Omelie 2017 di don Giorgio: Domenica che precede il martirio di S. Giovanni il Precursore

27 agosto 2017: DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
1Mc 1,10.41-42; 2,29-38; Ef 6,10-18; Mc 12,13-17
Brani difficili, e problematici
Anche i tre brani della Messa di oggi non sono di facile lettura e tanto meno di facile interpretazione. O, meglio, sono di una tale notorietà da farci credere di avere già scontata la soluzione del dilemma, e quindi: di fronte all’oppressione che ci toglie la libertà bisogna reagire e combattere oppure subire ogni angheria, in nome di chissà quale virtù teologale? E se bisogna reagire, come combattere? Inoltre: di quale libertà si sta parlando, e di quale nemico?
Predominio politico, culturale e religioso
Il primo brano ci parla di un nemico, che è lo strapotere di una nazione o stato che vuole imporre il suo dominio su altri popoli, non solo in senso strettamente politico-economico, ma anche del tipo culturale e religioso.
In realtà, le cose si complicano, quando parliamo di potere, che già nella sua parola nasconde e protegge qualcosa di malefico, ed è difficile distinguere tra loro e valutare  le reazioni al potere, anche se sotto il nome di libertà è evidente l’intento di difendere la propria autonomia, al di là di quegli aspetti che ci fa comodo esporre come bandiera della nostra lotta.
Oggi, ad esempio, non si ha neppure il pudore di nascondere le vere intenzioni, e perciò si parla esplicitamente di autonomie locali, per garantire il più concretamente possibile l’interesse del proprio io.
E allora il nemico, più che il fantasma di un mostro, chiamato pensiero unico (la gente comune che cosa capisce?) è anche solo il vicino di casa, visto come un nemico che ci porta via un nostro più o meno presunto diritto.
E anche in questo caso basta poco: che il vicino sia un estraneo, un extracomunitario inteso solo come uno che è venuto da fuori, da un’altra comunità che non è la nostra. Siamo almeno sinceri: sono tutti extracomunitari, estranei alla nostra comunità, tranne noi, visto che oggi è difficile parlare di comunità e visto che la comunità siamo ciascuno di noi, ovvero la comunità è il nostro singolo ego.
Ognuno di noi è la comunità, fatta su misura del proprio egoismo. Io sono la comunità, gli altri sono extra: extracomunitari.
La dura prova di Dio
Ma torniamo al primo brano, ovvero alla lotta di un gruppo di devoti ebrei, strettamente ligi alla Legge dei loro padri, simbolo dell’Alleanza tra Dio e il popolo eletto, anche se l’Alleanza si era ridotta a un lumicino, lasciando che la Torah diventasse un insieme caotico di leggi più negative che positive, a danno della stessa dignità dell’essere umano.
Sarà poi Cristo che dirà che la legge, ogni legge, anche quella divina, è al servizio dell’essere umano, e non viceversa: la legge non è al servizio neppure di Dio, ma al servizio dei figli di Dio.
Ma, nel frattempo, prima che arrivasse Cristo a sistemare definitivamente le cose sovvertendo la gerarchia della legge ebraica, il popolo eletto si era allontanato dal Dio dell’Alleanza, e, proprio per dare una durissima lezione al suo popolo, Dio permise la persecuzione ad opera del siriano Antico IV detto Epìfane, che non solo profanò il tempio di Gerusalemme dedicandolo a Zeus, ma proibì la pratica religiosa ebraica e tentò di ellenizzare la cultura ebraica.
L’eroismo non è mai a senso unico
Se dobbiamo parlare del valore del coraggio, non limitiamoci a parlare degli eroi del nostro fronte: gli atti eroici non sono mai mancati neppure sul fronte dei cosiddetti nostri “nemici” o “avversari”. L’eroismo non ha un senso unico. In ogni guerra, c’è chi combatte in buona fede per qualche ideale, sia che si trovi su un fronte o su un altro.
Il problema vero è colui che scatena le guerre: noi lo chiamiamo genericamente potere, ma si dimentica che dietro a questa parola vaga c’è sempre un nome ben preciso, che si crede investito di una missione speciale, quella di scatenare ogni forma di follia. E a pagare le conseguenze di questa follia sono quei poveri cristi che, sui vari fronti, tra loro opposti, si scannano tra loro costretti a odiarsi in nome di chissà quale amor di patria.
Dunque, attenzione: evitiamo di dire che gli eroi sono solo da una parte. E non diciamo che la violenza è lecita solo a chi si deve difendere, dal momento che, quando si è in guerra, si è in uno stato di ingiustizia reciproca.
In fondo, l’ellenizzazione era un bene o un male?
Ma c’è un’altra riflessione da fare sul primo brano. Parlando della resistenza pacifica o violenta dei Maccabei contro il tentativo di introdurre tra il popolo ebraico la cultura ellenica, forse dovremmo chiederci se la cultura greca non avrebbe potuto aprire la ristretta cultura ebraica.
Certo, la cultura non va mai imposta con la forza, e tanto meno come simbolo di un potere, ma neppure la cultura in genere va esclusa a priori come nemica della propria fede o della propria razza. Anche qui, la cultura, intesa nella sua realtà più nobile di filosofia della vita, è universale: può nascere in una nazione, ma è di dominio pubblico. L’avevano compreso anche i filosofi greci, che all’inizio pretendevano di tenersi la propria cultura come un privilegio di Atene, poi hanno capito che il loro grande pensiero andava oltre.
Un’altra cosa da chiarire. Dire ellenizzazione non è la stessa cosa che dire filosofia socratica o platonica o aristotelica, ma la cultura ellenistica era diventata una forma di imposizione di una filosofia eclettica, che non rispecchiava la purezza del pensiero originario, tanto più che il potere ne aveva fatto uso come alibi per imporre il proprio dominio.
Quando il potere politico e non solo politico, anche quello religioso, si fa proprio un grande Pensiero, lo riduce in polvere. Tuttavia, aprendosi agli altri, alle altre culture, c’è sempre da imparare. Solo gli ottusi fondamentalisti o i barbari razzisti si tengono le briciole di verità, supposto che in certe teste sia rimasta ancora qualcosa di verità.

 

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