Festa della Pentecoste – S. Messa di 1^ Comunione

27 maggio 2012: Festività della Pentecoste

At 2,1-11; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20

Tutti gli anni mi soffermo a spiegare il significato anche storico della Pentecoste, partendo da lontano, ovvero dall’Antico Testamento. Sì, è vero: bisogna insistere nel sottolineare che le principali festività cristiane – Pasqua e Pentecoste – affondano le loro radici nella religiosità ebraica, e la religiosità ebraica, a sua volta, ha ereditato le feste dal mondo agricolo. In seguito hanno preso il sopravvento determinati avvenimenti storici: la liberazione del popolo eletto dalla schiavitù egiziana (ecco la Pasqua) e la promulgazione della Legge a Mosè sul monte Sinai (ecco la Pentecoste). Questa in sintesi l’origine delle due feste. Con il cristianesimo, la Pasqua e la Pentecoste hanno cambiato contenuto: la liberazione è rimasta, ma la schiavitù è quella relativa al peccato che ha reso l’uomo schiavo di se stesso (insisto nel distinguere i peccati dal peccato, che è la fonte di ogni peccato, ovvero quel disordine che mette a soqquadro il disegno originario di Dio); così pure la legge è rimasta, ma ora si parla di grazia, che è il dono dello Spirito santo. Dunque, un vero salto di qualità, che comporta anche una apertura di orizzonti. Da festività legate alla storia di un popolo si è passati a festività che coinvolgono l’intera umanità. Ma questo è possibile se non si rimane ancora vittime di una religione, perché – insisto – ogni religione, volere o no, ha i suoi limiti, i suoi paletti, i suoi orizzonti.
Ma dire ancora Pasqua significa commemorare un avvenimento storico che ha un suo passato: Cristo è stato condannato, è morto su una croce, ed è risorto. La Settimana Santa ha ancora – forse per fortuna! – una sua forte connotazione storica: si vorrebbe rivivere, certo con fede, avvenimenti che hanno interessato il Figlio di Dio. Volere o no, ci sembra di gustare intensamente e anche emotivamente gli eventi pasquali, soprattutto quando li ricordiamo con la solennità di riti suggestivi.
Ma la Pentecoste non ha nulla di tutto questo. O meglio: oggi ha perso ogni contatto con il passato. È rimasta una festa, supposto che i cristiani si accorgano che oggi è la Festa di Pentecoste. Forse è un bene in un certo senso, se ciò che rappresenta la Pentecoste non è ridotto ad un solo giorno, ma è diffuso nell’arco del tempo. La Pentecoste, più che un evento da commemorare, è l’anima della realtà. Ma dubito che ce ne rendiamo conto.
La cosa davvero impressionante è questa: lungo la storia della Chiesa sembrava più che naturale che lo Spirito santo crescesse al pari dello sviluppo del Cristianesimo. Ma la Pentecoste man mano perdeva di intensità diciamo invasiva. È rimasta una festa da celebrare in una determinata data dell’anno, cinquanta giorni dopo la Pasqua. Così dice anche il nome “pentecoste”, e il nome deriva dal fatto che la promulgazione della legge sul monte Sinai è avvenuta cinquanta giorni dopo l’uscita dall’Egitto.
Ancora quando ero studente di teologia ci dicevano che lo Spirito santo era l’eterno sconosciuto. Nessuno ne parlava. Il popolo di Dio lo ignorava. La fede cristiana era tutta centrata su Gesù, la Madonna e i Santi, il tutto in una devozione popolare davvero edulcorata e senza alcuna radice diciamo teologica.
Lo Spirito Santo: l’eterno Sconosciuto. E oggi? Sì, se ne parla di più. Se ne parla ai ragazzi della Cresima, ma non saprei con quale effetto. Che cosa pensano i nostri ragazzi dello Spirito santo? Che idea se ne sono fatta?
Quanto ero piccolo ero intimorito dal dover imparare a memoria i sette doni dello Spirito santo, senza poi capirne gran che, anche perché non ce li spiegavano. Eravamo preoccupati di elencarli nella sequenza esatta: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio. Ogni parola risuonava vaga. Eppure non sono una scoperta del cristianesimo, o della Chiesa cattolica. Troviamo questi doni enumerati nel Libro del profeta Isaia al capitolo 11 dove, parlando del Messia che verrà, il profeta dice che sarà ricoperto dello Spirito del Signore che è spirito di Sapienza ecc…
Se ci facciamo caso, i doni dello Spirito non appaiono del tutto estranei alla nostra natura umana. Non sono doni nel senso che sono calati dall’alto come se solo i credenti avessero il diritto di possederli. Sì, sono doni, ma in che senso? La parola “dono” bisognerebbe spiegarla. Anche la nostra vita è un dono. Così si dice. Poi che lo sia, ovvero un dono, perciò qualcosa di prezioso, in realtà non è sempre facile da accettare. Certo, bisognerebbe educare i nostri ragazzi a rendersi conto della preziosità della vita, e non solo in certe circostanze tragiche, quando muore un ragazzo di vent’anni per una grave malattia o per un incidente stradale. Ci vuole poi poco per dimenticarsene: un giorno o due dopo il funerale. E si torna più scriteriati di prima.
Tutto è un dono, anche la natura che ci circonda, tanto più se abbiamo la fortuna di vivere in un contesto ambientale da paradiso. Ma i doni li prendiamo come beni da sfruttare: e questo non da oggi, anzi da sempre, giustificandoci magari con la Bibbia che abilmente interpretiamo su misura dei nostri bisogni.
I doni dello Spirito santo! Se ci soffermiamo attentamente su ciascuno di questi, ci accorgiamo che fanno parte del nostro essere: non penso che solo i credenti abbiano il diritti o il dovere di essere sapienti, intelligenti, forti, ecc. È nel nostro essere “umano”. Perché allora invochiamo lo Spirito perché ci dia i sette doni? Non sarebbe più giusto dire che dobbiamo invocare lo Spirito perché ci renda coscienti di ciò che siamo? E ciò non è possibile senza la sapienza, l’intelletto, ecc. L’opera vera dello Spirito santo consiste nel risvegliare in noi le nostre più autentiche risorse, capacità, potenzialità. Già l’ho detto: la migliore definizione dell’essere umano è questa: noi siamo una ricchezza imprevedibile, quasi infinita, di “potenzialità”, il che significa: abbiamo risorse o energie interiori che neppure noi conosciamo; potremmo, se vogliamo, meravigliarci in continuazione e meravigliare l’universo. L’universo, come entità fisica, non ha quelle risorse che abbiamo noi, eppure tutti i giorni assistiamo a scoperte che ci lasciano talora di stucco. Ma chissà perché non facciamo gli stessi sforzi per scoprire le risorse che ci sono dentro di noi. In fondo l’espressione di Sant’Agostino: “il nostro cuore è irrequieto finché non riposa in te, Signore”, possiamo anche interpretarla così: solo l’Infinito potrà appagarci in pienezza, il che significa: se è vero che, come dice la Bibbia, che siamo stati fatti “a immagine e somiglianza di Dio”, non possiamo accontentaci di vivere alla giornata, per quanto ci basta, per quel poco di gioia che riusciamo ad afferrare. Siamo fatti per l’Infinito: dentro di noi ci sono risorse imprevedibili, ci sono possibilità sempre pronte a farsi reali.
Vorrei almeno dire qualcosa sul secondo brano della Messa, che è tolto dalla prima lettera che l’apostolo Paolo ha indirizzato ai cristiani di Corinto. Si parla di doni, e si parla di carismi. Una pagina che è stata fatta propria – ognuno a modo suo – dalle Congregazioni e dagli Ordini religiosi, e ultimamente dai Movimenti ecclesiali.
Ogni Congregazione o Ordine religioso o Movimento ecclesiale vorrebbe appropriarsi di un carisma particolare. Spesso sentiamo ancora dire: Siamo alla ri-scoperta del nostro carisma! Segno che l’hanno perso o l’hanno dimenticato. Oggi si sente parlare di meno di questa urgenza: i casi sono due: o hanno ritrovato il loro originario carisma, o hanno perso ogni speranza. E si preferisce talora puntare sul nuovo. Costa di meno, e rende di più. Si inventano nuove associazioni, nuovi gruppi, nuovi movimenti: ciascuna o ciascuno con un suo nuovo carisma. Tranne che, un tempo, c’erano fondatori che erano santi, oggi si fa di tutto per canonizzare i fondatori per dare prestigio alla loro creatura. Gesù già aveva detto: dai loro frutti li riconoscerete! Come si può canonizzare ad esempio don Luigi Giussani se si dovesse guardare ai frutti di Comunione e liberazione? Me lo spiegate!
Forse, pur nella straordinaria bellezza delle differenze, della varietà dei carismi, doni dello Spirito santo che ama il pluralismo, non si è ancora capito che il cristianesimo sta al di sopra di tutto, ed è qui che ci si disperde su strade che portano lontano. Ogni strada diventa l’unica o quasi, e si pretende di farne la via maestra. Il cristianesimo ha mille strade, ma tutte portano verso l’Umanità.
Che cos’è il carisma? Distinguiamo: in psicologia è la capacità di esercitare una forte influenza su altre persone. Ecco perché diciamo che uno è carismatico. In campo religioso, assume il significato di dono. Carisma deriva dal greco “chàrisma” che a sua volta deriva dal sostantivo “charis” che significa: grazia. La parola grazia può avere diversi significati, tra cui avvenenza, anche favore, benevolenza, ricompensa, ma non è difficile intuire che la parola grazia rimanda anche alla gratuità. Grazia è gratuità. Ecco perché una cosa è bella, avvenente: perché ha in sé la gratuità. In questo senso vale letta l’espressione nota: solo la Bellezza salverà il mondo! Ovvero, solo la Gratuità salverà il mondo.
Torniamo alla parola carisma, di cui parla san Paolo ai cristiani di Corinto. È un dono di Dio, perciò è qualcosa di gratuito, e tale deve rimanere, ovvero gratuito. Ora mi chiedo dove stia la gratuità negli Ordini religiosi, nelle Congregazioni, nei moderni Movimenti ecclesiali. Diciamo in genere: esiste la Gratuità nella Chiesa, nelle nostre comunità parrocchiali? Sempre san Paolo parla di diversi ministeri, di diverse attività, di diversi linguaggi comunicativi: la sapienza, la conoscenza, la fede, ecc.
Ma… uno solo è lo Spirito che agisce sempre con l’unico scopo che è il Bene comune. Ogni Ordine o Congregazione o Movimento ecclesiale, diciamo anche: ogni comunità cristiana tende al Bene comune. E il Bene comune non va identificato con la Chiesa-struttura-religione. Riguarda l’intera Umanità. Il Bene comune non è quel volerci bene che pianifica ogni differenza di doni, non è quell’uniformarsi per andare d’accordo, ma casomai quella tensione al Meglio che fa sì che ognuno, con i suoi doni, con i suoi carismi, con i suoi ministeri collabori per il Bene dell’Umanità.    

27 maggio 2012: Messa di Prima Comunione

Pentecoste e prima Santa Comunione. È vero: non si tratta di una coincidenza voluta, ma casuale. Certo, l’ideale sarebbe mettere la data della Cresima il giorno della Pentecoste. Tuttavia non si può negare che ci sia un profondo legame tra lo Spirito santo e l’Eucaristia. Lo Spirito santo scende già col Battesimo su di noi e dentro di noi, e intensifica la sua presenza con la recezione di tutti gli altri sacramenti. Per essere più completi, come dice l’autore sacro all’inizio della Genesi, primo libro della Bibbia, lo spirito di Dio, prima della formazione del mondo, “aleggiava sulle acque”. Lo spirito di Dio: letteralmente il soffio di Dio, che può indicare il vento che, nell’immaginario simbolico dell’autore, si agita sull’abisso primordiale; oppure, meglio, può anticipare l’azione creatrice e vivificante di Dio. Il verbo “aleggiare” porterà poi a pensare ad un volatile, e precisamente ad una colomba. Siamo sempre nel campo della simbologia. In breve, se è vero che lo Spirito è il dono di Cristo sulla croce (il verbo “spirò” non indica solo un’azione fisica nel senso di morì, ma “donò lo spirito” all’umanità), è altrettanto vero che, come dice la Genesi, lo Spirito di Dio era già presente in tutta la creazione fin dalle origini.

Sei nostre ragazzine (Alessia, Asia, Dalila, Francesca, Paola e Sofia) riceveranno, fra poco, per la prima volta Gesù Eucaristia. Già il verbo ricevere dovrebbe farci riflettere: si tratta di un dono, e come tale ha tutto il sapore di qualcosa di gratuito. Non c’è confronto tra ciò che si riceve e ciò che noi siamo: c’è un abisso che viene superato solo dall’amore infinito di Dio. Non si tratta dunque solo di una indegnità di tipo morale delle creature, anche perché nel caso specifico, trattandosi di ragazzine, pur con tutti i loro difettucci, non conoscono ancora la bruttezza di ciò che noi chiamiamo peccato. Invece che elevare l’età per la Prima Comunione non sarei contrario invece ad abbassarla. Dio, quando si dona, non aspetta a lungo, anche perché, siamo sinceri, non arriverà mai il momento in cui ne saremo del tutto degni. Dio preferisce trovare casa nelle realtà più semplici, nei cuori più teneri. E chi è più semplice e più tenero di un bambino? Dio non aspetta che sia troppo tardi, quando, crescendo in età, sembra quasi che prenda sempre più il sopravvento ciò che ci allontana dalla nostra innocenza infantile.

Dunque, ricevere Gesù richiama subito la gratuità. E la gratuità, più è divina più raggiunge la sua pienezza. Con parole più semplici: solo Dio è la Gratuità per eccellenza; noi, creature limitate, possiamo solo gustare qualcosa della sua bontà e della sua bellezza.

Quanto vorrei che, già coi piccoli, si iniziasse a educarli al valore della gratuità, evitando, appunto, che, al contatto con una società egoista, si facciano ben presto contaminare. L’opera educativa alla gratuità non è per nulla facile, sia perché noi adulti siamo immersi in un mondo che parla d’altro, sia perché quest’opera educativa porterebbe i ragazzi a vivere in un “altro” mondo, appunto quello divino, o, meglio, in quel mondo che non sembra reale, tanto è utopico: quello della  gratuità.

Se la gratuità ha origine da Dio, o, meglio, la Gratuità è Dio stesso, dobbiamo allora stare attenti: sostituire la gratuità divina con i nostri doni è rischioso, si corre cioè il rischio di banalizzare, addirittura di dissacrare la Gratuità divina. Il giorno della Prima Comunione, che è il giorno della Gratuità di Dio – infatti Gesù si offre in tutta la sua pienezza di vita – si usa fare dei doni ai comunicandi da parte dei genitori, dei parenti, degli amici.

Non intendo qui contestare tale usanza. Mi chiedo però che senso possa avere un “nostro” dono quando invece dovremmo far capire ai ragazzini e ragazzine che il vero Dono è Lui, Gesù Eucaristia. Un Dono che non ha confronti. Si rischia di creare nei piccoli una quasi spasmodica attesa di un dono diciamo terreno, che dura magari solo un giorno, che non sta alla pari con il dono divino, che dura per tutta la vita. Non parlo poi del contesto laico, talora dissacrante, di una giornata di cui, giustamente, il Papa recentemente invitava a scoprire l’essenzialità nella sobrietà. Viviamo tra l’altro in un momento che non possiamo permetterci tanto lusso nel superfluo. Già! La crisi la tiriamo in ballo quando ci fa comodo! E poi, con tanta dissennatezza, ci facciamo prendere dal consumismo.

Eppure il dono divino è gratuito! Cosa ci costa economicamente parlando? Ecco che torna questa benedetta parola “gratuità”, che, anche se va ben al di là di ogni aspetto puramente economico, non ci estranea da questo mondo in cui, bene o male, siamo dentro. La gratuità fa di ogni cosa un vero bene di Dio, e lo trasforma in un dono. Se capissimo questo, risolveremmo anche la stessa crisi economica che, volere o noi, è dovuta ad una globale ingiustizia sociale. Certo, non basta dire che dobbiamo vivere solo di pane eucaristico. Se pensassimo però alla prima definizione dell’Eucaristia – “fractio panis”, lo spezzare del pane – forse capiremmo dove sta la soluzione di ogni problema che attanaglia questa nostra società. La “fractio panis” comporta solidarietà, giustizia distributiva, compartecipazione del nostro ben-essere inteso anche come il nostro star bene dentro.

Pentecoste e Eucaristia. Chi ci fa capire il valore dell’Eucaristia? Quando le nostre ragazzine riceveranno Gesù eucaristico per la prima volta, chi farà comprendere loro il valore di questo dono? Chi le aiuterà a farne tesoro anche nei giorni successivi? Possiamo anche dir loro le più belle parole, invitarle a prenderne coscienza, ma è lo Spirito santo l’unico a “interiorizzare” il Mistero di Dio. Ecco perché il passo successivo alla Eucaristia sarà la Cresima, quando lo Spirito santo si farà sentire agendo anche sulla capacità intellettiva: che cosa rappresentano i sette doni se non quel risveglio dei valori umani che richiede una maggiore presa di coscienza di noi stessi? E i ragazzini non crescono solo in età, nello sviluppo fisico: guai se venisse meno la crescita interiore!

Ma lo Spirito chiede anche la nostra collaborazione. È facile, anche comodo, scaricare tutta la responsabilità sugli altri: sul potere, sulla società, sulle varie strutture socio-educative. Cari genitori, assumetevi le vostre responsabilità. I figli sono anche figli di questa società, ma anzitutto sono figli vostri. Non lo dovete dimenticare. Vostri, non nel senso che sono di vostra proprietà. Vostri, nel senso che tocca a voi educarli perché crescano nella libertà dello Spirito. Non dovete imporre loro le vostre schiavitù, i vostri schemi mentali, le vostre corte visuali. E neppure dovete lasciarli in balìa di questa società che non sa più dove andare, perché ha perso ogni punto di riferimento di valori.

So che vi sto dicendo cose impegnative. So che forse non è il giorno più opportuno. Ma forse sì. Siete qui, e siete quasi costretti ad ascoltarmi. Ma non vorrei che ascoltaste queste parole come se fossero solo mie: riscoprite in esse ciò che vi dice ora lo Spirito santo. Oggi, giorno della Pentecoste. Qualcosa pur dirà di sconvolgente anche a noi.

 

 

4 Commenti

  1. Vincenzo ha detto:

    “Pentecoste e Eucaristia. Chi ci fa capire il valore dell’Eucaristia? Quando le nostre ragazzine riceveranno Gesù eucaristico per la prima volta, chi farà comprendere loro il valore di questo dono? Chi le aiuterà a farne tesoro anche nei giorni successivi? Possiamo anche dir loro le più belle parole, invitarle a prenderne coscienza, ma è lo Spirito santo l’unico a “interiorizzare” il Mistero di Dio”… ma se, come è vero, è lo Spirito a far capire il valore dell’Eucaristia perché non prima la Cresima, magari nella stessa celebrazione??

  2. Gianni ha detto:

    Quelli sottostanti ai sacramenti sono concetti difficili sia da comprendere, sia da spiegae.
    Ma forse non vanno neppure spiegati, tale è il mistero divino.

  3. Lina ha detto:

    Dal libro del Siracide: “Figlio fin da giovane ricerca l’istruzione e fino alla vecchiaia troverai sapienza.Avvicinati ad essa come chi ara e semina ed attendi poi i suoi buoni frutti;con poca fatica la coltiverai e mangerai presto le sue primizie. La sapienza è difficile per gli ignoranti, l’insensato non vi si applica. E’ pietra pesante che spossa la sua forza, fa presto a scrollarsela di dosso.” Secondo me la Sapienza è il dono più grande dello Spirito Santo, e da lì scaturiscono gli altri doni. Purtroppo l’umanità sente la Sapienza, come una pietra al collo e se la scrolla di dosso, restando in balìa dei frutti della sua stoltezza. Senza Dio, non possiamo fare nulla, anche se dovessimo arrivare al massimo della conoscenza e della cultura. Se noi non facciamo qualunque cosa in Dio, falliremo sempre, anche quando ci sembra di essere vincenti, secondo la nostra stoltezza. La Storia dell’Umanità ce lo insegna.

  4. Luciano ha detto:

    Grazie don Giorgio per l’omelia di Pentecoste e per aver ripristinato il suo sito. Speriamo che non venga più rovinato da qualche talebano pseudoreligioso. Buona serata.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*