una prova lampante?

Dunque, torno alla domanda: è proprio impossibile che la Comunità di Monte possa camminare con una certa autonomia? Non potrebbe essere di stimolo? In ogni caso, autonomia non significa separazione dalla Comunità pastorale. Significa collaborazione, ma senza scendere a compromessi, lasciando che la Comunità di Monte proceda con il suo passo, in attesa che le altre parrocchie si aprano finalmente, uscendo da una pastorale chiusa e assurda. Unitarietà non significa omologazione. Unitarietà significa “convivialità delle differenze”. Chi ha già percorso un certo cammino non deve fermarsi ad aspettare gli altri, casomai gli altri dovrebbero almeno un po’ accelerare il passo. 

Infine, i miei parrocchiani – non so se posso chiamarli così – non accettano che il mio trasferimento sia un vero annullamento delle mie energie. Dovrei celebrare la Messa alle ore 18 di ogni domenica o di festa comandata a Dolzago: tutto qui?

Nell’incontro che Lei avrà con alcune parrocchiane, non si tenga strettamente alla pura formalità: le ascolti! Capirà che la Comunità a cui appartengono non è poi così male!

Mi scuso per la Sua pazienza, saluti

Don Giorgio De Capitani

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=m9Yrr30eyO4[/youtube]

 

 

È stata aperta su Facebook una pagina dal titolo:

Un tam-tam di voci per don Giorgio, da Monte fino a Papa Francesco

Descrizione
Questa pagina nasce per dare solidarietà a don Giorgio De Capitani e alla comunità di S. Ambrogio in Monte di Rovagnate, per essere accanto a loro, ma soprattutto per aiutarli a far ascoltare la loro voce.

Raccoglieremo qui oltre alle testimonianze dirette dei parrocchiani di Monte, delle persone coinvolte sul territorio e vicine a don Giorgio, anche le parole di chi lo ha incontrato attraverso il web. Dei tanti che, pur abitando distanti da Monte, il sabato sera fanno i pendolari per assistere alla sua celebrazione e a un'omelia capace di smuovere qualcosa dentro. Di quelli che, essendo troppo distanti, si accontentano di seguire un'omelia su Youtube. Dei tanti credenti che, per le più svariate delusioni, hanno smesso di frequentare la parrocchia e ora trovano in un anziano prete "virtuale" distante centinaia di chilometri quel punto di riferimento che un parroco vicino non ha saputo essere.

Ovunque, nei commenti al sito, leggiamo: "Don Giorgio, vorrei che fosse il mio parroco!"; "Se la mandano via da Monte venga da noi!"; "Vorrei che fosse lei a battezzare mio figlio!". Perché tutto questo seguito, che ahimè è anche indice di un malcontento generale verso il parroco della chiesa sotto casa?

Troppa gente all'unisono e da più parti d'Italia dice le stesse cose per pensare che sia solo un fatto isolato. Troppo facile credere che siano pochi sparuti alienati che preferiscono vivere una fede strampalata e personale anziché una fede di comunità. Se è vero che la fede cattolica si basa sulla comunione e non sull'individualismo, bisogna anche dare alla gente la possibilità di sentirsi integrata e a proprio agio in una comunità.

Invitiamo la gerarchia a farsi delle domande, se non vuole perdere ancora una volta la possibilità di un dialogo con i fedeli.

Perché noi un prete così faremmo carte false per averlo e se ce lo portassero via non staremmo di certo a guardare! Per questo siamo solidali con chi ha avuto la fortuna di fare concretamente un pezzo di strada assieme a lui ed ora se lo vede strappare via.

È stata lanciata anche l’iniziativa di raccogliere lettere in mio sostegno.

Chi volesse sostenere don Giorgio mandando una lettera può farlo inviandola come messaggio privato a questa pagina.
Appena possibile la pubblicheremo tra le nostre note (ricordatevi di specificare nome cognome e località da cui scrivete).
Potete indifferentemente rivolgerla a don Giorgio, al Card. Scola o al Santo Padre, ciò che conta è che uniate la vostra voce alla nostra contro questa singolare ingiustizia: non solo una rimozione, ma l'obbligo di autocensura.
Sì, perché a don Giorgio infatti non sarà più assegnata alcuna parrocchia, stando alla decisione così com'è allo stato attuale.
Tutto ciò che gli hanno concesso è una celebrazione di una sola Messa festiva in una chiesa vicina, con i limiti di non invadenza che ogni ospite dovrebbe rispettare, senza nemmeno una garanzia di continuità di questo servizio pastorale. Per saperne di più sulla faccenda vi invitiamo a leggere i link e la documentazione che abbiamo pubblicato e che pubblicheremo nei prossimi giorni.

 

7 Commenti

  1. ezio ha detto:

    Giù le mani da Don Giorgio – tutta la mia stima per questo sacerdote coraggioso.

  2. lina ha detto:

    Mi chiedo perchè con la penuria di sacerdoti che esiste, si mandano in pensione sacerdoti che possono e desiderano essere ancora attivi nell’attività pastorale. Nella mia parrocchia ha celebrato fino a circa un anno fa, un sacerdote ottantenne, che adesso non collabora più solo perchè si è ammalato gravemente.

  3. Patrizia 1 ha detto:

    Sembrerebbe che “qualcuno” stia per alzare i tacchi dal Vaticano, questione di giorni.
    Papa Francesco ti vogliamo bene.

  4. ada ha detto:

    “Perchè?” avrà chiesto Maria SS trovandosi il Figlio, morto straziato, tra le braccia;
    “Perchè?”

    Abramo è partito senza sapere dove veniva portato,
    Mosè ha operato per Dio senza poter mettere piede nella Terra Promessa,
    e, per verificare ai giorni nostri,
    il card Martini ha accettato di condurre la diocesi di Milano contro la propria volontà,
    ha ubbidito alla chiesa-struttura, ben sapendo che quella dell’ubbidienza era la strada da percorrere per rimanere nella Provvidenza di Dio,
    ma non ha mai rinunciato a dire ciò che pensava, da profeta moderno qual era.
    Card Ratzinger o card Martini, chi dei due ha vinto?
    Tutti e due, anche se sono sembrati sconfitti ambedue, hanno portato avanti il Progetto di Dio!
    La nostra è la sequela a Cristo che, umanamente è stato sconfitto e che ha lasciato i discepoli disorientati,
    ma che in reltà è sempre vittorioso. Sulla Terra siamo pellegrini e sempre in cammino, tra mille difficoltà, ma dobbiamo ricordare che la nostra meta è la Gerusalemme Celeste, ch il Paradiso non è su questa terra!
    La vera Chiesa è la Chiesa dei martiri, disprezzati, ma beati!
    Non si preoccupi don Giorgio, vedrà che Cristo porterà frutti copiosi alla Sua parrocchia.
    Lei, forse, come il card Martini, alla Sua età, dovrà ritirarsi a pregare, e ciò, ricordava Madre Teresa,
    è l’attività missionaria più importante!
    Che Dio La benedica e La guidi!

  5. Hayku ha detto:

    Un perchè potrebbe non esserci. Potrebbero essercene anche più di uno. Comunque una semplice risposta non ci sarà,penso, a parte la quiscenza per raggiunti limiti di pensione.

    Nella sequenza della vicenda raccontata da Don Giorgio, se ricordo bene, si chiedeva di togliere gli articoli dedicati al cav.b. Una volta tolti “ciao Menega!”, come recita un luogo comune locale!.

    Una risposta esaustiva forse non ci sarà. Perchè?

    Alla fine credo, modestamente, che alcune figure della Chiesa,le figure gerarchiche, ma non solo,nutrono una vera e propria PAURA. ( per non dire terrore).

    Un intenso turbamento misto a preoccupazione ed inquietudine verso il primato di aver concesso una “eccezzione” ad un Sacerdote, a Don Giorgio per esmpio,e alla Comunità di Monte, e alla comunità virtuale, ma non passiva, per esempio.

    PAURA che la Comunità di Monte, col suo pastore, diventi una sorta di “officina pensante”, capace di porre a repentaglio le “certezze” certe di un tram tram, che in certe città, certi Paesi ha visto chiudere templi vendendo gli stessi arredi.
    Chiusi i templi, venduti gli arredi, SPARITA la S.EUCARESTIA.
    Dei fedeli?
    Spariti.
    INCREDIBILE.

    Non riesco a pensare ad alternative alla PAURA.
    Altri tipi di analisi, porterebbero fuori tema, lasciando spazio più all’esercizio tanto di moda che si chiama PETTEGOLEZZO, che personalmente aborro.

    Gli inviti a NON ABBIATE PAURA, ormai si sprecano.
    Iniziando da GESU’!

    NON ABBIATE PAURA.
    NON ABBIATE PAURA.
    NON ABBIATE PAURA.

    LA PAURA NON BASTERA’ a mantenere quei “piacevoli” stati di apparente confort, che alla fine verranno meno. Per tanti motivi.

    Osserviamo il Santo Padre Francesco.
    Non è un esempio di CHI NON HA PAURA, DI CHI NEPPURE LA PENSA, LA PREVEDE LA PAURA.

    Solo CORAGGIO. Il CORAGGIO DI GESU’.
    CONFIDIAMO IN LUI, IN GESU’, E MARIA.
    E’ MEGLIO.

    Don Giorgio, noi dall’altra parte del Monte, comunità dell’etere, non temiamo e non abbiamo minimamente PAURA. Anzi, potenziamo le antenne.
    Siete contenti?
    Io SI. E GRAZIE, E AUGURI DI OGNI BENE, IN GESU’ E MARIA, a lei don giorgio e a tutta la comunita’.

    • Hayku ha detto:

      P.S.: CORREZIONE.
      Ho omesso il punto di ? al periodo “osserviamo il Santo Padre Francesco”.non è un esempio di CHI NON HA PAURA…………neppure la pensa, la prevede la Paura?.

      Mi correggo ed aggiungo l’interrogativo (?). Scusate.

  6. GIANNI ha detto:

    Interessante notare come, più o meno, le stesse questioni possano essere riproposte sotto molteplici aspetti.
    In questo articolo in particolare la stessa questione di precedenti articoli viene riformulata con uno specifico riferimento ad una precisa dimensione, anche storica, del fenomeno ecclesiale, la comunità di base.
    E, come una domanda può essere reinterpretata, riproposta, in chiavi diverse, con riferimento ad aspetti diversificati della stessa, parimenti anche la risposta può cercare vie nuove, variegate.

    Personalmente, tuttavia, credo che al fondo vi sia la stessa sostanza, la stessa questione di fondo che accomuna i diversi articoli.
    Leggendo qua e là alcune note, anche in chiave storica e sociologica, sulle comunità di base, noto sopratutto un tratto distintivo comune alle varie interpretazioni di questo fenomeno, il desiderio dei partecipanti di far parte di una chiesa altra.
    Il problema, come già dicevo, sta tutto lì.
    Cosa significa altra?

    Sicuramente, una chiesa non è altra perché una usa la chitarra e l’altra un organo a canne durante le funzioni, vero?

    Credo che a volte anche qualche elemento terminologico possa essere chiarificatore di un tema.
    Forse sbaglio, ma noto questa distinzione tra comunità di base e movimento ecclesiale, altra espressione usata nell’articolo.
    Non sono la stessa cosa, sopratutto perchè mentre la prima, in quell’essere altra, propone anche una diversa visione di fede, proprio nel senso di mancata accettazione almeno di alcuni elementi, di taluni dogmi, dell’intera dottrina della chiesa, con annessi e connessi, invece il movimento ecclesiale, pur sottolineando qualche aspetto particolare, si muove pur sempre nell’ambito di un rispetto di tutta la dottrina della chiesa cattolica.
    Ma, sin qui, come dire…nulla di nuovo sotto il sole.
    Credo sia invece utile da parte di chi affronta queste problematiche definire le cose con assoluta onestà intellettuale, facendo anche un esame di coscienza delle sue posizioni.
    Cioè fare un passo avanti, e domandarsi, conseguentemente, se la propria visuale di una fede diversa, concetto che viene spesso richiamato, porti anche ad una mancata accettazione della dottrina della chiesa, in tutto o in parte.
    Si condivide, ad esempio, oppure no il dogma dell’infallibilità pontificia?
    E quello dell’assunzione?
    Si condivide oppure no il considerare taluni comportamenti sessuali come peccati?
    .
    Parliamoci chiaramente.
    Anche e soprattutto da parte di coloro che dicono che Cristo, con il famoso invito a dire si, si, e no, no, richiamasse in primis l’esigenza della chiarezza, non è assolutamente eludibile un’istanza di onestà intellettuale.
    Il si, si, no, no, non è solo un invito a dire le cose come stanno in una comunicazione verso l’altro, ma innanzi tutto verso se stessi.
    Come si può pretendere che gli altri siano chiari con noi, intellettualmente onesti sino in fondo, chiamino le cose con il loro nome, se noi non siamo i primi a farlo?
    In tal senso, ad esempio, ho sempre ammirato la scelta di coloro, famosi o non famosi, attori di primo piano o persone poco o per nulla note, che fanno i conti con la propria visuale di fede e capiscono, allora, che non è la stessa della fede cattolica.

    Diversamente che senso avrebbe parlare di una chiesa altra, diversa, e via dicendo?
    In tale direzione, ad esempio, ecco una grande diversità tra un Mancuso ed un Kung.
    Il primo ha preso atto, il secondo spesso glissa.
    La stessa chiesa (non tutti per la verità) intesa come gerarchia spesso non affronta direttamente il tema, usando due pesi e due misure, anche secondo il peso politico dei vari esponenti.
    Forse, verso un Kung preferisce lasciar correre, anche perché, conoscendo il peso che il noto teologo ha a livello internazionale, teme uno scisma, se Kung decidesse di partire verso altri lidi confessionali, fondando una sua chiesa.
    Altri hanno preferito non attendere responsi curiali e fare armi e bagagli, andandosene prima ancora.
    Vedi Mancuso.

    Io dico che bisogna sempre dire si, si, no, no, e dobbiamo essere noi i primi a dirlo, se speriamo che poi gli altri facciano ugualmente.
    Personalmente, quindi, (a prescindere da quello in cui io credo o meno, lo dico a scanso di equivoci) ho sempre avuto il massimo apprezzamento e rispetto di una posizione come quella di Mancuso, mentre non ho mai condiviso quella di un Kung, proprio per il fatto che il si, si, no, no, viene declinato a parole, ma nei fatti non viene portato alle sue conseguenze.
    Una sorta di sostanziale contraddizione, per sarebbe quella di chi, ad esempio, di idee politicamente liberali volesse continuare ad essere iscritto ad un partito comunista, o viceversa.

    Che senso ha?
    Nessun senso, a mio avviso.
    Comunque non tutti, nella chiesa, parlano il linguaggio dell’ipocrisia, non tutti sono attori che recitano una parte.

    Vedi quel teologo, che, come dicevo, parla apertamente di eresie, da me richiamato in un commento a precedente articolo.
    Vogliamo dire che questo teologo non abbia parlato il linguaggio del si, si, no, no?
    Io direi l’opposto.
    A volte domina, nella chiesa, o meglio in taluni suoi esponenti, un atteggiamento pavido, di paura a dire le cose come stanno.
    Non certo in un Mancuso, non certo in un teologo, come quello da me ricordato, mi pare.
    Interessante notare come, evidentemente su posizioni teologiche decisamente diverse, un Mancuso e quel teologo, il primo non più all’interno della dottrina cattolica il secondo ovviamente si, abbiano avuto lo stesso coraggio di parlare il linguaggio senza infingimenti del si, si, no, no.
    Senza eludere la questione di fondo:
    come ci si può ancora definire cattolici, se per la chiesa cattolico è colui che accetta tutta la dottrina, non solo qualcosa si e qualcosa no?
    E’ anche una questione di coerenza.
    Per cui, caro don Giorgio, mi viene spontaneo domandarti:
    meglio fare come Kung, che come eretico (tale definito da un teologo) preferisce talora glissare su qualche punto della dottrina e comunque restare nella chiesa cattolica, oppure meglio agire come un Mancuso?
    La mia risposta la conosci già.

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