Omelie 2018 di don Giorgio: PRIMA DOPO LA DEDICAZIONE

28 ottobre 2018: PRIMA DOPO LA DEDICAZIONE
At 8,26-39; 1Tm 2,1-5; Mc 16,14b-20
La primitiva comunità cristiana: difficoltà di convivenze
Prima di commentare il primo brano, è doverosa una premessa. Talora si è portati a pensare che la primitiva comunità cristiana fosse del tutto omogenea, compatta, un gruppo di credenti impeccabili. Fin dagli albori ci furono luci ed ombre. Ma la cosa su cui vorrei brevemente soffermarmi è la composizione eterogenea dei primi cristiani. C’erano i convertiti dall’ebraismo, e tra questi coloro che vivevano all’esterno della Palestina, quelli della “diaspora”, quindi più aperti al mondo greco: i cosiddetti “ellenisti”. E c’erano i convertiti dal paganesimo che, con il passare degli anni, diventeranno la maggioranza. Anche gli stessi pagani provenivano da regioni e culture diverse.
Quindi, già da questa sommaria descrizione  potete capire quanto fosse difficile convivere tra ex ebrei e ex pagani, perché ognuno aveva una differente mentalità culturale e una diversa visuale religiosa. E non si deve dimenticare che gli apostoli erano ebrei che, avendo rinunciato alla loro fede originaria, erano sottoposti a persecuzioni da parte delle autorità ebraiche. Ma, nello stesso tempo, il cristianesimo portava in sé delle novità che non si conciliavano con il mondo pagano, in particolare con l’Impero romano.
Le prime difficoltà, dunque, nacquero da incomprensioni, da difficili convivenze, e gli apostoli dovettero, con fatica, risolverle, anche con discussioni vivaci: c’erano posizioni tradizionaliste e c’erano posizioni progressiste.
Basterebbe pensare al primo concilio di Gerusalemme del 49 d.C, quindi a vent’anni circa dalla morte e risurrezione di Cristo. Si arrivò a un compromesso, che ben presto cadrà con l’evolversi del cristianesimo.
Una prima considerazione
E qui vorrei già fare una prima applicazione al mondo attuale. I grandi statisti del passato (e dire statista è già dire tutto) – basterebbe pensare, restando in Italia, a De Gasperi, Nenni, Togliatti e altri – quando c’erano emergenze nazionali o internazionali, si mettevano attorno a un tavolo, discutevano e, pur con le loro visuali politiche differenti, cercavano la migliore soluzione, sempre in vista del bene comune. Forse perché provenivano da una tragica esperienza di guerra che li aveva visti uniti nella lotta contro il fascismo e il nazismo. Con il passare degli anni, la Politica si è persa tra le meschinità di politicanti che pensavano solo al bene del loro partito, litigando anche nelle emergenze, con lo scopo di portare a casa qualche voto in più.
E oggi? Siamo al colmo della pazzia: non si fa altro, da parte di qualche politicante (stiamo attenti a usare la parola “Politica”, che ha qualcosa di sacro!), che non fa altro che speculare sul fenomeno drammatico della migrazione dei popoli, che, essendo particolarmente complesso, richiederebbe una sinergia di intenti da parte di ogni forza politica, e invece assistiamo ad una vergognosa talora criminale chiusura che comporterà inevitabilmente la distruzione della democrazia, se è vero che la Democrazia è anzitutto il rispetto dei diritti dei più deboli.
Ecco il mio sogno: che si arrivi, Europa compresa e inclusa la stessa Chiesa, ad un grande sforzo di collaborazione delle forze migliori in campo, perché si trovi una soluzione in vista del bene universale, al di là dei propri interessi nazionali o altro. Ci si deve mettere tutti attorno a un tavolo, e discutere, discutere, discutere, ma sempre in vista del meglio per l’Umanità.
Pregare per i governanti
Qui vorrei agganciarmi alle parole di San Paolo (secondo brano della Messa), che invita i primi cristiani a elevare «domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità».
Sappiamo quanto ai primi cristiani importasse pregare anche per i governanti, perché la grazia di Dio infondesse in loro saggezza, equilibrio, intelligenza in vista del bene migliore per i loro sudditi. Nelle nostre preghiere dei fedeli non dovrebbe mai mancare, soprattutto oggi, una invocazione particolare perché illumini questi nostri governanti, anche se non  credo che lo stesso Dio possa far qualcosa, quando non si ha più la testa per pensare.
Filippo e il funzionario etiope 
Tornando ai problemi reali e talora complessi già presenti nella primitiva comunità cristiana, uno di questi riguardava l’assistenza ai poveri, ovvero: come organizzare i pasti comuni, cioè la distribuzione quotidiana di vitto e sussidi, del resto giù in uso nelle comunità giudaiche, a favore dei più bisognosi.
Gli apostoli ritennero che fosse giunto il momento di distribuire gli incarichi in modo più specifico. Agli apostoli rimase soprattutto di compito di predicare la parola di Dio e guidare le preghiere comunitarie, in particolare la “frazione del pane”, cioè l’eucaristia. Per le attività più concrete, inerenti alla carità, si scelsero sette uomini, “di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza. Di questi sette “diaconi” si distinsero Stefano e Filippo, ma anche per la loro predicazione. Ecco il problema: alcuni diaconi seppero unire al loro dovere di assistere i poveri con la predicazione, testimoniando così che non solo era possibile questo connubio (carità e parola di Dio), ma doveroso.
Un’altra brevissima osservazione
Vorrei far notare come un gesto di carità, anche se è originato da un bisogno fisico (se uno muore di fame bisogna anzitutto nutrirlo), non basta: anche i poveri vanno nutriti di qualcosa che riguarda il loro spirito interiore. Ed è qui, per me, il grave errore di un certo assistenzialismo nel campo caritativo, ed è per questo che stiamo oggi pagando drammatiche conseguenze.
Non basta, dunque, dare qualcosa di materiale a chi ne ha bisogno, e neppure dire: quando i poveri avranno il minimo necessario per vivere, allora penseremo al loro essere più profondo. Quando avranno tutto ciò che potrà renderli felici, si saranno già dimenticati dei valori del loro spirito. Qui il discorso si farebbe lungo e complesso. In ogni caso, bisogna aiutare i poveri, ma anche proteggerli dalla cultura della morte, rappresentata soprattutto dalla cultura occidentale, oramai ancorata all’avere più egoista.

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