Omelie 2019 di don Giorgio: SECONDA DI PASQUA

28 aprile 2018: SECONDA DI PASQUA
At 4,8-24.a; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
Il libro “Atti degli apostoli”: qual è lo scopo di Luca
Nel periodo pasquale, che va dalla Festività pasquale alla Pentecoste, la Liturgia come prima lettura ci propone ogni domenica un brano scelto dal libro “Atti degli apostoli”, scritto da Luca, autore del terzo Vangelo.
Da alcuni si pensa ancora che gli “Atti degli apostoli”, che, nell’elenco canonico dei libri del Nuovo Testamento viene subito dopo i quattro Vangeli, sia una specie di cronistoria di eventi che seguono passo per passo lo sviluppo del cristianesimo primitivo.
Il vero intento di Luca consiste nel dimostrare che l’annuncio evangelico (la Buona novella) è arrivato perfino al cuore dell’Impero romano. Quando l’apostolo Paolo, che è uno, senz’altro il più determinante protagonista del libro di Luca, arriva a Roma, lo scopo di Luca è raggiunto: il cristianesimo è arrivata nella capitale dell’Impero, e il libro si chiude.
Il protagonista è lo Spirito santo
Ho detto che Paolo è il protagonista più determinante degli “Atti degli apostoli”, in realtà il protagonista vero è un altro: lo Spirito santo, che conduce quasi per mano le prime comunità, dalla loro nascita verso il loro futuro. Un’azione misteriosa, ma reale, che però non agisce come un “deus ex machina”, intervenendo cioè in modo taumaturgico, compiendo miracoli, o come uno di quei leader populisti di oggi, che dicono: faccio tutto io!, e il popolo dietro come una massa di pecoroni.
La presenza dello Spirito santo è forte, vivace, fa da pungolo, ma agisce con quella pazienza rispettosa di chi ti sta al fianco, e ti dice: Forza, fa’ la tua parte! Io sono qui a illuminarti e a sostenerti.
Lo Spirito santo non chiede subito la perfezione ai seguaci di Cristo, non li vuole subito santi (anche se Luca li chiama “santi”, ma nel senso di “consacrati” al Cristo e al suo servizio), non li vuole subito compatti tra loro (anche se Luca li chiama “fratelli”).
Luca non nasconde le debolezze anche dei primi cristiani: le loro piccinerie, le loro gelosie, le loro rivalità. Tutto fa parte di una crescita nella libertà del credente e nella presenza dello Spirito.
Certo, a iniziare dagli Apostoli, era forte la convinzione che la presenza dello Spirito santo potesse dare una energia particolare all’agire dei primi cristiani, una tale forza che la stessa timidezza o un certo senso di paura o anche il semplice sentirsi quasi impotenti di fronte ad un sistema che sembrava onnipotente (pensate all’impero romano), non toglievano ai nuovi credenti quella determinazione o quel coraggio di chi si sente pari o per lo meno all’altezza di combattere il nemico incarnato nel potere del maligno.
Parresia
Nel primo brano c’è una parola, tradotta in italiano con “franchezza” (“Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni”…), che nel testo originale greco è “parresia”.
L’indimenticabile Carlo Maria Martini, che ancora oggi ci fa da grande maestro di esegesi biblica, così spiega il significato di “parresia”: «La parola greca “parresia” indica, nel libro degli “Atti”, la capacità di testimoniare liberamente e coraggiosamente il messaggio cristiano anche in un mondo ostile. Nel mondo greco essa significava la libertà di parola che spettava nell’assemblea al cittadino che godeva dei pieni diritti civili, e di conseguenza il coraggio e la franchezza con cui tale privilegio poteva venire esercitato».
Aggiungo che il termine ”parresia” ricorre più volte nel libro “Atti degli apostoli”. Dico di più: il libro di Luca termina proprio con queste parole: l’apostolo Paolo, che era a Roma,  «trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù con tutta franchezza e senza impedimento» (Atti 28,28).
“Con tutta franchezza (in greco μετὰ πάσης παρρησίας) e senza impedimento (in greco ἀκωλύτως)”.
Che finale!
Nello stesso brano di oggi, ecco come rispondono gli apostoli Pietro e Giovanni ai capi del popolo che volevano zittirli: «… Noi non possiamo tacere…».
Un cristiano che tace la verità e non la dice con franchezza, una Chiesa che non parla, soprattutto quando il popolo ha bisogno di verità forti ed eterne, vengono meno al loro compito, al loro dovere, alla loro fede in quel Cristo che, sulla croce, ci ha donato lo Spirito della verità, perché venisse ascoltato, accolto e comunicato.
La Chiesa ha sempre usato il pugno duro per far tacere le voci libere, voci dello Spirito di verità, e coi forti si è dimostrata accomodante.
Sento parlare con troppa facilità di “parresia”, come se fosse la prerogativa dell’uomo più evoluto, anche nel campo della fede. C’è (non so se c’è ancora) un Foglio informatore, dal titolo “Parresia”, gestito da un gruppo di preti ambrosiani. Tempo fa ho inviato  un  articolo un po’ critico, me lo hanno censurato. Che “parresia”!
“Parresia” è parlare chiaro e con coraggio, soprattutto nei momenti particolarmente ostili: così ha scritto Martini. Ma è soprattutto nei periodi particolarmente bui e confusi che la Chiesa sembra tacere, facendosi così complice di un mondo socio-politico che conosce solo il linguaggio della barbarie.
Al capitolo 5, vv 27-29, troviamo che, quando il sommo sacerdote interroga gli Apostoli, dicendo loro: «”Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo”, rispose allora Pietro insieme agli apostoli: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”».
“Dio” non sta per religione e nemmeno per Chiesa cattolica. “Dio” è lo Spirito di Libertà, che è in ogni essere umano.
“Uomini” non solo gli anticlericali o i barbari moderni, ma gli stessi uomini di Chiesa che impongono le loro direttive, i loro dogmi, sopprimendo quella coscienza, che è la voce dello Spirito santo.
E allora, traduciamo: meglio obbedire alla propria coscienza che alle strutture politiche e religiose.
Ma ci vuole “parresia”: chiarezza e coraggio. Oggi mi sembra di vivere in un’epoca di opportunisti e di codardi.

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