Per una Pasqua… Quale?

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Per una Pasqua… Quale?

PREMESSA
Potete anche fare a meno di queste riflessioni. A me personalmente servono, per sentirmi ancora vivo, e per non farmi prendere dalla nostalgia del tempo che fu. Forse per questa mia tenace voglia di rivivere, dentro, nel mio essere, potrei ancora insegnare qualcosa a quanti si accontentano di vegetare.       
RIFLESSIONI PERSONALI
Talora, forse è l’età, mi faccio prendere dalla tentazione di tornare al passato e ricordare tutte le mie Settimane Sante, con una pungente domanda:
– Che cosa oggi riprenderei di tutto quello che ho scritto, ho detto e ho predicato ai miei parrocchiani? Ovvero: che cosa resterebbe di ancora positivo?
È vero: il passato è passato, ed è perfettamente inutile giudicarlo in bene o in male. A che servirebbe?
Però, ora, mi resta forse qualche rimpianto: di non essere riuscito a intuire e a far gustare alla gente quel Mistero che, ogniqualvolta resta prigioniero di riti e cerimonie, di iniziative e proposte solo folcloristiche, rischia di naufragare nella esteriorità e anche nella banalità, anche se riconosco una certa sincerità tra i fedeli (praticanti e non praticanti) che, almeno in certe circostanze, sanno essere umani, forse perché il dolore del Cristo sofferente tocca tutti sul vivo.
Ciò che ogniqualvolta mi lasciava perplesso era il fatto che, finita la Settimana Santa, tutto tornasse come prima: nella solita routine. La gente riprendeva la propria vita, lasciando alle spalle una breve e fugace parentesi di riconversione. Eppure, in quei “santi” giorni c’era stato come un bagno di umanità, benefico e purificatorio.
Oggi, costretto a partecipare come qualsiasi altro fedele alle cerimonie del Triduo, scegliendo chiese diverse, di rito romano e di rito ambrosiano, possibilmente lontane, senz’altro fuori dal raggio della Valletta, non ho la tensione del funzionante preoccupato che tutto proceda bene tra complessi riti che comportano anche un darsi da fare del tipo manuale, ma, nello stesso tempo, subisco quella passività da spettatore, forse perché è rimasto in me quei ricordi recenti, quando a Monte mi lasciavo coinvolgere dal fascino del Mistero, coinvolgendo nello stesso tempo l’assemblea, che sentivo particolarmente attenta e partecipe.
Ma forse non è neppure questo che vorrei comunicare in questi giorni, con sincere riflessioni-domande di un prete forzatamente “pensionato”, ridotto a mendicare ancora qualche suggestione del Mistero, ma con l’esigenza dell’attore, dando alla parola “attore” tutto il suo significato pregnante di “qualcosa che fa parte viva del dramma”.
Ed ecco torna la domanda: che cosa è rimasto della prima Pasqua, quando il Cristo storico ha lasciato il posto al Cristo della fede? Spiego. I Vangeli stessi, così come stati scritti, e che, nell’ultima parte, quella finale, sentiremo rileggere in lunghi brani, sono già sotto la luce della Risurrezione. Nella carne martoriata del Cristo sofferente è già presente la grazia del Risorto.
Ecco perché la Pasqua è un Mistero unico, inscindibile (passione, morte e risurrezione), ed ecco perché solo la Fede (si tratta o no di un Mistero?) ci fa rivivere il Mistero pasquale, al di là di narrazioni storiche più o meno commoventi o drammaticamente sconcertanti. Non parlo delle narrazioni delle apparizioni del Risorto, che sono solo illusioni mediatiche, ma parlo della mia fede nel Risorto che non è il Cristo storico risuscitato, ma assolutamente “altro”.
Già qui non ci siamo più. Il mio passato di prete pastoralmente impegnato termina quando mi hanno forzatamente pensionato, e di questo dovrei ringraziare Angelo Scola, che mi ha permesso di fare il grande passaggio, da una fede – pur in continua ricerca ma sempre costretta entro i limiti di una struttura pastorale – ad una fede che ricerca ancora, ma al di là del Cristo puramente storico, che è morto sulla croce.
26 marzo 2016
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1 Commento

  1. GIANNI ha detto:

    A mio avviso, l’esperienza spirituale in genere o, se preferiamo altro termine, quella di fedele, è diversa a seconda della personalità di ciascuno.
    Intendo dire che non tutti i fedeli sono uguali, c’è chi vive più o meno sempre la fede in modo prevalentemente esteriore, limitandosi a riti e quant’altro, ma senza che nulla cambi interiormente, chi la vive sopratutto interiormente.
    Forse taluni, in occasione di festività particolari, come Pasqua o Natale, si sentono..diciamo più credenti, più impegnati…ma certo per molti il dopo conosce il ritorno al solito tran tran dell’esistenza umana.
    Certo, la Pasqua per il credente un tempo era la festa principale, in quanto legata alla dimensione metafisica della resurrezione, ma credo che molti oggi non colgano il senso della cosa.
    Ancora più difficile, peraltro, cogliere il senso teologico della salvezza insito nel sacrifico, ma per approfondire il tema, rinvio a quanto ho commentato a proposito dell’opera nel duomo di Terni.

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