Angelo Scola, è tempo di migrare!

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di don Giorgio De Capitani
Lo sento: Angelo Scola non durerà fino al 2015, ovvero fino all’Expo. Naturalmente, come vescovo di Milano. Per il resto, lunga lunghissima vita.
Sì, lo sento, ed è proprio per questo che vorrei, in anticipo, stendere alcune considerazioni. Chiamarli consigli? Direi di più: senza tuttavia farli apparire come pressioni. Non ne avrei alcun potere. E poi, non tocca a me intervenire, casomai al Pastore supremo che si trova a Roma.
Se fossi Scola, prenderei alcuni giorni di vacanza eremitica, anche un mese, per fare un serio esame di coscienza, davanti alla domanda: la diocesi milanese ha ancora bisogno di me?
(Sull’”ancora” potrei anche discutere: fin dall’inizio c’è stato qualcosa che non ha funzionato, ovvero la nomina di Scola è stata inopportuna, e da parte mia c’è stata subito una immediata e previa ribellione! Leggere l’articolo qui
http://temi.repubblica.it/micromega-online/un-prete-invita-a-scendere-in-piazza-contro-larcivescovo-scola/).
In altre parole, mi chiederei se la mia presenza a Milano come buon pastore sia di utilità (nel senso di servizio) per il bene comune della diocesi, una tra le più grandi, se non la più grande, del mondo.
Sì, la diocesi più eminente – eminente per la sua tradizione e per la sua efficienza – non avrebbe bisogno di un “altro” pastore, che possa imprimere un passo “diverso”, pur nel solco di una santità pastorale tipicamente ambrosiana, che tutti ci invidiano?
Tradizione e innovazione, in vista di un cammino che apra sempre strade nuove. Certo, possiamo essere tutti d’accordo sulle due parole, ma non sui fatti. Ma i fatti esigono idee nuove, e le idee nuove nascono da quell’intuito profetico che richiede anzitutto “intelligenza” scevra da ogni gabbia mentale, e poi coraggio, sapendo che sarà particolarmente difficile risvegliare il popolo e anzitutto il suo clero.
Ci vuole tempo, certo. Pochi anni non bastano a imprimere un nuovo cammino. Ma basta pochissimo per capire se il pastore vede già oltre lo steccato.
Ed è questo che io contesto al cardinale Scola: il suo “non vedere oltre”. Egli non è assolutamente in linea con la sana tradizione ambrosiana, chiuso com’è in uno schema mentale e religioso tale da bloccarlo, bloccando poi il cammino pastorale della diocesi.
Più il tempo passa, più si presagisce che non succederà nulla di nuovo, anzi si teme che la diocesi perderà il passo della Storia dell’Umanesimo integrale.
Sono solo mie impressioni? Non mi pare, se mi confronto con il giudizio di diversi preti ambrosiani, i quali riferiscono del malumore generale. È vero che il clero ambrosiano è facile alle mormorazioni quotidiane, ma è anche vero che si sente nell’aria una certa acuta insofferenza, che rimane però come repressa dentro, per il timore di avere serie conseguenze.
Non è vero che oggi il clero respiri più libertà d’opinione o di critica. Soffre, e tace. Borbotta, ma lontano dalla curia. I malumori ci sono, ma nessuno tra i preti ha il coraggio di uscire allo scoperto.
Lo sto dicendo ad alcuni confratelli: se almeno una quindicina di preti ambrosiani avesse il coraggio di esprimere in pubblico il loro dissenso, forse qualcosa si muoverebbe: l’autorità sarebbe costretta a rispondere. E invece no: si continua a mentire, facendo la doppia faccia. D’altronde, c’è un posto di lavoro da salvare, una casa, uno stipendio! O no? Qualcuno pensa anche alla carriera.
E poi che cosa aspettarci dal clero giovane, con la testa bendata, già castrato nella fede? Certo, il corpo ce l’hanno ben profumato questi giovincelli, santerelli da vedere, ma viziati secondo i canoni dell’edonismo più progressista. Vecchi dentro, e moderni nel sapersi adattare alle mode dei tempi. Coi capelli profumati, ma chiusi allo Spirito innovatore.
E così, noi anziani “senza collare”, con il cuore caldo, rimaniamo soli a lottare, per un Regno di cui non sentiamo che il bruciore delle ortiche che pungono da ogni parte.
Per di più quattro gatti, per di più rosi nel corpo e con addosso il peso del tempo che passa, implacabilmente, con il ghigno di chi si vendica dicendo: Fra poco anche la vostra voce si spegnerà! Comunistelli da quattro soldi!
Anche la beffa! Ma che c’importa?
Ma non c’è in ballo solo la singola persona del vescovo. Se il vescovo può fare ciò che vuole, è perché ha attorno gente supina, rassegnata, obbediente per convenienza o per stupidità. Magari cervelloni programmatori di iniziative, che portano al nulla, dopo aver ottenuto un po’ di orgasmo mediatico. Mi chiedo chi ha partorito e organizzato quello spettacolo indecente della croce sul piazzale del duomo di Milano. Far sapere a tutto il mondo che il chiodo è quello del morso del cavallo di Costantino! E poi non è un paradossale osceno contrasto con la follia della Croce, che non ama certo la spettacolarizzazione o la visibilità plateale? L’indegno spettacolo sul piazzale del Duomo è un esempio che rivela anche lo stile pastorale di un cardinale che punta al numero invece che alla qualità, ma dietro c’è una serie di teste ottuse, sempre pronte a dare sfoggio del proprio genio organizzativo. Genio! Dio mio, tutto qui il genio ambrosiano? Purtroppo, noi ambrosiani non ci smentiamo mai nella nostra capacità pragmatistica o praticona di saper illudere con iniziative e cose, che durano per il tempo che devono durare, ma che non vanno mai oltre, e il motivo è semplice: non hanno l’anima profetica! 
Eminenza, è tempo di migrare! Verso altri lidi. Il regno di Dio è vasto: c’è spazio per tutti. Ma ognuno ha i suoi limiti, e le sue capacità. Non basta una laurea per garantirsi qualsiasi posto. Qual è la volontà di Dio? Che Lei rimanga a Milano? Ma chi ci assicura che questa è la volontà di Dio? Forse Dio pensava diversamente quando Lei è stato nominato vescovo di Milano. In ogni caso, volontà di Dio o non volontà di Dio, credo che tocca anche a noi stabilire dei tempi e fare delle scelte: il passato è passato, oggi qual è il bene comune delle Diocesi milanese?
Non credo che Benedetto XVI sia stato illuminato da chissà quale luce divina, quando ha deciso di dare le dimissioni. Ha riflettuto anche con la sua testa. Perché aspettare sempre che arrivi l’imprevisto (una malattia o altro) o il raggiungimento dell’età pensionabile?
Se fossi in Lei, Eminenza, ci penserei. Non è per una mia vendetta personale, ma sono sempre più convinto che la diocesi milanese abbia bisogno di un cambio di rotta. E al più presto possibile.
E che il prossimo vescovo faccia piazza pulita della Curia milanese! Si circondi di gente giusta e con l’occhio in avanti. Meno praticona, ma più preveggente. Decisa e coraggiosa  nel dare un nuovo indirizzo alla pastorale. Con pazienza e umanità.
Il nuovo vescovo scelga collaboratori più intelligenti, e meno genuflessi.    

6 Commenti

  1. fdrk ha detto:

    Bravo don. Ben detto

  2. Fausto ha detto:

    Credo che Don Giorgio abbia individuato il punto importante quando scrive: “Se il vescovo può fare ciò che vuole, è perché ha attorno gente supina, rassegnata, obbediente per convenienza o per stupidità”.
    E poi tutta questa decantata efficienza ambrosiana. che stanco ritornello! Spero che si possa andare più adagio ed essere più semplici e più autentici, un po’ come sta succedendo con slow.food slow-medicine!
    Ciao

  3. Marco ha detto:

    È davvero un piacere leggere il risultato dei pensieri di questo prete illuminato: non sono più cattolico da anni, proprio per vescovi come Scola, ma sto ricominciando ad avvicinarmi a certi ‘pensieri spirituali’ grazie ad uomini coraggiosi come don giorgio.
    Continua così! Grazie di cuore!!

  4. zorro ha detto:

    Tocca a voi anziani che non avete niente da perdere lottare contro il sistema clero e rinnovarlo la cosa peggiore che puo’ capitare e’ perdere la parrocchia ma non la parola x combattere con intelligenza.Sarebbe bello che anche nella societa’ civile gli anziani pensionati che lavorano ancora combattessero le ingiustizie anziche’ legarsi l’anima all’ edonismo consumistico.

  5. Giuseppe ha detto:

    Dopo gli scandali che hanno investito CL e la Compagnia delle opere, penso che sua eminenza dovrebbe, se non altro per correttezza, fare un passo indietro. Sul suo operato come arcivescovo di Milano non sono in grado di farmi una opinione, considerato che vivo altrove, anche se l’allontanamento di don Giorgio la dice lunga sulle sue “qualità” di pastore. Per quanto riguarda invece la sua attività “politica”, sono le sue stesse frequentazioni a parlare per lui. A prescindere comunque dalle valutazioni che ci vengono offerte oggi, continuo ad essere grato ai cardinali e allo Spirito Santo che li ha illuminati per non averlo scelto come papa.

  6. GIANNI ha detto:

    In sostanza, l’ho sempre detto.
    Nel cattolicesimo convivono visioni, sensibilità diverse.
    Le diverse concezioni di uno Scola e di don Giorgio me lo ricordano, come correnti diverse in seno ad uno stesso partito.
    Ovviamente la tradizione di un Tettamanzi o di un Martini non era e non è ben vista dai cosiddetti conservatori ed altrettanto ovviamente quella di uno Scola non è ben vista dai progressisti.
    Negli ultimi tempi, anche le dimissioni di Ratzinger ci hanno però abituato a non dare nulla per scontato, ed ancor di più la salita di Bergoglio al pontificato.
    Fare previsioni di cosa potrà accadere nella chiesa è quindi oggi ancora più difficile, anche per le singole diocesi.
    Oggi Scola….domani chissà…..

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