Omelie 2021 di don Giorgio: NONA DOPO PENTECOSTE

25 luglio 2021: NONA DOPO PENTECOSTE
2Sam 6,12b-22; 1Cor 1,25-31; Mc 8,34-38
La Sapienza e la stoltezza
Se dovessimo chiederci quale sia la nota dominante nella Bibbia, forse non sbaglieremmo rispondendo: “È la sapienza e, per contrasto, la stoltezza”.
C’è addirittura un libro dell’Antico Testamento che ha come titolo: Sapienza. Di sapienza si parla anche nel libro dei Proverbi, dove la Sapienza divina è personificata in una donna: una ragazza che fa da architetto nella creazione dell’universo o una bimba che danza deliziando tutto il creato.
La Sapienza richiama quel Logos eterno, che è presente anche come vocabolo nel Prologo del quarto Vangelo.
La parola “sapienza” deriva dal latino “sàpere”, e significa “avere sapore”, “sentire sapore”,
ma quando la Bibbia parla di sapienza non intende qualcosa di carnale, qualcosa legato ai sensi. La sapienza è da intendere in modo figurato o spirituale: “avere senno”, “essere saggio”, “intendere”.
La sapienza riguarda l’intelletto. Ma qui attenzione: il grande filosofo Aristotele parla di due intelletti, uno ”passivo” che come una spugna assorbe tutto ciò che proviene dal mondo esterno; e uno “attivo”, che è orientato verso l’Intelletto divino, da cui è illuminato così da distinguere le cose nobili dalle cose carnali.
Dio è Colui che sa tutto, è onnisciente come ci insegna il catechismo. Dio è l’Intelletto che conosce se stesso. Dio si conosce come Infinito. L’Infinito che conosce se stesso.
Già qui appare la nostra stoltezza: crediamo di conoscere chissà che cosa, quando in realtà siamo finiti, abbiamo limiti da ogni parte, siamo ignoranti per natura. O meglio: siamo una scintilla divina e, se è bello dire che siamo una scintilla, non dobbiamo mai dimenticare che non siamo che “una” tra uno sterminato numero di scintille.
Secondo il grande filosofo greco Socrate «è sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s’illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza».
Il sapiente più sa, più si rende conto di non sapere, ovvero di essere ignorante. Più si avvicina alla verità, più la verità allarga i confini della nostra ignoranza. Invece, l’uomo stolto crede di sapere tutto. È stolto, oggi diremmo: è un imbecille.
Il sapiente non è colui che crede di sapere tutto, ma colui che toglie ogni suo apparente sapere per fare il vuoto dentro di sé, perché la Sapienza divina possa riempirlo.
Perciò, più accumuli dentro di te conoscenze umane, più togli a Dio la possibilità di farsi presente. Lo spazio dentro di noi deve essere libero, perché Dio lo possa occupare.
Il sapiente è colui che sa di non sapere, e si lascia avvolgere dalla Sapienza divina, che non è un insieme di conoscenze, ma è l’Intelletto puro che illumina il mondo delle tenebre, perché le tenebre si diradano, lasciando che la sapienza divina riempia la nostra vita.
E allora che cos’è la Fede?
E allora che cos’è la Fede? Non è una conoscenza di qualcosa, ma pura contemplazione del Mistero divino che non mi fa conoscere se stesso (cosa impossibile), ma emana se stesso come Bene Sommo.
Il Mistico non è colui che fa di tutto per conoscere Dio, ma fa di tutto per spogliarsi di ogni apparente conoscenza di qualsiasi immagine di Dio, per lasciare il posto al Bene Assoluto. Il termine “assoluto” deriva dal latino “ab-solutus”, e significa “sciolto da”: sciolto da ogni condizionamento, da ogni determinazione, da ogni definizione, da ogni dogma, ecc.
Ogni immagine o idea o concetto che abbiamo di Dio non è aderente al Mistero inconoscibile di Dio.
Perciò, la Fede mistica non è una qualche nostra conoscenza, ma pura addirittura “passiva” contemplazione del Mistero divino.
“Passiva” vuol dire che noi non dobbiamo fare nulla. Ogni cosa che facciamo disturba il Mistero divino.
Ma attenzione: se pensate che sia comodo o facile contemplare “passivamente” il Mistero divino vi illudete. La Chiesa ha condannato il Quietismo, verso la fine del Seicento, ma lo sappiamo perché l’ha fatto: la “passiva” contemplazione del Mistero divino comporta il fare a meno di ogni mediazione, e che cos’è la religione, la Chiesa stessa come istituzione, se non una mediazione, quel voler mettersi per traverso tra l’essere umano e Dio.
Se Dio è Mistero, è dunque inconoscibile. Solo il Mistico si fa riempire del Mistero divino, proprio perché egli si ritrae, si ritira da ogni conoscenza.
Forse non abbiamo ancora capito che l’uomo d’oggi tanto più crede di sapere, tanto più si chiude al Mistero divino. La Chiesa non ha ancora capito che tanto più impone dogmi tanto più si allontana dal Mistero divino.
Pensate poi alle credenze religiose, ovvero a quell’insieme di riti, di formule, di preghiere, ecc. con cui crediamo di nutrire la nostra anima. Eppure, Cristo ha detto che bisogna odiare la propria anima, psiche in greco, per liberare lo spirito da ogni condizionamento anche psichico.
Nel brano del Vangelo di oggi leggiamo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. E Gesù aggiunge: “chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”. Giovanni riferisce le stesse parole di Cristo, con un verbo però più duro: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (12,25). Qui attenzione alla traduzione in italiano che è equivoca. In greco ci sono due termini diversi: prima il termine psychè, anima, tradotto con vita, poi il termine zoè, tradotto ancora con vita, ma si tratta della vita eterna (ζωὴν αἰώνιον).
Sarebbe sbagliato “odiare” la propria vita, ma Gesù parla di anima o psyché, ovvero di quell’elemento ancora carnale, fatto di sentimenti, di emozioni, ecc., legato al corpo.
Dunque, Gesù ci invita a rinnegare il nostro ego, legato alla psiche e al corpo. Parla addirittura di odio verso l’ego e al mondo carnale.
È chiaro che Gesù la pensava come il mondo greco sullo spirito interiore. Noi siamo composti di tre elementi: corpo, anima (o psiche) e spirito. La religione tende a rinnegare la parte più profonda dell’essere umano, che è lo spirito. Essa parla di anima, e non sa che cos’è l’anima. Così di anima o psiche parla la psicologia e la psicanalisi, e non sanno che esiste anche lo spirito, che è la parte essenziale del nostro essere.
La vita eterna, che è già nel nostro essere, è spirito, e non anima o corpo.

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