Omelie 2018 di don Giorgio: DOMENICA DELLE PALME

25 marzo 2018: DOMENICA DELLE PALME
Is 52,13-53; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
Il quarto canto del servo del Signore
Il primo brano è una delle pagine più celebri dell’intero Antico Testamento: è il quarto canto del servo del Signore, dopo gli altri tre che si trovano nei capitoli 42, 49 e 50.
Il quadro che l’anonimo profeta descrive è terribile, desolante. Il servo è sfigurato e talmente inguardabile che sarà riscoperto dai popoli con orrore e raccapriccio e si meraviglieranno di questa impotenza e desolazione. Egli è l’uomo dei dolori, nato e cresciuto nel rifiuto e nel disprezzo.
La figura del servo rappresenta il popolo in esilio, ma ricapitola in sé anche tutte le caratteristiche degli eroi e dei profeti del Vecchio Testamento. Però le sorpassa tutte e diventa una figura che si proietta sul futuro con impressionante somiglianza con Gesù. Gesù stesso (lo si rileva dagli scritti del Nuovo Testamento), interpreta la sua opera e la sua morte alla luce di questo testo.
Il brano di Giovanni: un anticipo della risurrezione
Il brano del Vangelo, invece, pur inserito già nel contesto della passione di Gesù, nei suoi inizi, è un quadro stupendo di delicatezza femminile, che esprime un gesto di gratitudine reso da Maria al Maestro che aveva ridato la vita al fratello Lazzaro. L’evangelista Giovanni, insieme alla sua comunità, legge e interpreta l’episodio alla luce della fede mistica, in contrapposizione alla lettura e interpretazione banale e venale di Giuda.
Quel generoso profumo di costoso unguento versato sui piedi di Cristo è un anticipo della sua risurrezione: un profumo di vita nuova che riempirà col suo aroma spirituale il mondo intero.
L’ulivo ai bambini, le palme agli adulti
Con questa domenica è iniziata la Settimana Santa, che per i cristiani anticamente era chiamata “autentica”, nel senso di eccellenza, ma soprattutto perché modello di tutte le altre settimane.
A introdurre la Settimana Santa è la festa detta dell’ulivo o delle palme.
Già qui potrei fare tutta un serie di riflessioni. Parlando di cristiani, distinguerei i cristiani autentici dai cristiani della Messa di mezzanotte e dai cristiani dell’ulivo.
Le chiese si riempiono alla mezzanotte di Natale anche di gente che di solito non va mai a Messa. Così, alla domenica delle Palme, tantissimi, anche poco credenti e per nulla praticanti, vanno in chiesa a prendere un ramoscello di ulivo, magari senza poi partecipare alla Messa. Quanto ero a Sesto San Giovanni mi ricordo la lunga fila per prendere l’ulivo, e c’era anche (allora non c’erano ancora gli extracomunitari) c’era chi lo vendeva sul piazzale della chiesa.
Quando ero prete di parrocchia, mi commuoveva vedere i bambini tenere in mano con tanta gioia un ramoscello di ulivo, mentre dall’oratorio si procedeva verso la chiesa per la Messa. Sceglievano il ramoscello più grande, talora più grande della loro persona. Gli adulti erano invece preoccupati di portarlo a casa, distribuendolo anche tra amici e parenti. Pura superstizione?
Perché l’ulivo?
Perché l’ulivo? I cristiani rispondono: per ricordare il gesto degli abitanti di Gerusalemme che, come dicono i Vangeli, avevano accolto trionfalmente Gesù, mentre entrava nella città santa, pochi giorni prima che venisse condannato e messo su una croce.
In realtà, gli evangelisti non parlano di rami di ulivo, ma di rami tagliati dagli alberi o di fronde tagliate nei campi. Solo il quarto evangelista parla di rami di palme.
Certo, gli ebrei non potevano dimenticare il mito del diluvio, quando Noè, dopo quaranta giorni di piogge ininterrotte, per sapere se la terra fosse vicina, aveva lasciato uscire dall’arca prima un corvo, senza ottenere alcun risultato, e poi una colomba, la quale, poco dopo, era tornata con “una tenera foglia di ulivo” nel becco.
Dunque, l’ulivo simbolo di una nuova umanità. Ma forse a noi moderni non interessano molto i simboli. Ci è rimasto ben poco del mondo dei segni. Viviamo di talismani, di amuleti, di magie, di superstizioni, e di tanto altro ancora.
Un evangelista, precisamente Matteo, parla anche della presenza dei piccoli, durante l’ingresso di Gesù. Gridano con tale entusiasmo che i caporioni tentano di farli zittire. Ma Gesù risponde che la loro voce è la migliore lode di Dio.
I piccoli del giorno d’oggi hanno forse perso la voce? Mi sembra che i ragazzi moderni manchino di spontaneità, di quel loro fascino d’essere che, quando esce allo scoperto, sa ancora incantare.
Ma a noi adulti preme solo il nostro io, che da tempo ha distrutto quel “fanciullino” di pascoliana memoria che, comunque lo si voglia intendere, può ancora ricordarci qualcosa di quella semplicità più volte richiamata dallo stesso Gesù Cristo.
Se per un bambino ha ancora senso un ramoscello di ulivo, per gli adulti dovrebbe invece avere più senso un ramoscello di palma.
Non sto qui a elencare tutta la simbologia presente nella palma. Dico solo che già presso i primi cristiani la palma era simbolo di vittoria, ma attenzione: nell’iconografia cristiana la palma era spesso associata ai martiri. Motivo? I martiri erano ritenuti i veri vincitori, e non tanto vittime delle persecuzioni del potere.
Palma e martirio, ovvero testimonianza, come dice l’etimologia della parola “martirio”. Altro che pace, come serenità o tranquillità o comodità o pacifismo e via di seguito. Ogni giorno è un martirio, ovvero una testimonianza di Umanità.
Anche i bambini imparano ben presto che l’ulivo è destinato a trasformarsi in una palma. Spetterà a noi adulti prepararli alla lotta, e non invece viziarli, lasciandoli in un mondo di bambagia. Un passo alla volta, certo, ma bisognerà pur favorire in loro la realtà spirituale, ovvero lo spirito vitale dell’essere umano.
Se la società non ha vergogna di parlare loro di un mondo di cose, perché noi dovremmo aver vergogna di parlare loro di spirito?
Non ci accorgiamo che queste fragili creature man mano che crescono, vengono mortificate nel loro essere interiore, e che perciò sono destinate ad una morte precoce, prima della loro morte fisica?

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