Omelie 2014 di don Giorgio: Quinta Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni Battista

28 settembre 2014: Quinta Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore
Dt 6,4-12; Gal 5,1-14; Mt 22,34-40
Il brano del Vangelo è molto noto, ma non per questo scontato, anche perché il nostro difetto sta nel togliere le parole di Gesù dal loro contesto, sia quello immediato, quando cioè Gesù le ha pronunciate, sia quello più ampio, tanto più che Gesù stesso cita due passi dell’Antico Testamento: Deuteronomio 6,5 e Levitico 19,18.
Vediamo, anzitutto, il contesto immediato. Uno scriba pone una domanda-tranello: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”.  Siamo nelle vicinanze della passione. Cristo viene sottoposto a duri scontri da parte dei suoi nemici: scribi, farisei e sadducei. Quindi il clima non è dei migliori per rispondere alle domande, tanto più che vengono poste con una certa malizia: per metterlo alla prova.
Ma Gesù rimane calmo e risponde mettendo gli avversari nel sacco. Anzitutto, cita un passo del Deuteronomio: è il primo brano della messa. In realtà, Gesù ne riprende solo un versetto. Il brano inizia così: “Ascolta Israele”, in ebraico Shemà Israel. Sono le prime parole della preghiera, chiamata appunto lo Shemà, che il pio israelita ancora oggi recita al mattino e alla sera. In essa si fa memoria della unicità di Dio e del rapporto d’amore che deve intercorrere tra ogni membro del popolo e Dio stesso.
“Ascolta Israele”. Gli esegeti ci dicono che la maggior parte dei testi in cui compare il verbo “ascoltare” è concentrata nel libro del Deuteronomio. Se pensiamo che la Bibbia non conosce quella che noi occidentali chiamiamo “vita contemplativa”, balza subito agli occhi l’importanza di questo verbo. Infatti è al verbo ebraico shama’ (da cui l’italiano “ascoltare”) che la tradizione religiosa di Israele affida il ruolo della “contemplazione” e della “interiorità”, che sono le sorgenti della spiritualità biblica.
Viviamo in una società che non favorisce l’ascolto. La nostra è stata definita società dell’immagine. Ecco una descrizione che può farci riflettere: «Molteplici immagini accompagnate da molteplici parole e in rapida successione si sovrappongono confusamente sugli schermi della tv e dei telefonini, sui giornali, nei siti internet, nelle sale cinematografiche, in migliaia di libri sfornati dalle case editrici, nei graffiti delle mura delle città. Non è possibile prestare vero ascolto, dare retta a tutti questi molteplici messaggi, che somigliano ad un torrente impetuoso le cui acque scivolano lungo il pendio dei nostri sensi e della nostra mente. Nella nostra società c’è la prevalenza del “vedere” e del “sentire” sull’“ascoltare”… Il “sentire” si esaurisce perlopiù in una semplice sensazione fisica o anche emotiva; “ascoltare” è invece qualcosa di più profondo. Si potrebbe dire che, se per Dio “in principio è la Parola” (cf Gv 1,1; Gen 1,3.6), per l’uomo “in principio è l’ascolto”. Nella Bibbia si tratta di un ascolto del cuore. Il credente, come “deve amare il Signore con tutto il cuore”, deve anche tenere la Parola di Dio “fissa nel cuore” (cf Dt 6,5.6). La Parola deve superare le barriere dell’ascolto puramente fisico e della comprensione intellettuale per spingersi nelle profondità dell’uomo fino a raggiungere la sua più profonda interiorità, appunto il “cuore”. Il cuore assomiglia al “grembo materno” ove il germe seminato vive e cresce. Sono noti i testi di Luca in cui egli parla del cuore di Maria: “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19) e ancora: “Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51)».
Per comprendere meglio la risposta di Gesù allo scriba, bisogna tener conto che non era facile sintetizzare in poche parole il labirinto di leggi e prescrizioni, norme e precetti contenuti nelle Scritture sacre. I rabbini avevano catalogato ben 613 comandamenti, fra precetti e divieti. Li avevano suddivisi minuziosamente in: 248 precetti positivi (cioè azioni da compiere, tante quante le ossa del corpo umano), e in 365 precetti negativi (azioni da evitare, tante quante i giorni dell’anno). Bisognava osservarli tutti, anche se alcuni precetti erano considerati gravi ed altri leggeri. Le donne – non si capisce bene perché – erano dispensate dai 248 precetti positivi. Era difficile impararli tutti e ancor più osservarli. Nell’intento di una semplificazione, alcune scuole rabbiniche discutevano pedantemente quali fossero i precetti più importanti: per alcuni, il comandamento di ‘non avere altri dei’; per altri, l’osservanza del sabato; altri si affidavano all’opinione del maestro Hillel: “Ciò che non desideri per te, non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la legge, il resto è solo commento”.
Al primo comandamento Gesù ne aggiunge un secondo traendolo da Levitico (19,18): “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Gesù collega i due comandamenti mettendoli allo stesso piano, perché l’amore di Dio ha bisogno di una prova di autenticità e questa è l’amore del prossimo. Giovanni osserverà: “Se uno dice: Io amo Dio, ma odio il fratello è un bugiardo; perché chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non vede”. “Noi abbiamo ricevuto da lui questo precetto: chi ama Dio, ami anche il fratello” (1 Gv 4, 20-21).
Nell’Antico Testamento c’erano due grandi tradizioni: una che attraverso il culto si arrivava a Dio (l’amore a Dio passa attraverso la preghiera), l’altra, quella dei profeti, che solo attraverso l’amore per l’uomo si arrivava a Dio (l’amore a Dio passa per l’incontro con il prossimo). Gesù si mette in sintonia con questa seconda corrente, con i grandi profeti dell’Antico Testamento: “Voglio la misericordia e non il sacrificio” (Os 6,6; Mt 9,13; 12,7).
Vorrei chiarire una cosa. Quando Dio diceva al suo popolo “Ascolta”, sembra quasi che, di conseguenza, dovesse obbedire. Ascolta, quindi obbedisci. Tanto più che tra i due verbi, ascoltare e obbedire, c’è una certa parentela. Obbedire deriva da “ob-audire”: prestare ascolto dinanzi a una persona che parla.
La parola amore, intesa come Dio l’intende, trasforma l’obbedienza in una questione di cuore, così come la Bibbia l’intende. Certo, anche Gesù usa la parola “comandamento”, come se si trattasse di un ordine. Ma c’è un aggettivo che è essenziale: “nuovo”. C’è qualcosa di sorprendente, di rivoluzionario. Il comando di Cristo chiede tutto il nostro essere: lo coinvolge. “Amerai il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Bastava dire: con tutto il tuo cuore. Ma Gesù insiste nell’aggiungere anche: con tutta la tua mente.
Padre Ermes Ronchi commenta: «Che cosa c’è al centro della fede? Ciò che più di ogni cosa dona felicità all’uomo: amare. Non obbedire a regole né celebrare riti, ma semplicemente, meravigliosamente: amare. Gesù non aggiunge nulla di nuovo rispetto alla legge antica: il primo e il secondo comandamento sono già nel Libro sacro. Eppure il suo è un comando nuovo. La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l’unico comandamento. L’averli separati è l’origine dei nostri mali…
Amare “è tenere con tenerezza e passione Dio e l’uomo dentro di sé: se uno ama, l’altro è come se dimorasse dentro di lui” (A. Casati)… Ma amare che cosa? Amare l’Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza. Amerò ogni briciola di cosa bella che scoprirò vicino a me, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un’intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amerò ciò che Lui più ama: l’uomo, di cui è orgoglioso.
Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente, cuore, mente, anima, forza. Gesù sa che fare questo è già la guarigione dell’uomo. Perché chi ama così ritrova l’unità di se stesso, la sua pienezza felice…
Ama il tuo prossimo come te stesso. Quasi un terzo comandamento: ama anche te stesso, insieme a Dio e al prossimo. Come per te ami libertà e giustizia così le amerai anche per tuo fratello, sono le orme di Dio. Come per te desideri amicizia e dignità, e vuoi che fioriscano talenti e germogli di luce, questo vorrai anche per il tuo prossimo. Ama questa polifonia della vita, e farai risplendere l’immagine di Lui che è dentro di te. Perché l’amore trasforma, ognuno diventa ciò che ama. Se Lo amerai, sarai simile a Lui, cioè creatore di vita, perché “Dio non fa altro che questo, tutto il giorno: sta sul lettuccio della partoriente e genera” (M. Eckhart). Amerai, perché l’amore genera vita sul mondo».

2 Commenti

  1. il pompiere ha detto:

    don Giorgio questo non è un mess. destinato alla pubblicazione. oscuri il nr di cell del mess precedente altrimenti potrebbe mettere lo scrivente ne mirino di qualche mal intenzionato

  2. GIUSEPPE MANZONI ha detto:

    BUNA SERA DON GIORGIO
    SONO UN SUO PAROCCHIANO DI Dolzago , da quando vengo alle
    sue messe , ho ritrovato finalmente la voglia di ascoltare
    la parola DI DIO .
    NON LE SOLITE PREDICHE , SENZA NE CAPO NE CODA , MA LA SUA BRAVURA , NEL SPIEGARE , CHIARO , DIRETTO ,PRECISO ,
    MOLTO esplicito , mi ha fatto capire tanto , mi si è aperto un mondo , che il buon DIO LA CONSERVI A LUNGO,
    LUCIDO , E SFERZANTE .
    AVREI IL PIACERE DI INCONTRARLA DI PERSONA , PER SCAMBIARE DUE PAROLE CON LEI , E CHIDERLE DUE CONSIGLI
    RIGUARDANTE UN FGLIO , SE NON E TROPO IMPNGNO
    LA RINRAZIO MOLTO , PER ME E STATA UNA FORTUNA AVERLA
    COPNOSCIUTA .GIUSEPPE MANZONI MI PERDONI IL MIO MODO DI ESPORMI , CHE CERTAMENTE E LONTANO HANNI LUICE , DAL SUO MODO DI SCRIVERE

    BUONA SERATA

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