Milano ha bisogno di un’anima nuova o di un nuovo vescovo?

miscolaloggia

di don Giorgio De Capitani
Mercoledì 22 aprile, alle 9.30, al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano (viale Alemagna 6), in una sala non particolarmente gremita, Angelo Scola, purtroppo ancora vescovo di Milano, si è incontrato con lo storico Ernesto Galli della Loggia.
Il cardinale ama il confronto con le teste raffinate!
Il tema era: “Ultime notizie riguardo a Dio. La circolazione del discorso religioso nella città mercato”.
Che paroloni, ragazzi! Già mettono i brividi!
L’incontro era stato promosso dalla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale in vista di Expo 2015.
Expo, sempre Expo, calamita irrinunciabile dei pensieri “leggeri” della curia milanese, capitanata dal grande pastore di un gregge… senza pastore.
Moderatore dell’incontro è stato monsignor Pierangelo Sequeri, preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale.
Pierangelo Sequeri, noto ai più per le sue canzonette religiose da quattro soldi. Quando però parla nelle Conferenze si eleva ai settimo cielo, e si riscatta, dando dell’asino a chi non lo capisce. Ma credo che il Padre Eterno ascolti i nostri ragli piuttosto che la cultura saccente e arrogante dei suoi teologi.
L’articolo a cui mi riferisco si trova sul sito della diocesi milanese, qui.
Premetto subito che non ho trovato il testo integrale o il video dell’intervento del professore Ernesto Galli della Loggia. Inizialmente, ho scoperto solo l’articolo pubblicato sul sito della diocesi milanese. Ed è unicamente da questo articolo che ho steso le seguenti riflessioni.
Introduce l’incontro il super-dotto teologo milanese, Pierangelo Sequeri: «C’è qualcosa di nuovo che è arrivato e che non abbiamo ancora inquadrato.  Esiste un’interiorità che palpita molto ma fatica a progettarsi e un esterno della città incalzante che si progetta, ma palpita poco come si evidenzia nella politica, nell’architettura o nell’economia. O ci giochiamo insieme, con le nostre migliori energie, al fine di comprendere la tensione tra “interiore ed esteriore” della città, tra palpitare e progettare, o non si sa quale macchina ne prenderà la regia».
Non c’era migliore premessa per dare l’input allo storico di fama internazionale, Ernesto Galli della Loggia, chiamato a dare lustro alla curia milanese, degno interlocutore di sua eminenza sempre vogliosa di confrontarsi con le migliori cime storico-filosofiche.
Ed ecco che il barbuto Ernesto mette subito la quinta, per dare il meglio delle sue acute analisi, partendo proprio dalla città di Milano, la culla del cristianesimo lombardo, e presentandola con il più tecnico linguaggio moderno.
Sentite cosa dice, osservando come: «nel destino del cristianesimo, fin dall’origine, ci sia la città, Gerusalemme, Atene e Roma, queste ultime come sedi del patrimonio culturale e della politica. E, ciò, fino al momento drammatico della rottura, quando la città diviene un luogo industriale e borghese in cui il cristianesimo sembra ritirarsi».
L’articolista presenta poi in sintesi il pensiero del grande Ernesto.
Una visione delle cose in cui Milano, città del mercato, racconta una sua storia molto particolare: «dove il fiorire delle attività si è sposato molto bene con un ceto di forte impronta cattolica per cui la Chiesa ha continuato ad avere una grande influenza».
Ma è qui che si innesta il problema attuale, perché «c’è una nuova Milano, che non più è la città-mercato, ma qualcosa di diverso che rappresenta una sfida grave e difficile per il cattolicesimo teso a mantenere il proprio ruolo».
È la Milano che tutti conosciamo, quella di oggi: la “città smart”, «un crogiolo all’insegna della finanza e della creatività, che non produce poveri, ma “sconnessi” come chi non possiede il computer. Una metropoli, di cui Milano è l’esempio più evidente in Italia, sempre pronta a rilanciarsi, magari con il grande evento, ma che dimentica i cittadini e i loro bisogni. Una città vuota, perché non ha più un’anima, in cui si rende evidente il collasso dei centri storici come elementi vivi della collettività».
Da qui la domanda: «se il messaggio sociale della Chiesa, inaugurato con il Concilio, sia ancora adatto all’oggi, laddove la “smart city” ha forse più bisogno di un discorso religioso legato al trascendente e alle questioni base della vita e della morte».
Ed ora è la volta di Angelo Scola, che dall’altra cima rilancia. E tira fuori la prima parola ad effetto, “frammentazione”, come se fosse una scoperta tutta sua, quando tutti sanno quanto Carlo Maria Martini abbia insistito su questo tema o, meglio, su questo fenomeno disgregante che da tempo sta dilaniando la realtà sociale ed esistenziale, ma soprattutto l’identità dell’essere umano. Leggere qui.
Ma Martini era su un altro pianeta rispetto a Scola. Scola si limita a fare qualche constatazione.
«Stiamo tutti camminando a tentoni in questo passaggio di millennio e, credo, che la parola più adatta per descrivere la metropoli e le terre ambrosiane sia la frammentazione, un concetto che caratterizza lo stadio della nostra cultura a livello della persona singola – pensiamo ai ragazzini che già attraversano ogni giorno più compartimenti stagni – e di collettività», spiega il Cardinale.
Ed ecco ora la grande scoperta di Scola. Sinceramente non ho capito che cosa intendesse dire, e soprattutto non ho capito la leggenda metropolitana delle chiese vuote. Sentite che cosa dice:
«Il cristianesimo resta una maggioranza di popolo, ma a forte minoranza culturale, semmai è questo il problema, non la leggenda falsa, metropolitana e giornalistica, delle Chiese che si svuotino» .
Che il cristianesimo sia ancora “una maggioranza di popolo” tutto dipende dal senso che si dà alla parola cristianesimo. Che significa, eminenza, per lei “cristianesimo”? A me sembra che sia rimasto ben poco di Cristianesimo autentico nelle nostre comunità di credenti all’acqua di rose. È rimasta solo qualche formalità, più paganeggiante che sacra!  Lei intendeva dire che quasi tutti ancora si battezzano? Ma il battesimo che cos’è? È almeno un rito serio?
Sulla “forte minoranza culturale” sono più che d’accordo. Ma la vera domanda è questa: la colpa di chi è? Solo di una massa analfabeta sic et simpliciter? Certo, è analfabeta in tutti i sensi, e non solo in quello religioso! Ma a quale tipo di cultura dovremmo educare questa massa solo pancia? Lei parla restando sulla cima e dialogando con le cime, non importa poi che tra le cime sia un abisso di opinioni e di credenze completamente opposte (oggi è di moda che anche l’ateo più incallito, vedi Eugenio Scalfari, si inginocchi in devota devozione), ma questo popolo bue, che parla come mangia e come consuma, come poterlo smuovere dalla sua greppia? 
Eminenza, secondo Lei non è vero che le chiese sono vuote! Si spieghi meglio! Forse Lei vede solo coloro che corrono durante le visite pastorali. Ma anche in questo caso non è vero che le chiese siano stracolme. Quando Lei visita la chiesa-madre di un decanato, perché si impone ai parroci di sospendere le Messe nelle singole parrocchie? 
Apra gli occhi! È un dato inconfutabile: c’è sempre meno gente che frequenta le nostre chiese! Non parlo naturalmente delle occasioni eccezionali, come battesimi, cresime e comunioni, perché in tal caso vanno bene tutti, anche gli assenteisti abitudinari, i conviventi, i divorziati, ecc. coloro che vengono in chiesa perché costretti dalle usanze! E si usa anche inserire i sacramenti, come battesimi, matrimoni, durante le Messe festive, e così le chiese sembrano piene. Non è così, eminenza? No, Lei mi evidenzierà il valore del fattore comunitario dei sacramenti!  Che balle! Quando c’è un battesimo o un matrimonio durante le Messe festive, la gente va altrove, anche perché, se si tratta di un matrimonio, non si trova un posto in chiesa!
L’articolo continua.
La questione è, semmai, come “tenere insieme facce diverse”  in una città che si presenta «con una  marginalità a geometria variabile, dove non esistono quartieri ghetto, ma aree di degrado distribuite “a macchia di leopardo” in tutto il contesto urbanistico». Chiara e senza mezzi termini la risposta all’interrogativo: «Milano ha bisogno di un’anima nuova nel senso letterale della parola, che dia unità all’io». Condividendo la definizione della realtà milanese come “smart city” – «in cui la relazione non è più quotidiana, la piazza non è più un luogo vitale» – il richiamo del Cardinale è, allora, a un ancoraggio dell’annuncio di fede, «un ritorno all’antico da rigiocare continuamente nella nuova terra». «Da questo punto di vista – scandisce, infatti – la proposta cristiana è chiamata a ritrovare la potenza e la forza non solo dei suoi inizi storici, ma della Buona Novella».
Chissà se il barbuto Ernesto e il cardinale Scola conoscano veramente la realtà esistenziale della città di Milano. Non basta saperla dipingere con immagini che fanno colpo a prima vista. Occorre una vista acuta e realistica.
L’immagine espressiva della città smart usata dallo storico barbuto, che Scola corregge portandola all’originale inglese, smart city, non poteva non essere ripresa e spiegata, e il cardinale arriva al punto-chiave: Milano ha bisogno di un’anima nuova, espressione che, letta in senso negativo (la città non avrebbe più un’anima) aveva fatto arrabbiare il sindaco Giuliano Pisapia.
Eminenza, che cosa significa “anima nuova”? Altrove, rubando sempre le parole ad altri, Lei parla di nuovo umanesimo”. Scendendo dalle cime accademiche, Lei che cosa intende per “anima nuova” e per “nuovo umanesimo? A me sembra che Lei imbrogli la gente con parole solo ad effetto (per chi poi?), lasciando vestiti logori.
E a chi Lei si riferisce parlando di “un’anima nuova” o di un “nuovo umanesimo”? Alla società civile? Lei dice: «la proposta cristiana è chiamata a ritrovare la potenza e la forza non solo dei suoi inizi storici, ma della Buona Novella». Sono solo belle parole! Che significano? Ce le spieghi con parole accessibili a noi poveri mortali, abituati a vivere accanto alla gente comune.
L’articolo continua.
L’esempio è papa Francesco, «capace di offrire, con linguaggio immediato, il Vangelo, con la preferenza per la categoria teologica dei poveri».
Ecco l’aggancio che non poteva mancare: a papa Francesco, che si tira sempre in ballo, quando fa comodo.
Eminenza, ci spieghi l’espressione: “preferenza per la categoria teologica dei poveri”! Sono qui ancora stordito e confuso, ma anche curioso di sapere qualcosa di più concreto. Che significa “categoria teologica”? Eminenza, se uno dei tanti leghisti che frequentano ancora le chiese riuscisse a capirne, forse ce la farei anch’io.
L’articolo continua.
Laddove «la “diceria” di Dio è inaffondabile, il senso della fede cristiana è riproporre Dio, mostrando la sua familiarità, che è Misericordia, nei confronti dell’umano. Questa familiarità è l’evento di Gesù Cristo. Di Dio non si può conoscere tutto, ma quello che di Dio si può conoscere lo possono conoscere tutti. Dobbiamo mostrare questa familiarità di Gesù a ogni livello dell’esistenza».
Eminenza, scusi la mia ignoranza,  che cosa significa: “la ‘diceria’ di Dio è inaffondabile”?
Le parole che seguono: “Il senso della fede… a ogni livello di esistenza” è una dotta reminiscenza di stampo ciellino.  Che senso hanno?
Annamaria Braccini è l’autrice dell’articolo in questione. La cito perché ciò che segue rivela qualche imperfezione di linguaggio, e anche perché vorrei dare al cardinale la possibilità di scaricare su di lei la colpa di aver riassunto male il suo pensiero.
D’altra parte, cosa meglio della comunione cristiana può illustrare la bellezza dell’io in relazione?  «Tutti i fenomeni imponenti di bene, come la carità e l’educazione, fino ai più deboli, come la cultura, diventano strade attraverso le quali il Suo essere via verità e vita rincomincia si mostra. Ma il primo atto è il porsi dl soggetto. Il rinnovamento del cristianesimo ambrosiano passa da qui e il sensus fidei del popolo lo ha intuito molto di più dei cristiani militanti e dei chierici».
Ma il mondo laico è interessato e in che modo a tale dell’anima della città?, si chiede ancora monsignor Sequeri girando l’interrogativo ai relatori.
«Sì, la domanda interessa», secondo Galli della Loggia, «ma la Chiesa deve prendere coscienza del primario tema del senso del destino umano, l’unico che unifichi le tante scene del mondo dalla Savana africana al centro di Stoccolma. Tuttavia, questa è proprio la riflessione che ha Chiesa fa fatica a compiere perché dominano mode culturali pressoché invincibili, anche al suo interno».
«Sul tema del senso – riflette Scola – voglio dire che, nella realtà ecclesiale milanese, un lavoro è in atto. La condiscendenza al pensiero dominante, che testimonia la difficoltà a comunicare l’esperienza di senso che la familiarità di Dio consente, ha radici che meriterebbero di essere ben comprese, avendo a che fare, per i cristiani, con il nostro stesso stile di stare insieme. Stile che propone un’infinita quantità di opere ma senza il riferimento chiaro sul “per Chi” tutto questo si fa. Questa è una mancanza di coscienza della vera dimensione della testimonianza, che non è il semplice buon esempio».
Insomma, è questo il lavoro pedagogico e culturale su cui insistere, anche perché il fallimento della secolarizzazione, dimostrato dal ritorno di quello che il Cardinale  definisce un “sacro selvaggio” non significa affatto un ritorno al “religioso”. «Il compito dei cristiani nella Milano di oggi sia il coraggio della proposta di Cristo in ogni ambito», conclude l’Arcivescovo.
Non so quanti di voi siano arrivati alla fine dell’articolo, senza avere qualche mal di testa.
E poi ve la prendete con me quando dico e sostengo che la città di Milano, più che di un’anima nuova, avrebbe urgentemente bisogno di un nuovo vescovo?
***
Solo in seguito ho potuto ascoltare per intero l’intervento del cardinale Angelo Scola, attraverso il video che vi propongo. Sinceramente, ho capito la difficoltà della giornalista a tentarne un riassunto, anche se talora maldestro. Un intervento confuso, frammentario, come il cardinale stesso riconosce. E non serve, signor cardinale, citare autori famosi a lei cari (ciellini per di più) per avallare le Sue tesi. Mi chiedo se Lei, eminenza, qualche idea chiara ce l’abbia nella testa.
Ero tentato di rifare l’articolo con le mie riflessioni, peggiorando i miei giudizi. Ma lascio a voi integrarli.
Ed ora, cari lettori, divertitevi.

9 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    Aiuto!!!!

  2. GIANNI ha detto:

    Mi riservo, se riuscirò, di ascoltare l’intervento quando riuscirò eventualmente a superare taluni problemi tecnici, che non fanno girare il video.
    Giudicando solo sulla base del riassunto, devo dire che mi pare il classico caso dell’occasione, colta per parlare elegantemente e dire sempre un po’ le stesse cose, trite e ritrite, peraltro con sottile arguzia apologetica.
    Nel senso che non sarebbero i fedeli a venir meno, a non credere più in questa chiesa, ma la chiesa stessa a non saperli attirare sufficientemente a se stessa a causa di una certa frammentarietà nelle sue iniziative e nell’organizzare la propria proposta di fede.
    Credo che forse neppure Scola ne sia intimamente convinto.
    Sequeri interviene, mi pare, solo come moderatore: su di lui solo una piccola nota musicale, nel senso che non è solo autore di canzonette religiose, ma anche autore di alcuni brani di musica classica, di fattura qualitativa decisamente più elevata.
    Quanto agli interventi di Scola e di Della Loggia, in sostanza, cosa ci dicono?
    Che tramite un processo di laicizzazione e di secolarizzazione, la città in genere, e Milano nel caso di specie, certo hanno visto perdere per strada parte di quel rilievo che una volta aveva il fattore religioso.
    In tal senso le trasformazioni verso città smart, città borghese degli affari, dei commerci e della finanza ed in particolare Della Loggia evidenzia il carattere un po’ comune a tante città di oggi, appunto la laicità.
    In tutto questo, come riscoprire una nuova anima della città?
    Ma, ancor prima, la città sente l’esigenza di una nuova anima?
    Evidentemente, per Scola, certamente (o almeno si dichiara convinto in tal senso), e per lui la cosa non poteva che…ricondurre all’antico.
    In pratica, sbaglierò anche, ma penso che Scola auspichi un ritorno alla chiesa istituzionale, che sarebbe un modo per sperare la attuale frammentarietà del fenomeno religioso.
    Praticamente, ovviamente a lui conviene dire che il cristianesimo, anzi il cattolicesimo, è ben presente, solo che non trova occasione per esprimersi con meno frammentarietà.
    Credo, appunto, sia una nostalgia di Scola, quella di ritornare al connubio chiesa-istituzioni, quando la chiesa faceva sentire il suo potere più temporale, che spirituale.
    Forse interpreto male io, ma mi pare che Scola addebiti la colpa della frammentarietà del fenomeno religioso al fatto che la chiesa avrebbe abdicato al suo ruolo.
    Io credo, invece, che la frammentarietà sia solo apparenza, nel senso che se i cattolici un po’ sono presenti ed un po’ no, è perchè non si riconoscono più in un certo modello di chiesa, quindi semmai non desiderano un ritorno all’antico, ma una nuova chiesa.
    Mi permetterei di suggerire che, senza attendersi utopistiche novità nel cattolicesimo, già la nuova chiesa, il nuovo cattolicesimo, esiste.
    IN fondo, coloro che non si sono ritrovati d’accordo con certa chiesa impostata tradizionalmente, hanno trovato altri sbocchi, a partire da noi siamo chiesa, quella chiesa fatta pur sempre da chi crede in certi fondamentali principi, come il libero arbitrio, ma non condivide più la tradizionale impostazione cattolica.
    Peraltro, con la scomunica dei fondatori, è, a tutti gli effetti, una chiesa distinta dall’attuale.
    In conclusione, non escludo che poi, riuscendo a far girare il video, emergano altre indicazioni rilevanti, ma, conoscendo la forma mentis di Scola, direi che tutto o quasi riconduce a quanto ho detto.
    In sostanza, interpreta la situazione come basata su una carenza della chiesa, che non saprebbe ritrovare occasioni per condurre nuovamente a se stessa i tanti cattolici impegnati in altro sul territorio cittadino, mentre io credo (non so se Scola creda davvero a quel che dice o finga solo di crederci) che in realtà non sia la frammentarietà ad impedire un più compiuto ruolo della chiesa, ma l’intima convinzione di molti credenti, di non riconoscersi più in gran parte del suo messaggio, per cui, appunto, fanno la loro comparsa principalmente quando non possono farne a meno, perchè occasioni legate anche a ricorrenze civili, come matrimoni, battesimi ed altro.

  3. ada ha detto:

    La verità è che la chiesa come l’abbiamo conosciuta noi è finita, non è questione di questo o di quel vescovo, ma di un momento storico di passaggio.
    In mezzo a tante chiacchiere di clero, di teologi e di intellettuali, silenziosamente lo Spirito Santo ha preparato una forma di chiesa che sbatte via tante chiacchiere e che si abbevera e cresce nel Vangelo.
    Per come ho capito io, papa Francesco ravvisa nel neoatecumenato il modo valido per ripartire dal baratro profondo di nulla in cui siamo caduti!!!

  4. Antonio ha detto:

    Il re è nudo!
    Anni 1985 – 2000: frequento la chiesa di Varenna (bell’esempio di romanico un po’ sconciato ai tempi di S. Carlo Borromeo, con successivi tentativi, non proprio riusciti, di “tornare all’origine”).
    La chiesa si compone di tre navate: allora la navata centrale era occupata in tutta la sua lunghezza da due file di panche; le navate laterali i fine settimana e le domeniche erano occupate interamente da sedie che venivano rimosse e impilate lasciando le stesse navate libere durante la settimana. Cambio abitudini di vita (anche grazie al sostegno dato dalla gerarchia ecclesiastica a sordidi, ben noti, politicanti). Per lungo tempo non frequento più la chiesa di Varenna. L’anno scorso una domenica vado a messa e trovo: le navate laterali completamente vuote e le due file di panche della navata centrale dimezzate in lunghezza rispetto agli anni passati e occupate sporadicamente. Do’ la mia parola che quanto ho scritto corrisponde a quanto ho constatato. Una rondine non fa primavera e la chiesa di Varenna non fa statistica, però…

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