Scusate se parlo ancora dei deliri di Salvini

da la Repubblica

Scusate se parlo ancora dei deliri di Salvini

Il caso Follonica e l’uso dei social come una palestra di idiozia, amplificatore della miseria umana. Per spiegare il meccanismo che porta allo sfruttamento della paura si può studiare la lezione del Maestro Yoda
di ROBERTO SAVIANO
La storia la conosciamo. A Follonica due donne nomadi vengono rinchiuse da tre dipendenti in un gabbiotto nel retro del supermercato Lidl dove si trovano cassonetti e oggetti fallati. Una volta rinchiuse, uno dei dipendenti riprende la scena mentre una delle due donne strilla spaventata, disperata. Gli uomini ridono e giocano. Uno dice: “Non si può entrare nell’angolo rotture, non si può entrare nell’angolo rotture della Lidl”. Continuano a riprenderle, poi postano il video e inizia, in Rete, una catena di condivisioni.
 La vicenda viene percepita come una bravata goliardica. Addirittura circola un meme con l’immagine della donna che urla nella gabbia con la scritta “Trappola per zingari”, il tutto inserito dentro un manifesto pubblicitario di prodotti Lidl. Un fotomontaggio che è stato condiviso migliaia di volte in pochi minuti.
Che pesantezza, penseranno alcuni lettori. Adesso volete attaccare anche coloro che hanno beccato delle ladre zingare?! Infatti arriva Matteo Salvini.
Condivide il video in un post su Facebook in cui non stigmatizza, ma anzi sostiene l’azione dei tre uomini e continua a motteggiare la signora nomade che strilla in preda al terrore. E ci aggiunge l’immancabile hashtag #ruspe, che è letteralmente un invito a delinquere. La Lidl dimostra invece un comportamento assai più responsabile e condanna prontamente l’episodio in un comunicato: sa benissimo che, dentro le regole democratiche, un gesto del genere è un moltiplicatore di violenza, è l’indicazione di un bersaglio.
“Un gioco era ma quale sequestro di persona!” (per cui sono indagati i dipendenti), “ma voglio vedere se succede a casa tua che becchi una zingara cosa succede…”, “ma quanto buonismo!”: sono questi i commenti che si leggono sui social sotto i post di chi critica il comportamento dei dipendenti della Lidl. Questa parola, buonismo, è diventata una specie di scudo contro qualsiasi pensiero ragionevole, contro qualsiasi riflessione in grado di andare oltre il raglio della rabbia e la superficialità del commento. Qualsiasi cosa non sia circoscritta nel perimetro dell’insulto o che abbia il marchio del sarcasmo diventa buonismo. Una parola sacra, quella di “bontà”, costretta in un contesto del tutto estraneo. Qui nessuno sta facendo appello alla bontà, si vuole analizzare un comportamento e valutarne le conseguenze. Eppure parlare di diritti umani è buonismo. Parlare di integrazione è buonismo. Criticare gli insulti degli hater è buonismo. Valutare criminali le affermazioni di Salvini è buonismo. Quindi cosa è non-buonismo? L’insulto, il cachinno, il darsi di gomito, il pettegolezzo?
Smettiamola. Aboliamo questa parola. Qui non c’entra la bontà e non c’entra neanche il politicamente corretto, espressione abusata dagli stessi che usano la parola “buonista” come sinonimo di una politica ipocrita che proclama i buoni sentimenti ma poi nel quotidiano fa pagare agli altri il prezzo della propria correttezza e si mantiene nel privilegio. Nulla è più rigoroso e dignitoso della correttezza invece.
Due donne stavano rovistando tra gli oggetti fallati. Stavano facendo bene? Assolutamente no. Le persone che compiono un reato non vanno denunciate? Sì, certo che vanno denunciate, è lapalissiano. Rinchiuderle, motteggiarle, riprenderle, “fare i galli sulla monnezza” – espressione che, nella saggezza del dialetto napoletano, significa farsi fighi sui disperati – tutto questo è un’altra cosa. E non mi riferisco solo al comportamento dei tre dipendenti, ma di tutti coloro che hanno ripreso il video e l’hanno commentato con toni violenti: “cacciamoli”, “ne abbiamo piene le scatole di questi parassiti!”, “se li beccavo a rubare nella mia azienda gli tagliavo le mani?!”.
Ed è leggendo questi commenti che capisci quanto sia grave la reazione di Salvini, un leader politico che dovrebbe favorire il dibattito costruttivo, e che invece non fa altro che istigare all’odio e giustificare le azioni violente. “Basta, siamo stanchi!” urla l’hater medio che in politica appoggia Salvini, Trump, Le Pen, e tutti i populismi meri contenitori e amplificatori della sua rabbia, poco importa dei veri programmi. Quello è il nemico, quella persona ci dice che possiamo combatterla (e batterla) così? Quella persona vogliamo. E chiunque pensi che ci sia qualcosa di sbagliato in questo meccanismo, beh, allora sta difendendo i delinquenti, parla solo in nome del buonismo e non della ragione. Cosa può rendere migliore un meccanismo politico? I percorsi. Dannazione, i percorsi da fare per affrontare i problemi. Queste persone neanche sanno qual è la condizione dei rom, dei boss nomadi, del mercato d’armi, del traffico di esseri umani (che gestiscono, spesso, proprio le organizzazioni criminali rom) e la sacrosanta verità che queste manifestazioni criminali non coincidono con l’intero popolo rom. Non si entra nel merito di questo dibattito, no, si preferisce fare i galli sulla monnezza.
Già vedo le facce: come sei pesante… Savia’.
Fiero di questa pesantezza. Molto meglio che la stolta leggerezza del prendersela con ultimi disperati e del galvanizzarsi sfotticchiando. Prendendo in giro e prendendo in giro ancora, in questo modo becero, qualunquista, non si fa null’altro che asciugare le poche pozze rimaste dove può ancora galleggiare la ragione.
Il problema quindi, per Salvini, non è assolvere o condannare le donne rom sorprese a rovistare nella spazzatura, ma utilizzarle come bersaglio, avvelenare i pozzi del ragionamento, alimentare solo pregiudizio. Solo pregiudizio e scontro, che non portano a nessuna soluzione rispetto al flusso dei migranti, non dimostrano nessuno sforzo nel cercare di comprendere le micro e macro dinamiche criminali nella comunità rom. Si usa il social come una palestra di idiozia, amplificatore della miseria umana di cui Salvini vuole fare capitale.
Per spiegare il meccanismo che porta allo sfruttamento della paura da parte della politica vorrei citare la Scuola di Francoforte, che ha a lungo parlato di questo. Vorrei poter citare anche la Psicologia delle masse e analisi dell’Io, testo fondamentale di Freud per capire come funziona la testa di tutti gli odiatori e commentatori accaniti del nostro tempo. E invece citerò il Maestro Yoda, che forse persino chi vota Salvini e Salvini stesso conosceranno e che ha spiegato a tutti il populismo di ogni tempo: “La paura è la via per il Lato Oscuro. La paura conduce all’ira, l’ira all’odio; l’odio conduce alla sofferenza”.

 

4 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    Il problema non è il taccheggio, il problema è il razzismo. Non voglio dire che se non si fosse trattato di zingare o extracomunitarie, i dipendenti del supermercato avrebbero ignorato l’accaduto o che le potenziali ladruncole se la sarebbero cavata con una ramanzina, ma certamente non sarebbero state esposte alla berlina e, una volta postata la clip, alla gogna mediatica dei social net. Non ho alcuna voglia di ergermi a censore e moralista, anche perché non credo che ce ne sia bisogno e, oltretutto, non essendo nato ieri conosco bene quel senso di fastidio che serpeggia dentro di noi quando siamo alle prese con qualcuno che troviamo strano per il colore della pelle, per la cultura, la lingua o la religione, e di cui istintivamente siamo portati a diffidare, perché la diversità ci spiazza e ci fa sentire a disagio, mettendo in discussione le nostre certezze e il nostro habitat quotidiano. Ma la diversità, anche se non piace a Salvini, Le Pen, Trump e chi la pensa come loro (sempre che si tratti di persone in grado di ragionare), esiste e non la possiamo ignorare. E l’unico modo per affrontarla in modo costruttivo è considerarla naturale, come avere gli occhi e i capelli di un colore differente, o esseri alti o bassi, o più o meno brillanti e socievoli, e così di seguito. Insomma, solo superando ogni remora, ogni pregiudizio e quella voglia insidiosa di offendere e deridere che una certa propaganda scellerata insinua nelle nostre menti.

  2. GIANNI ha detto:

    Mi pare che non sia necessario ricorrere alle lungaggini di Saviano per capire come stanno le cose.
    La questione è, ancora una volta, prettamente legale.
    In casi come questo meglio approfondire quali siano, intanto, i poteri ed i limiti di chi esercita una forma di arresto.
    Si tratta del famoso furto nei supermercati.
    A tale riguardo, dobbiamo distinguere due casi, furto semplice e furto aggravato.
    Si tratta di furto aggravato in tutti quei casi in cui non vi siano vigilantes o mezzi antitaccheggio, in quanto furto su beni esposti alla cosiddetta pubblica fede, cioè che chiunque può agevolmente prendere.
    Ma, nei casi in cui vi sia appunto un qualsiasi strumento antitaccheggio o di vigilanza, la cassazione ha escluso l’ipotesi del furto aggravato.
    Siamo quindi in presenza du furto semplice.
    Perchè questo è importante?
    Perchè l’arresto in flagranza di reato, possibile al privato, sarebbe consentito solo in caso di furto aggravato.
    Pertanto nè i privati, e neppure eventuali guardie giurate, che non rivestono la qualisifica di publici ufficiali, potrebbero compiere un arresto.
    Questo scondo la legge.
    Poi la qustione è stata complicata dai giudici della cassazione, che in alcuni casi ammettono una forma di arresto, quale forma di tutela della proprietà.
    Insomma, le cose non sono chiarissime, ed evidentemente i giudici in questo caso hanno ritenuto che l’arresto non potesse compiersi, pena il commettere come minimo violenza privata o peggio sequestro di persona.
    Già qui occorre chiarire una cosa: se la legge ha ritenuto fondamentale precisare i casi in cui il privato, compresa la guardia giurata, può o non può arrestare qualcuno, è perchè si deve trattare di casi tassativamente previsti dalla legge, quindi non posso certo concordare con i giudici della cassazione, che hanno ritenuto sussistere un ulterore diritto d’intervento da parte del privato.
    In ogni caso, anche ammettendo che un intervento del privato fosse ammissibile, certo resta un reato il dileggiare, diffamare persone che spesso, peraltro, rubano per necessità.
    Per inciso vorrei anche ricordare che il legislatore si è reso conto che era assrudo spesso voler perseguire tutte le fattispecie astrattamente previste come reato, prevedndo la non punibilità per fatti di modica entità.

    • pincopallo ha detto:

      scusa ma non dovrebbe essere il contrario?
      furto aggravato se c’e uno strumento antitaccheggio perche dovrei rumuoverlo l antifurto
      mentre se non ce nessun sistema antitaccheggio basta che semplicemente metto la roba nella borsa ed esco dal supermercato

      • GIANNI ha detto:

        IL furto aggravato si verifica, tra l’altro, nellìipotesi di cui art. 125 n. 7 codice penale:
        le cose che si vendono in un supermercato rientrano nella categoria prevista per l’aggravante:
        se il fatto è commesso su cose…… esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede …
        laddove per cose esposte alla pubblica fede si intendono: cose che si trovano in una situazione per cui un numero indeterminato di persone possono venirne in contatto per una specifica causa, per necessità, per consuetudine o per destinazione naturale.
        E, quindi, questo tipo di furto è considerato aggravato e quindi perseguibile d’ufficio.
        Solo che alcune sentenze della cassazione hanno stabilito che anche in questo caso non si tratta di furto aggravato, ma di furto semplice, nel caso di un sistema antitaccheggio.
        Infatti, il trattarsi di cose esposte alla pubblica fede rende il reato aggravato, perchè più semplice, mentre un sistema antitaccheggio lo rende uguale, secondo la cassazione, al furto su cose non esposte alla pubblica fede.
        Ma se esiste un sistema e questo viene disattivato, allora il reato resta comunque furto aggravato, pervhè si ricade nell’ipotesi di cui sempre art. 125 codice penale, ma numero 2:
        se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento.

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