Omelie 2019 di don Giorgio: SECONDA DI AVVENTO

24 novembre 2019: SECONDA DI AVVENTO
Bar 4,36-5,9; Rm 15,1-13; Lc 3,1-18
I protagonisti dell’Avvento
Due sono i personaggi o protagonisti che caratterizzano l’attesa della nascita di Gesù: Giovanni il Battista (o Battezzatore) e Maria di Nazaret, vergine-madre.
Vorrei chiarire. Ho detto personaggi o protagonisti, ma attenzione: le due parole sono equivoche, non vanno cioè intese nel senso che intendiamo noi, quando parliamo di un soggetto con delle particolari caratteristiche che lo contraddistinguono dalla massa, talora ritenendoli dotati di capacità personali tali da suscitare ammirazione o, viceversa, disprezzo.
La parola “protagonista” è composta di due parole greche (πρῶτος «primo» e ἀγωνιστής «lottatore, combattente»). Viene adottata nel linguaggio teatrale soltanto alla fine del sec. 17°, dapprima in inglese e successivamente anche in italiano. Poi la parola è passata nel linguaggio comune, soprattutto nel campo politico e anche ecclesiale. Si parla anche di protagonismo in senso peggiorativo, in riferimento a comportamenti abituali caratterizzati dalla smania di essere in primo piano, di mettersi in mostra, di primeggiare a tutti i costi.
La parola “personaggio” deriva da “persona”, intesa però come fuori del comune: una persona che ha qualcosa in più di altre persone. Sentiamo parlare di personaggi, quando leggiamo libri di storia. A dire il vero i libri di storia non parlano di gente comune.
Tutto questo per far capire che Giovanni il Battista e Maria di Nazaret non rientrano in queste due categorie: di protagonisti e di personaggi. Non sono “personaggi” o “protagonisti” nel senso storico, ma “servi” di un Disegno divino, intendendo per servo un umile collaboratore che esce dai canoni storici. Basterebbe ricordare le parole di Giovanni il Battista: «Lui (il Cristo) deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30) oppure le parole di Maria di Nazaret nel Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-48).
La Parola di Dio venne su Giovanni
All’inizio del capitolo terzo del Vangelo di Luca, troviamo una fine ironia dell’evangelista. Dopo aver citato personaggi storici dell’epoca, nel campo politico (Tiberio Cesare, Ponzio Pilato, Erode, Filippo suo fratello e Lisània) e nel campo religioso (i sommi pontefici Anna e Caifa), ecco che la parola di Dio dove è diretta? Non nei palazzi di potere, ma nel deserto, dove si posa su un predicatore-battezzatore di folle, Giovanni, forse ancora sconosciuto alla gran parte della gente.
Il deserto
Sul deserto potremmo dire tante cose, una in particolare. Anticamente era visto come il luogo del silenzio, della essenzialità, della riflessione, della conversione. Ancora oggi il deserto, nell’immaginario collettivo è il luogo dell’aridità, di una distesa di sabbia cotta dal sole, dove non c’è vita.
Per il Signore non è così, e neppure per i suoi profeti. Nel deserto Dio s’incontra con l’essere umano, nella sua essenzialità. Nel deserto si stabilisce un rapporto di amore profondo con il Divino.
Giovanni ha scelto un angolo di deserto per risvegliare la coscienza della gente, con una parola tagliente e un battesimo di penitenza presso il fiume Giordano.
Luca riporta alcune frasi di Isaia. In realtà si tratta del secondo libro di Isaia, ovvero scritto da un profeta anonimo, che è vissuto al tempo della deportazione babilonese e del ritorno degli esuli in Palestina dopo l’Editto (538 a.C.) del persiano Ciro il Grande. L’anonimo profeta immagina un ritorno su strade pianeggianti senza ostacoli, per facilitare il cammino. Luca applica questi versetti a Giovanni il Precursore, ripresentato come una voce che grida nel deserto: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Naturalmente Giovanni il Battista pensava alla conversione nello spirito, ad una strada interiore, dove ogni ostacolo va tolto, per lasciare il posto all’incontro con il Divino.
È vero che il Battista invita anche alla conversione esteriore, ovvero ad un comportamento più onesto, più consono ad un essere umano, secondo il proprio stato di vita e secondo le responsabilità che uno ha anche nel campo sociale. E notate che “razze di vipere” lo dice alle folle, che si aggrappavano a tutto (“Abbiamo Abramo per padre”), pur di trovare una giustificazione al loro incoerente comportamento e alla loro fede oramai vuota del Divino.
E oggi?
Oggi la liturgia, ripresentando, in questo periodo d’Avvento, le parole dell’anonimo profeta dell’Antico Testamento, riprese dal Battista, senza dimenticare le nostre incoerenze comportamentali (forse una parola più chiara, da parte della gerarchia della Chiesa, di cui fa parte anche il clero, contro il barbarismo politico non guasterebbe), non può dimenticare che la sorgente del male sta in quell’ego, o in quell’amor sui, di cui parlavano ripetutamente i grandi mistici medievali: è l’amor sui, che pone i veri ostacoli al nostro cammino interiore.
Qualcuno talora mi dice: “Tutte parole buttate al vento! La gente non capisce, perché non vuole capire! Non si rovini il fegato, lasci perdere. Quando andranno a cadere in un burrone, allora magari qualcuno aprirà gli occhi!”. Come potrà aprire gli occhi, se sarà già morto?
Il problema è che la massa è già caduta in un burrone, ed è là distesa come nella famosa valle di ossa inaridite, di cui parlava il profeta Ezechiele (capitolo 37). Ma il profeta ha avuto una visione ottimistica: quelle ossa inaridite hanno ripreso a vivere al soffio dello Spirito. Ma può può oggi una valle di ossa inaridite riprendere a vivere, quando blocchiamo lo Spirito creandogli mille ostacoli?
Anche il profeta Baruc, nel primo brano della Messa, parla di un Dio che «ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio». Ma all’inizio del brano il profeta Baruc, portavoce di Dio, invita: «Guarda a oriente, Gerusalemme, osserva la gioia che ti viene da Dio». Oriente, ovvero là dove sorge il sole. Simbolicamente significa là dove la luce divina illumina nel profondo del nostro essere.

1 Commento

  1. antonio ha detto:

    Quello che talvolta mi chiedo è se il deserto sia uno spazio raggiungibile nella meditazione, riflessione e preghiera, in particolare oggi, dove la sovrabbondanza di stimoli è abnorme. Voglio dire, mi pare in alcuni passaggi anche Gesù si sia ritirato in luoghi oggettivamente meno rumorosi, per quale motivo? Forse perché la struttura dell’essere umano, dunque anche la sua psicologia, fatica a raggiungere una visione d’insieme, utile a cogliere il senso e la direzione, in un ambiente contaminato da troppi stimoli esterni?

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