Omelie 2014 di don Giorgio: Terza dopo Pentecoste

29 giugno 2014: Terza dopo Pentecoste
Gen 2,4b-17; Rm 5,12-17; Gv 3,16-21
Provate a mettervi nei panni di un ministro della Chiesa che, di fronte ai tre brani della Messa di oggi, si trovi costretto a dire due parole di commento. Due parole forse si possono anche mettere insieme, aggrappandosi a qualche riflessione di circostanza. Se si vuole tentare invece una riflessione più profonda, le cose si complicano, anche perché il tempo a disposizione è limitato, tanto più che ci sono ancora praticanti della domenica che aspettano con ansia il momento in cui termina la Messa, guardando l’orologio.
Già l’ho detto: la Parola di Dio è parte integrante della celebrazione eucaristica, soprattutto in un momento in cui l’uomo sente più che mai la sete di una parola “parlante”. Non basta leggere o ascoltare parole già “parlate”: occorrono parole che sappiano ancora parlare. Parlare a chi? Il che non è facile, se manca una predisposizione interiore, soprattutto se non si sente neppure il desiderio di assetarsi ogni tanto alla fonte della verità divina.
Nei miei lunghi anni di ministero sacerdotale il mio vero problema, e ve lo dico con tutta sincerità, è stato non tanto quello di proporre qualcosa di mio (in tal caso avrei tradito la Parola divina), ma d’invitare i credenti affinché si accostassero alla Sorgente. E la Sorgente genuina non è un insieme di dogmi già precostituiti, di verità preconfezionate, di una morale impacchettata: se fosse così, mi sarebbe facile limitarmi a dire: Questa è la Fonte, abbeveratevi, come pecore!
Il peccato più grosso lo compie chi si sostituisce alla Sorgente. Ma Cristo non vuole questo dai suoi ministri: vuole invece che costoro invitino caldamente, appassionatamente, fermamente il popolo di Dio perché, singolarmente anzitutto e anche comunitariamente, faccia ogni giorno un passo in avanti verso la Fonte che, in quanto sorgiva, emette sempre acqua nuova. Non avete talora l’impressione che la Sorgente a cui vi invita la Chiesa gerarchica sia qualcosa di statico, di immobile, perciò di scontato? E il problema non è quello di cambiare le parole o il nostro modo di esprimerci pubblicamente per dirvi, comunque, che la sorgente è la stessa, ovvero quella preconfezionata dalla Chiesa. Dobbiamo andare al di là di facili battute: scoprire qualcosa di più, di meglio, di nuovo. E perché ciò sia possibile, occorre che la Chiesa profetica prenda il sopravvento sulla Chiesa gerarchica.
Detto questo, anche di fronte ai brani della Messa di questa domenica la vera domanda da porsi è questa: che cosa in realtà sta dietro al racconto della creazione, che cosa ha voluto dirci san Paolo nella sua lettera ai cristiani di Roma, ma soprattutto come rileggere oggi il brano del Vangelo di Giovanni?
I temi sono tanti, complessi, difficili da comprendere al volo: il racconto della creazione, il rapporto peccato e grazia, l’opera di salvezza di Cristo nel mondo ottenebrato dal peccato. Temi che richiederebbero una lunga spiegazione esegetica, ma soprattutto una libertà interiore, il che significa: non fermarsi al racconto letterale della creazione (è un mito e come tale va interpretato!); uscire dagli schemi un po’ giuridici di san Paolo; cogliere il senso profondo delle parole profetiche di Cristo.
Vorrei partire dal brano del Vangelo. Gesù è venuto per salvare l’umanità intera dominata dal peccato, giudicando proprio il peccato in sé, alla luce della verità di Dio. Dunque, Cristo non è venuto per condannare, ma per salvare, anche se ciò ha procurato una lotta: tra il bene e il male. Sembra una contraddizione paradossale: chi fa il bene irrita il male. Non è vero che il bene di per sé procura pace: il bene è contrasto, opposizione, lotta. Vedo una certa pace come un facile e comodo pacifismo: tutto tranquillo, tutto sereno, tutto armonioso, ma questo è la superficie della realtà. La realtà è di per sé drammatica: perché? È difficile rispondere. Come mai il mondo uscito bene dalle mani di Dio è diventato poi improvvisamente così brutto? La Bibbia ha fatto sua la mitologia antica, con un racconto del peccato originale, che naturalmente non va preso alla lettera. All’inizio tutto era bello, tutto era buono, tutto era vero. Poi, è successo qualcosa che ha rotto l’incantesimo. La Chiesa ha coperto il mistero con un dogma, quello del peccato originale dei nostri progenitori. Pensate a tutte le conseguenze. Anche il battesimo, da semplice rito di iniziazione, che ha sostituito il rito della circoncisione ebraica, ha assunto in seguito un altro valore: non solo di purificazione rituale, ma addirittura di restaurazione ex novo dell’essere umano. Sul Battesimo dovremmo rivedere tante cose.
Oggi tra i teologi più aperti si fa strada, benché timidamente (per paura di essere scomunicati), l’ipotesi secondo la quale dietro il cosiddetto peccato originale ci sarebbe qualcos’altro. Già il racconto biblico potrebbe aiutarci ad aprire qualche orizzonte: un racconto da leggere però non in senso letterale, ma simbolico. Pensate alle due immagini: l’immagine dell’albero della conoscenza del bene e del male, e l’altra immagine, di cui si parla poco, dell’albero della vita. Lasciamo agli studiosi di capirci qualcosa, nel frattempo prendiamo coscienza: 1. che il male esiste e che il male ha intaccato in parte l’essere umano nella sua armonia interiore; 2. che non tutto è irrecuperabile, e che perciò non dobbiamo farci dominare da un cieco destino; 3. che Dio stesso ha promesso il suo intervento.
Il concetto di salvezza straordinaria non è solo presente nella Bibbia o nella religione ebraica, ma anche presso tutte le religioni antiche. L’idea del salvatore sembra una idea fissa, anche oggi. Quando le situazioni sembrano complicarsi eccessivamente, s’invoca l’uomo della provvidenza. Ma dobbiamo stare attenti: non dobbiamo sempre aspettare il salvatore, lasciando poi a lui di risolvere i problemi. Talora è indispensabile un intervento straordinario, ma spetta a ciascuno di noi fare la propria parte. È comodo dare tutta la colpa ai nostri progenitori o a Dio stesso per averci abbandonato al nostro destino.
Non riesco ancora oggi a concepire un mondo rovinato radicalmente da un misterioso peccato iniziale, come non riesco ad accettare le soluzioni facili proposte o imposte dalle varie religioni, che sembrano vivere sul marciume dell’essere umano. Se tutti fossero santi, non ci sarebbe bisogno di una religione. La religione ha bisogno invece che l’uomo sia debole, dipenda da qualcosa di superiore che essa chiama divinità. Più l’uomo commette peccati, più la religione sopravvive, ed è per questo che inculca talora inutili sensi di colpa, in certi campi, mentre in altri, pensate al campo sociale e politico, i peccati sono taciuti dalle convenienze. Eppure le religioni non hanno mai risolto i veri problemi, anzi sembra che li abbiano aggravati.
Sarebbe logico, più che logico pensare che, più il tempo passa e il bene si diffonde, più l’umanità dovrebbe migliorare, ma poi, ecco ciò che è successo nel secolo scorso, con ben due guerre mondiali. E quante guerre ancora presenti nel mondo! In nome di questo o di quel dio!
Certo, mi spaventa la violenza, ma mi spaventa anche quel buonismo o pacifismo che copre la realtà drammatica. Non si tratta solo di denunciare il male, ma di proporre il bene, di farlo uscire dai sotterranei dell’essere umano.
Certo, la luce toglie i veli, dissotterra anche il male nascosto, quello perverso che approfitta delle tenebre per diffondersi. Pace non è tranquillità. La lotta fa parte del bene, se si vuole affrontare la realtà nella sua contraddizione drammatica.
Cristo stesso l’ha detto: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!” (Matteo 10,34). Il vecchio Simeone, stringendo tra le braccia il neonato Gesù, gli aveva pronosticato: «Egli sarà un segno di contraddizione» (Luca 2,34).
La presenza di Cristo nel mondo non sarà neutra e incolore, la sua parola sarà come «una spada a doppio taglio che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito» (Ebrei 4,12).
Dall’incontro con Lui non si potrà uscire indenni. La Sua proposta morale sarà molto esigente e scardinerà tanti interessi privati.

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