Omelie 2018 di don Giorgio: NATALE DEL SIGNORE

25 dicembre 2018: NATALE DEL SIGNORE
Is 8,23b-9,6a; Eb 1,1-8a; Lc 2,1-14
Un Evento unico, del tutto straordinario
Credo che non ci sia un’altra festa liturgica, come il Natale, in cui sia quasi impossibile uscire da qualsiasi distrazione per raccogliersi a contemplare, in una assoluta purità di spirito, il Mistero di un Dio che dall’Eternità è venuto nel tempo.
Ecco l’Evento: parola che etimologicamente significa “venuto da”, “uscito da”; in questo caso: “venuto o uscito dall’Alto”, ovvero dal Mistero trinitario.
Saremmo del tutto sciocchi se, dopo aver meditato per diverse settimane in senso profondamente mistico sui brani scritturistici proposti dalla Liturgia, ci facessimo ora prendere da quel sentimentalismo, come una melassa, di questi giorni che ci fa sentire come degli estranei alla Realtà del Mistero divino.
Lo stupìto o il meravigliato
Se mi mettessi anche oggi, anche questa sera, giorno di Natale, a proporvi riflessioni di una certa levatura mistica, vi sembrerei come quella statuina del presepe, un tempo conosciuta come quella dello stupìto o meravigliato che, mentre gli altri personaggi erano carichi di doni, se ne stava appartato, con le mani nude, a contemplare il fascino di quel Mistero proveniente da una grotta, illuminata a giorno da un Bimbo nudo, deposto in una culla di fieno.
Lo stupìto, ovvero colui che si fa prendere intensamente dalla meraviglia, è l’unico essere umano ad aver colto il Mistero della nascita del Figlio di Dio nel grembo di una ragazza di Nazaret, di nome Maria.
Lo stupìto è il nostro essere, quando, fuori da ogni banalità di presepi che sembrano una sfilata di belle statuine in atteggiamento di offerenti di beni materiali, si dona nella sua nudità, ovvero nella realtà pura del proprio spirito interiore, a un Dio che non vuole ricevere nulla, ma solo donare se stesso nel suo spirito d’Amore.
Lo stupìto offre la sua meraviglia, che è pura contemplazione, non perciò contaminata da quel dare cose per avere in contraccambio altre cose: la contemplazione, che si esprime anche nella meraviglia del volto quasi estraniato, è un atto puro di spogliamento esteriore per lasciarsi invadere dalla Realtà dello Spirito divino.
Nel nostro rapporto con il mondo del Divino, non si dà qualcosa per ricevere qualcosa: davanti a Dio occorre sentirci nulla, se vogliamo ricevere il Tutto. E il Tutto che si riceve è così sovrabbondante da effondersi ovunque.
Perché il Natale è così sterile?
Se ad ogni Natale rimaniamo ancora sterili, ovvero come vasi vuoti della Bontà divina, allora dovremmo chiederci: ogni anno che passa, non siamo forse come la solita bella statuina che compare al sopraggiungere del Natale, per poi, finita la festa, essere di nuovo incartata e, l’anno successivo, di nuovo scartata, e così per tutta la nostra esistenza? E poi ci lamentiamo del perché questo nostro mondo sia sempre il medesimo, ovvero una mostra dei nostri più brutali istinti, che neppure davanti al Mistero dell’Amore di Dio incarnato si convertono in atti di Umanità.
La realtà ci insegna che, se in questi ultimi duemila anni, l’uomo avesse fatto almeno un passo in più verso una umanizzazione del proprio essere, forse non ci troveremmo ancora in una società di bruti, sempre pronti a scannarsi per un piccolo avere, che oggi c’è e domani sarà falciato dal tempo che passa.
Dovrei aggiungere che in realtà il Figlio di Dio non è venuto solo per renderci più umani, in tal caso non capirei la necessità dell’Incarnazione: egli si è incarnato per rivelarci che siamo figli di Dio.
Qui dovremmo porci tante domande, anzitutto ad una Chiesa che da secoli ha cessato di parlarci di quella Realtà spirituale, che è la nostra divinizzazione interiore.
Tra i vari sentimentalismi edulcorati, di cui parlavo all’inizio, c’è purtroppo quello che ancora oggi la Chiesa sembra accarezzare, ovvero quel buonismo umanitario che serve per salvare un po’ la faccia di una religione che teme di parlare di cose grandi e di ben più profonde. Il buonismo, in fondo, è ancora qualcosa di esteriore: riguarda i nostri atteggiamenti, senza scalfire la realtà più interiore dell’essere umano.
Questo non è ancora il Mistero natalizio, ovvero di un Dio che si è fatto carne per divinizzare il nostro essere.
La cosa più strepitosa non è il fatto che possiamo diventare più buoni o più generosi, e l’ipocrisia sta soprattutto nell’esserlo per un solo giorno o quasi, ma che riscopriamo ciò che veramente siamo o, meglio, riscopriamo “chi siamo”.
Il buonismo può essere come una infarinatura. È la scoperta della presenza del Divino in noi che potrà cambiare non solo noi stessi, ma il mondo intero.
Ecco perché il Mistero natalizio andrebbe riscoperto, ma come la sorgente della rigenerazione divina che avviene ogni giorno, nel nostro spirito interiore, al di là del giorno liturgico del Natale.

 

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