Mi rivolgo ai credenti, rincoglioniti dal consumismo “osceno”

bergodeser
di don Giorgio De Capitani
Credo che papa Francesco, proponendo il Giubileo, non sapesse in realtà che cosa voleva. E così ha tirato fuori dal sacco delle sue sorprese una bella parola con cui coprire un certo vuoto: “misericordia”. Una parola tanto vaga quanto accomodante. Dice tutto, e dice nulla. Però fa colpo, buttando fumo sul vuoto di una chiesa-religione che oramai non regge più all’urto di una esigenza di Umanità, che è l’unica realtà che potrebbe finalmente ridare speranza al genere umano. Ma non basta parlare neppure di Umanità.
Anche “Umanità” è una parola che potrebbe gettare tanto fumo negli occhi, così come lo slogan di Vittorio Arrigoni “Restiamo Umani”, oramai così ripetuto a iosa da togliere alle parole originarie quel senso profondo che accompagnava ogni ora della giornata del giovane bulciaghese.
L’Umanità non si regge solo su utopie o sogni che non affondano le loro radici nella realtà dell’essere umano. L’essere, comunque, precede sempre l’umano, e non viceversa.
“Restare Umani”, allora, equivale a vivere di quella profonda spiritualità che fa sì che io possa scoprire nell’altro il mio stesso io, liberato però da sovrastrutture divisorie. In questo senso, paradossalmente, è più facile sentirsi in profonda sintonia con i poveri e i derelitti, gli oppressi e gli emarginati, proprio perché queste persone sono in un certo senso più disposte ad essere liberate, perché prive di quella cappa di superfluo che è la vera schiavitù dell’Umanità.
Torniamo al Giubileo. Esso è nato con le buone intenzioni di carattere puramente religioso, anche se poi, per opportunismo, si è voluto dare alla parola “misericordia” quel senso allargato di un buonismo globalizzato. Anni fa, un Movimento ecclesiale aveva coniato lo slogan: “Vogliamoci bene”. L’attuale Papa sembra calcare le stesse orme, dicendo: “Siate misericordiosi”, quasi invitando a condonare debiti di giustizia, per riavere poi in contraccambio, da parte di chi condona, qualche credito davanti a Dio.
Non voglio annoiarvi ancora. Vorrei, invece, essere più concreto.
Iniziando il Giubileo, mi sarei aspettato un Avvento da vivere finalmente con uno stile diverso, ovvero radicalmente cristiano.
Lo sappiamo tutti, perché lo constatiamo di persona: il Natale da anni e anni è diventato come un centro commerciale, l’occasione perché, man mano ci si avvicina al 25 dicembre, si inventino iniziative di distrazione, proposte per farci gli auguri con cene o altro, alternando concerti con spettacolini d’ogni genere.
L’Avvento è una tale accozzaglia di cose da disturbare quel Silenzio richiesto perché si possa rivivere il Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, che, in quanto tale, ovvero Mistero divino, costituisce, accanto al Mistero pasquale, il Momento più sacro e vitale, per un credente, tale da rivitalizzare lo Spirito assopito, togliendolo dalla schiavitù di banalità e di formalismi deprimenti e talora “osceni”.
No, non c’è periodo liturgico più “esteriore” di quello dell’Avvento, che di cristiano nel vero senso della parola non è rimasto nemmeno un barlume, anche se noi preti, forse illusi da chiesa strapiene, ci godiamo una Messa di Mezzanotte, dove i più refrattari alla Messa domenicale corrono ad occupare i posti liberi, per paura di stancarsi troppo, restando in piedi.
L’Avvento è qualcosa che fa paura per il suo peso di inutilità ingombranti, ed è la prova di quanto i Misteri della nostra fede siano diventati solo l’occasione per festeggiare, restando sempre in superficie.
Sì, avrei preferito che almeno quest’anno si vivesse l’Avvento da cristiani radicali, e avrei preferito che, a iniziare dai preti delle parrocchie, si desse finalmente un taglio a mangiate varie, a distrazioni d’ogni genere, onde cogliere in profondità il Mistero del nostro essere.
No, anche quest’anno sto assistendo al solito spettacolino vergognoso di cose e di cose, con il solito rito di aggiungere qualcosa di religioso, senza capire che l’opera da fare non è quella di aggiungere, ma di togliere o tagliare.
Da anni sogno un Avvento radicale, fatto di Silenzio e di Meditazione mistica, un Avvento in cui, a parte il dovere quotidiano della scuola o del lavoro, come d’incanto tutto cessi attorno a noi, in vista di quell’Incanto che è il Natale di Cristo nudo nella stalla.
Bisogna assolutamente ritagliarci spazi di radicale Silenzio. L’Avvento è l’occasione privilegiata.
Mi aspettavo che il Papa, quest’anno, invitasse la Chiesa a tornare nel deserto, ma forse chiedo l’impossibile da una Chiesa che, per la sua stessa struttura, sarà sempre incapace di tornare Silenzio e Spirito.
E succede che anche il Papa va a spasso, certamente come missionario della Parola di Dio. Non nel deserto, ma tra folle ubriacate dall’arrivo di una star.
***
Vorrei invitarvi a leggere un brano della prima Lettera pastorale che il cardinale Carlo Maria Martini ha rivolto alla Diocesi milanese, dal titolo che è già un programma: “La dimensione contemplativa della vita”. Era l’8 settembre 1980. 
2. Paura e fascino del silenzio
Il silenzio. Se in principio c’era la Parola e dalla Parola di Dio, venuta tra noi, è cominciata ad avverarsi la nostra redenzione, è chiaro che, da parte nostra, all’inizio della storia personale di salvezza ci deve essere il silenzio: il silenzio che ascolta, che accoglie, che si lascia animare. Certo, alla Parola che si manifesta dovranno poi corrispondere le nostre parole di gratitudine, di adorazione, di supplica; ma prima c’è il silenzio.
Se, com’è avvenuto per Zaccaria, padre di Giovanni Battista, il secondo miracolo del Verbo di Dio è quello di far parlare i muti, cioè di sciogliere la lingua dell’uomo terrestre ricurvo su se stesso nel canto delle meraviglie del Signore, il primo è quello di far ammutolire l’uomo ciarliero e disperso (cfr. Lc 1,20-22).
«La Parola zittì chiacchiere mie»: così Clemente Rebora, nobile spirito di poeta milanese moderno, descrive con rude chiarezza gli inizi della sua conversione. Possiamo anzi dire che la capacità di vivere un po’ del silenzio interiore connota il vero credente e lo stacca dal mondo dell’incredulità.
L’uomo che ha estromesso dai suoi pensieri, secondo i dettami della cultura dominante, il Dio vivo che di sé riempie ogni spazio, non può sopportare il silenzio. Per lui, che ritiene di vivere ai margini del nulla, il silenzio è il segno terrificante del vuoto. Ogni rumore, per quanto tormentoso e ossessivo, gli riesce più gradito; ogni parola, anche la più insipida, è liberatrice da un incubo; tutto è preferibile all’essere posti implacabilmente, quando ogni voce tace, davanti all’orrore del niente. Ogni ciarla, ogni lagna, ogni stridore sono bene accetti, se in qualche modo e per qualche tempo riescono a distogliere la mente dalla consapevolezza spaventosa dell’universo deserto.
L’uomo «nuovo» – cui la fede ha dato un occhio penetrante che vede oltre la scena e la carità un cuore capace di amare l’Invisibile – sa che il vuoto non c’è e che il niente è eternamente vinto dalla divina Infinità; sa che l’universo è popolato di creature gioiose; sa di essere spettatore e già in qualche modo partecipe dell’esultanza cosmica, riverberata dal mistero di luce, di amore, di felicità che sostanzia la vita inesauribile del Dio Trino.
Perciò l’uomo nuovo, come il Signore Gesù che all’alba saliva solitario sulle cime dei monti (cfr. Mc 1,3; Lc 4,42; 6,12; 9,28), aspira ad avere per sé qualche spazio immune da ogni frastuono alienante, dove sia possibile tendere l’orecchio e percepire qualcosa della festa eterna e della voce del Padre.
Nessuno fraintenda, però: l’uomo «vecchio», che ha paura del silenzio, e l’uomo «nuovo» solitamente convivono, con proporzioni diverse, in ciascuno di noi. Ciascuno di noi è esteriormente aggredito da orde di parole, di suoni, di clamori, che assordano il nostro giorno e perfino la nostra notte; ciascuno è interiormente insidiato dal multiloquio mondano che con mille futilità ci distrae e ci disperde.
In questo chiasso, l’uomo nuovo che è in noi deve lottare per assicurare al ciclo della sua anima quel prodigio di «un silenzio per circa mezz’ora» di cui parla l’Apocalisse (8,1); che sia un silenzio vero, colmo della Presenza, risonante della Parola, teso all’ascolto, aperto alla comunione.

 

4 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    Il baccano è assordante, rimbomba nelle orecchie e perfora il cervello scuotendo tutti i sensi… non c’è niente da fare, non riusciamo più a percepire i suoni più delicati, a distinguere le miriadi di voci della natura e quel ch’è peggio non sappiamo più cosa sia il silenzio…
    Ovviamente non mi riferisco a quel silenzio angosciante che fa da triste compagno alla solitudine, ma piuttosto a quel silenzio di cui il nostro organismo ha bisogno per ricarsi, per riacquistare vigore e rimettersi in cammino dopo una disavventura, un forte stress, o molto più semplicemente alla fine di una giornata non necessariamente più faticosa del solito. Siamo ormai talmente assuefatti al chiasso e alla confusione, da non rendercene conto…
    È sufficiente uscire un attimo in strada o affacciarsi alla finestra, o al limite socchiuderla appena per venire investiti da una sorta di frastuono incessante… al brusio di sottofondo, che quasi non percepiamo, si aggiungono tonalità più o meno gravi, acute o stridule secondo lo scenario che abbiamo intorno a noi, in ogni caso si tratta comunque di un lungo, interminabile rumore…
    E in casa la situazione non cambia, i mille oggetti di cui ci circondiamo divenuti indispensabili, a cominciare dall’onnipresente televisore, sembrano avere la sola funzione di continuare ad immergerci in questa “rassicurante colonna sonora” della nostra vita. Quand’ero bambino a scuola, ogni tanto la maestra ci faceva giocare al gioco del silenzio, era uno stimolo ad essere più educati e composti e ad imparare che solo attraverso l’attenzione che deriva dal silenzio è possibile apprendere e imparare…
    Forse è per questo che i modelli proposti dalla società odierna sono così sgangherati e urlati, forse è per questo che lentamente, ma inesorabilmente, si sta perdendo il gusto delle cose semplici e si apprezza sempre meno chi parla sottovoce cercando di non disturbare, di essere quanto più possibile discreto e non invadente…
    A parole tutti cerchiamo di evadere, sogniamo un angolo di pace e di tranquillità, ma poi alla resa dei conti, anche quando decidiamo di rilassarci e nei momenti che vorremmo dedicare allo svago o al riposo, finiamo inconsapevolmente per circondarci di oggetti e strumenti che perpetuano lo schiamazzo a cui siamo abituati: magari si tratta solo di una radiolina, un lettere ipod, un telefono cellulare multifunzione, basta che sia qualcosa di “rumoroso”:
    Senza esagerare, visto che non siamo eremiti ed abbiamo bisogno del contatto e della parola altrui, penso che sarebbe necessario di tanto in tanto fare un bagno di silenzio, o quanto meno tra i suoni della natura, sempre che sia possibile riuscire a trovare un posto incontaminato.

    Maggio 2008

    P.S: non è cambiato nulla, anzi è sempre peggio…

  2. GIANNI ha detto:

    La religione ha espresso molto dal punto di vista, ovviamente, non solo del pensiero teologico, ma anche in ambito artistico, musicale, ed in altre discipline.
    Ovvio, pertanto, che le opere della chiesa rappresentino un patrimonio anche per chi ateo, dal punto di vista della storia del pensiero, dell’arte, ecc.
    Tuttavia non sarà dalla religione, che avremo la prova dell’esistenza della metafisica, o di Dio, o di come vogliamo chiamare un certo ambito.
    Ci sono però prove che scaturiscono da ambiti diversi.
    A livello astronomico e cosmologico, da cosa deriva tutto ciò che esiste?
    Secondo la fisica nulla si crea e nulla si distrugge.
    Pertanto l’origine del tutto prescinde da spazio e tempo, perchè, diversamente, esisterebbe una consecutio temporum spazialmente determinata, che contraddirebbe il principio ricordato ora.
    Il big bang è stato, secondo taluni, all’origine del tutto, ma i gas da cui è scaturito, a loro volta, chi li ha generati?
    Se prima di essi nulla esisteva, come si spiega tutto questo?
    Qui si saldano fisica e metafisica.
    Oppure puoi trovare Dio nell’infinitamente piccolo.
    Le particelle subatomiche cessano di rispettare le leggi della fisica classica e si comportano più come energia, che come materia, sopratutto in base agli studi della fisica quantistica.
    Puoi trovare Dio in molte cose, magari anche in certe immagini sacre con effetti diciamo strani, forse paranormali, ma difficilmente lo troverai nella sovrastruttura che interpreta, a suo modo, un qualcosa che non è umanamente afferrabile.
    Di Dio, dice una parte della teologia, non puoi dire nulla, perchè in verità nulla si sa.
    Di qui il silenzio, la mera contemplazione che, come atto intuitivo, prescinde dalla ragione umana, e si basa maggiormente su una compenetrazione di tipo essenziale, spirituale.
    Quando la metafisica si manifesta, in qualche modo, divino o diabolico, prescinde dalla ragione e da qualsiasi categoria intellegibile e teologica.
    La metafisica è totalmente altro, come ricorda una parte cospicua della teologia tedesca.
    E’ questa l’unica teologia che, secondo me, abbia un senso.

  3. don ha detto:

    Il problema è uno solo; nella Chiesa non si distingue più “la Parola” da “le parole”…. non so, don Giorgio, se hai letto i vari interventi del Convegno ecclesiale nazionale sul nuovo umanesimo: quante parole, che non si capisce dove vadano a parare!

    • Don Giorgio ha detto:

      Purtroppo, caro confratello, è proprio così! Anche questo Papa è fumo, tranne che riesce ad essere talmente banale da comunicare con la gente. Ma che cosa comunica? FUMO!

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