27 novembre 2016: TERZA DI AVVENTO
Is 35,1-10; Rm 11,25-36; Mt 11,2-15
Tutti siamo rimasti colpiti dalla bellezza poetica del primo brano, con immagini molto espressive prese dal mondo naturale e dal mondo animale, con l’intento di esprimere un messaggio sovrabbondante di pace e di gioia.
Un messaggio universale di pace e di gioia
II profeta Isaia, nel capitolo 34, esprimeva un drammatico giudizio contro Edom, preso come simbolo del male a causa del suo atteggiamento di ostilità nei confronti di Gerusalemme, in occasione dell’assedio babilonese (VI secolo a.C). Il castigo contro Edom è descritto come: morte dei nemici, devastazione del paese, invasione di animali selvaggi e di demoni. Il capitolo 35, di cui fa parte il brano odierno, offre, in contrapposizione, la visione della felicità e della benedizione di Dio su Sion e i suoi abitanti, prospettando il ritorno degli esuli a Gerusalemme, partecipe una natura rigogliosa e splendente.
Anche il deserto si trasforma e diventa un giardino, mentre la terra arida e impraticabile acquisterà lo splendore del Libano, del Carmelo e di Saron, ritenuti i luoghi più fertili e rigogliosi del vicino Oriente. Israele vedrà la magnificenza del Signore e la sua gloria, perché l’Onnipotente compirà il miracolo di dare gioia e speranza a un popolo vacillante e distrutto. E i messaggeri di questo futuro nuovo sono caldamente invitati, come un ordine divino, a “irrobustire le mani fiacche, a rendere salde le ginocchia vacillanti e a dire agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete!”. Perché? Ed ecco la promessa: “Il Signore viene a salvarvi!”.
Il linguaggio poetico si allarga poi all’attenzione per i più deboli ed i poveri: ogni cieco vedrà, ogni muto potrà parlare, lo zoppo potrà saltare di gioia e il sordo potrà udire, quattro esempi ma il numero 4 è il numero della terra. Perciò tutti i deboli e i poveri potranno essere risanati. E per il popolo eletto saranno cancellati ogni segno di tragedia, ogni disgrazia, sopravvenute per la deportazione, la malattia, la denutrizione e il maltrattamento.
Ma la cosa ancor interessante è l’immagine della “Via sacra”: «Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa». Questa “via sacra o santa” collegherà il territorio da Babilonia a Gerusalemme e su di essa cammineranno i redenti (a Babilonia esisteva una “Via Sacra” che gli schiavi costruivano per la processione delle statue pagane e che collegava i diversi templi). Anche questa immagine è abbellita da riferimenti politici e poetici: gli esuli tornando in patria sulla Via Sacra non incontreranno più pericoli di animali (“leoni e bestie feroci”), non ci saranno “impuri e stolti” (idolatri o nemici di Dio), ma sarà un percorso di libertà, di vita e di gioia.
Alcune riflessioni per l’oggi
Potremmo fare diverse considerazioni, tenendo presente l’oggi. Che senso avrebbe la parola di Dio, se restasse solo valida nel tempo in cui i profeti l’hanno annunciata? I profeti non sarebbero profeti, ma solo messaggeri legati al loro tempo. E invece non è così.
Commenta don Raffaello Ciccone: «tutto questo popolo, allora come oggi, deve riconoscere di essere “cieco, sordo, zoppo e muto”, per vedere il Signore nella storia, per ascoltare la sua parola, per osare un cammino di coerenza ed aprire dialoghi con azioni nuove nel mondo, dove si vive e si lavora». Naturalmente, per popolo s’intende non tanto quello ebraico, quanto tutti i popoli della terra. Oramai non possiamo più dividerci in razze, in culture o in religioni. Oggi sembra che a poco a poco le barriere cadano, anche sotto i colpi di fenomeni epocali, che nessuno, che lo voglia o no, potrà fermare. Certo, ognuno si svesti della propria superiorità razziale o religiosa. Che significa allora, come scrive don Ciccone, che occorre riconoscere di essere “cieco, sordo, zoppo e muto”? Secondo la mia interpretazione, significa sentirsi ciechi, sordi, zoppi e muti, per poter vedere il nuovo che avanza, anche attraverso l’accoglienza di coloro che, oltre a problemi fisici, sono stati emarginati e tuttora vivono in situazioni sociali di emarginazione.
Il grande mistero della salvezza del popolo ebraico
Per Paolo, il rifiuto del popolo d’Israele nei riguardi di Gesù, condannandolo a morire sulla croce, resterà sempre un grande mistero. L’Apostolo se ne fa un cruccio, tuttavia si sforza di approfondire, di capire e di motivare questo rifiuto. Se il popolo d’Israele, chiudendosi a Gesù, ha disertato le nuove comunità, riflette san Paolo, questa lontananza ha permesso di aprire il nuovo annuncio, senza difficoltà, ai pagani. Se tutto Israele si fosse convertito subito, probabilmente i nuovi credenti, provenienti dal paganesimo, non avrebbero ricevuto pari riconoscimento e cittadinanza nel popolo di Dio. Però, alla fine, il Signore riproporrà anche al popolo d’Israele la sua conversione e così sarà pieno il ricongiungimento nella misericordia per tutti i popoli.
Alcune riflessioni
Il brano del Vangelo propone diverse riflessioni. Anzitutto, come scrive don Ciccone, «la domanda più grande che turba la ricerca di tante persone viene espressa a Gesù da Giovanni il Battista che è in carcere e scopre che le sue attese sono completamente diverse. Eppure ha parlato come profeta e su questa attesa sta giocandosi, fino in fondo, la sua vita… Gesù risponde suggerendo ai messaggeri inviati da Giovanni di udire e vedere e quindi riferire: “I ciechi, gli storpi, i lebbrosi, i sordi sono guariti, i morti risuscitati, ai poveri è predicata la buona novella”. Vengono riprese alcune espressioni del profeta Isaia (capitolo 35 e capitolo 61) aggiungendo il richiamo ai lebbrosi e ai morti». Ma attenzione: «La novità della risposta di Gesù non sta tanto nei miracoli: in questo tempo molti parlano di ciarlatani con fatti straordinari. Straordinario è l’allineamento di un mondo nuovo secondo la parola dei profeti che restituiscono dignità e gioia ai diseredati (l’elenco è costituito di 6 elementi a cui si aggiunge la beatitudine di chi non si scandalizza: è il vero mondo liberato). A questo punto è “beato chi non si scandalizza di me”, poiché la strada è così nuova e imprevedibile che diventerà sempre più sconcertante fino ad essere realmente uno “scandalo”».
Che dire? Il problema dei credenti, ancora oggi, è quel volere banalizzare il Vangelo, senza scavare nel profondo, e cogliere la novità. Ho sempre paura di chi mi dice: “L’ha detto Gesù Cristo?”. Sì, ma che cosa intendeva dire Gesù Cristo? Ecco la vera domanda. Ogni tentativo di risposta richiederà sempre altre risposte, fino alla fine del mondo.
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