Lo sciopero? Un’arma spuntata

sciopero generale

di don Giorgio De Capitani
Questi sindacati non hanno capito, tanto sono poco “intelligenti”, che la società è cambiata, che anche il mondo operaio è cambiato. Ma loro vanno avanti per la loro strada fallimentare.
Maurizio Landini è diventato l’eroe degli operai! Un ottuso! Uno che crede ancora che con gli scioperi si risolvano le problematiche del lavoro. Uno che vede solo la forza dello sciopero come l’unica arma vincente. Ma quale sciopero? Andare in piazza? Raccogliere i disperati e promettere loro un lavoro sicuro? Ma non è così che si esce dalla crisi!
I sindacati (dico sindacati, perché, via un sindacalista, ne arriva un altro della stessa risma) non vogliono proprio uscire dai loro schemi mentali e neppure s’immaginano del male che stanno facendo al mondo operaio, che non regge più all’urto del progresso tecnologico e alle diverse dinamiche inerenti al fenomeno chiamato globalizzazione. 
Sciopero generale! Parola d’ordine!
E poi? Tutto come prima, ma i sindacati potranno vantarsi di aver raccolto nelle piazze centinaia di migliaia di lavoratori. E, gasati, salgono sul palco a dire e a ripetere le solite cazzate, strappando applausi già preconfezionati.
Anche il lavoro fa parte di un contesto generale, e non si può restare chiusi nel ghetto di una concezione unilaterale e frammentaria della società. Nessuno mette in discussione che il lavoro sia importante per vivere. Tuttavia il lavoro fa parte di una Politica che comprende altri beni da salvaguardare. L’ho già detto: i sindacati hanno difeso fabbriche inquinanti, sempre per il pre-concetto che il posto di lavoro viene prima di tutto. Ma non è così.
Come si fa, però, a educare questi sindacati ottusi a uscire da una concezione della vita che riduce tutto al lavoro? Come si fa a educare gli stessi operai ad una visuale più ampia della loro esistenza?
Stavo pensando in questi giorni: se Landini o la Camusso e company prendessero in mano loro il governo, cosa farebbero? Non abbiamo forse già visto sindacalisti buttarsi in politica, e fare danni? Bello parlare, aizzare gli operai, e poi? Landini sta facendo la cosa più facile: mettersi a capo dei scioperanti o indire scioperi e scioperi. Che gli costa? 
Ecco perché dico e ripeto che bisogna trovare altre vie per aiutare chi oggi sta male. Smettiamola con gli scioperi generali che non servono a nulla, anzi danneggiano gli stessi operai.
Rinnovare, rinnovare, rinnovare i metodi per le lotte sindacali. Andando avanti così, si entra in una spirale paurosa.
Lottare, certo, anche contestare, ma bisogna trovare un’altra strada. Ci vuole “intelligenza”. E dove la trovi tra i sindacati di oggi?
***
da MicroMega

Lo sciopero? Un’arma spuntata

di Civil Servant
Alla fine la CGIL ha timidamente rispolverato la minaccia dello sciopero generale contro il Jobs Act. Ma, a differenza di qualche anno fa, l’annuncio non ha spaventato nessuno. Anzi c’è chi ha assimilato lo sciopero ad un volgare ricatto e perfino chi si è meravigliato che per i dipendenti pubblici fosse ancora legale astenersi dal lavoro. Tutto questo è potuto accadere perché in tempi di crisi lo sciopero è un’arma spuntata ed anzi rischia di avvantaggiare la controparte. Dopo tutto un bello sciopero è proprio quello che ci vuole quando la produzione non tira e una giornata di salario in meno da pagare fa solo risparmiare sui costi.
Nel settore pubblico, gli scioperi danno tradizionalmente una mano alle casse dello stato. Poco importa se un blocco dei servizi pubblici (dalle scuole agli ospedali, per finire alle questure e ai tribunali) danneggia i cittadini. Anzi è un pretesto in più per giustificare altre campagne contro i “fannulloni” degli enti pubblici (che non sanno quanto sono fortunati ad avere ancora un lavoro regolare!) e per invocare ulteriori tagli alla spesa.
In compenso, uno sciopero costa parecchio ai lavoratori e li espone anche a possibili ritorsioni. E queste considerazioni pesano molto quando i salari sono bassi e il lavoro bisogna tenerselo stretto, come accade durante una recessione. Per non parlare del fatto che per le prime vittime delle politiche economiche, ovvero i disoccupati e i pensionati, è piuttosto difficile smettere di lavorare. Insomma uno sciopero nel bel mezzo di una delle più gravi crisi della storia moderna sembra proprio una pessima idea.
Perché, di fronte a questo quadro, un sindacato decente non pensa a forme di protesta più efficaci del solito sciopero? Per una volta tanto, la colpa non è tutta dei burocrati sindacali, ma piuttosto delle nostre radici culturali. La parola sciopero, infatti, deriva dal latino “ex operare” ed allude alla interruzione del lavoro, piuttosto che ad una vera e propria protesta. Esattamente il contrario di ciò che avviene nei più pragmatici paesi anglofoni, dove scioperare si dice “to strike”, che significa sia “colpire” che “raggiungere l’obiettivo”.
Forse è solo un caso che le politiche economiche abbiano colpito soprattutto i lavoratori dei paesi dove si parlano lingue neo-latine, come l’America del Sud e la Spagna, dove il castigliano huelga fa riferimento direttamente allo starsene senza far nulla (holgar) e il catalano vaga deriva dal verbo vagare. La visione “latina” sembra condivisa anche dal termine greco aperghìa, che indica proprio l’allontanamento dal lavoro. In Francia sono anche più precisi su dove passare il tempo libero dal lavoro, perché la grève allude alla tradizione degli operai parigini di protestare riunendosi in Place de Grève, che era la zona dove si esercitava il caporalato. Questo luogo deve essere talmente suggestivo da aver convinto anche portoghesi, brasiliani, turchi, romeni e albanesi a chiamare lo sciopero con parole che suonano più meno come grève.
Il riferimento al colpo da infliggere alla controparte è molto più esplicito in tutti i paesi dove si parlano lingue del ceppo germanico e scandinavo, dove si usano numerose variazioni del tedesco streik. E in effetti, anche grazie a proteste più aggressive, i lavoratori di quei paesi non se la passano poi troppo male. L’idea del colpo, o almeno il suono della parola, deve essere piaciuta anche ad altri popoli, visto che in Giappone usano la parola sutoraikie, in tutta la penisola balcanica utilizzano delle varianti fonetiche di streik e perfino nei paesi arabi lo sciopero si indica con la parola idrab, che deriva dal verbo darab, che significa proprio colpire.
Assodato che la minaccia di starsene con le mani in mano, senza “operare”, in questo momento non produrrebbe risultati significativi, ci permetteremmo di suggerire ai nostri sindacati forme di protesta un po’ più efficaci, pur senza ricorrere a “colpi” proibiti. In caso contrario, in un futuro molto prossimo ci accontenteremo di descrivere lo sciopero come una semplice interruzione del lavoro, del tutto assimilabile a quelle dovute a incidenti o problemi tecnici, come in Islanda e Cina, dove si utilizzano rispettivamente i termini verkfall e bà gong. I primi segnali di questa deriva linguistica già si possono ritrovare nei mezzi di comunicazione, che sempre più spesso indicano gli scioperi come “astensioni dal lavoro”, assimilandole in modo subliminale alle assenze per malattia o qualche espediente da furbacchioni.
Eppure i lavoratori e i cittadini insoddisfatti possono assestare parecchi “colpi” alla controparte senza rimetterci un centesimo, a differenza degli scioperi tradizionali. Naturalmente non si può pensare di prendersela con obiettivi fisicamente individuabili, a differenza di quanto rimuginano ancora alcuni nostalgici, perché in una economia complessa e “liquida” non esistono più i “padroni” e il famoso 1% di individui che assorbe la maggior parte della ricchezza creata dal restante 99% della popolazione è sparso in mezzo mondo. Quello che si può fare è inserirsi chirurgicamente sulla rete di relazioni e comunicazioni che rende possibile questa immensa redistribuzione di risorse verso i più abbienti. I movimenti di protesta più moderni lo hanno capito perfettamente, mentre i sindacati sembrano in ritardo.
Ma prima di tutti lo avevano capito intellettuali come Gandhi che, anche senza social network, riuscirono a paralizzare un’economia coloniale ed a raggiungere obiettivi estremamente ambizioni con strumenti non violenti ma micidiali. Oggi basta semplicemente copiare ed aggiornare certi metodi. Per esempio, già durante il Risorgimento italiano c’è chi aveva compreso che il più grande potere dei cittadini sta nel fatto che sono anche consumatori e che quindi possono decretare il fallimento o il successo di qualsiasi impresa o amministrazione pubblica. Il famoso sciopero del tabacco in Lombardia fu molto più dannoso di mille manifestazioni per gli occupanti Austriaci. Come pure la marcia del sale o il boicottaggio dei tessuti inglesi promossi da Gandhi furono molto più convincenti di molti scontri di piazza. Più di recente, sembra che una delle forme di protesta degli insegnanti più temute sia stato il blocco delle gite scolastiche, che ha trasformato magicamente agenzie di viaggi, alberghi e ristoratori in supporter dei professori.
Pensate a cosa succederebbe se un sindacato invitasse i propri iscritti a bloccare tutti gli acquisti non essenziali per un paio di settimane (cosa molto facile, visti gli attuali salari!); oppure se lanciasse il boicottaggio dei brand che non sostengono apertamente le ragioni dei lavoratori; o se suggerisse il ritiro di contanti da tutti i bankomat in un giorno prestabilito; oppure se invitasse i lavoratori in agitazione a guidare a bassissima velocità o ad attraversare lentamente i passaggi pedonali per bloccare il traffico (come fanno abitualmente camionisti e taxisti in agitazione). A queste forme di protesta si potrebbero aggiungere anche consigli sempre salutari, come smettere di fumare (con un esplicito richiamo risorgimentale) e di giocare alle lotterie di stato per non rimpinguare le casse del Tesoro. Sarebbero tutti modi per convincere soggetti del tutto estranei alla protesta (e forse anche tendenzialmente ostili) a supportare le ragioni dei lavoratori, con effetti molto più incisivi dei soliti riti sindacali.
(28 ottobre 2014)
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Acciaierie, Landini e i soldi pubblici sprecati

 

33 Commenti

  1. Paolo ha detto:

    Don Giorgio solleva un problema che ci siamo posti in tanti come lavoratori. Per esempio io lavoro in un servizio ad abbonamento, quindi quando scioperiamo l’azienda – che ha già riscosso gli abbonamenti – risparmia sui salari. Il problema di come rendere efficace una protesta c’è e le soluzioni non si trovano facilmente, ci vuole fantasia. Una buona idea per i servizi pubblici è obbligare l’azienda a restituire agli utenti il corrispondente della mancata erogazione del servizio. Penso che la parola debba andare ai lavoratori, i quali di volta in volta potranno trovare una soluzione. Lo sciopero va articolato, ma al momento nessuno ha ancora trovato una soluzione alternativa. La prova che dà fastidio viene proprio dagli operai di Terni, oggetto delle manganellate del Governo Renzi (che in questo è riuscito a cambiare verso, ritornando ai bei tempi andati) e del ricatto dell’azienda: se non tornate al lavoro non vi paghiamo gli stipendi. Quindi il problema di affinare le forme di lotta c’è, ma lo sciopero non è ancora unA forma così superata. Ricordate i tranvieri dell’Atm? Scioperarono al di fuori delle fasce di garanzia e con una nevicata e alla fine ottennero quello che volevano.

  2. fdrk ha detto:

    Che certi sindacalisti lo facciano per se e nito da sempre. Che il posto fisso non sia più sostenibili è scontato. Però… è una questioni di tempistica e gradualità. Il paese/governo avrebbe dovuto spiegare il problema e pianificare il cambiamento. Qui, invece, si naviga a vista nella melma…

    • fdrk ha detto:

      Vorrei integrare il mio commento completando le mie considerazioni sul governo.
      – il premier e troppo affabulatore e mentitore (le cose che la gente si ricorda di più e più negativamente del nano):
      – la squadra di governo è un compromesso composto da …servi …incapaci;
      – l’opposizione interna al PD è fatta di gente vecchia, dedita all’inciucio, e che non ha mai combinato niente di buono per il paese;
      – l’opposizione è un branco di randagi coalizzati dal nano, con interessi esclusivamente personali (come si conviene ai cani randagi quando si uniscono per aumentare le chance individuali contro una preda troppo grossa).

      CHE FARE?

    • fdrk ha detto:

      l’arma del boicottaggio commerciale è la più temuta (io la chiamo “voto del consumatore” eserciitabile ogni giorno, più volte al giorno) ma il potere “rimbambitorio” (più ancora dell’affabulatorio) dei media ci rende inerti. Se non li consoci, agiscono come il monossido di carbonio che ti intorporisce e ti uccide dolcemente.

  3. zorro ha detto:

    Cambiare prospettive di lotta si andare al governo e cambiare le leggi della globalizzazione cambiare il mondo.O pressare di piu’ i malfattori del mondo del lavoro attraverso controlli piu’ stringenti,questa penso che sia la strada piu’ percorribile altre non ce ne sono.manca la coesione sociale x la lotta

  4. marcello ha detto:

    lei dice che bisogna cambiare lotta sindacale; lei dice che in dietro non si va, ma non dice come fare ne come lottare. tutti bravi cosi.

  5. Lanfranco consonni ha detto:

    Il sindacato deve capire che la controparte non sono più i vecchi padroni, intesi come datori di lavoro, bensì i nuovi padroni, quelli che guadagnano e arricchiscono senza muovere un dito, solo perché hanno tanti soldi, e guadagnano solo facendoli fruttare.
    La nuova lotta di classe non è più fra dipendenti e datori di lavoro, ma fra chi vive lavorando, dipendenti, imprenditori, artigiani, insegnanti, ecc. da una parte, e che vive di finanza dall’altra. la differenza in termini numerici è grandissima, ma i nuovi padroni sono molto più pochi e molto più potenti.
    Rimangono ai margini dei conflitti sociali e arricchiscono sempre più.
    Lo sciopero in questo quadro crea una situazione da polli di Renzo dei promessi sposi.

    • klement ha detto:

      Arricchirsi senza muovere un dito è solo uno slogan moralistico. Paperon de Paperoni non sta certo in ozio come Paperino e Ciccio, ma questo mica vuol dire che i suoi dipendenti stiano bene. I bottegai che evadono il fisco e prendono a sprangate gli extracomunitari che rubano biscotti o semplicemente fanno concorrenza sono pure loro gente che lavora. E difendono la congestione del traffico come i sindacalisti difendono le fabbriche inquinanti. Di bloccare il traffico andando piano come i camionisti sono ugualmente capaci gli operai con le utilitarie e i padroni con le Mercedes. Non interessa bloccare, ma solo fare scena, e la stessa arrampicata sulle gru è subito diventata ripetitiva. Non siamo più ai tempi dell’assalto al Forno delle grucce, dove non c’erano slogan ma solo forza fisica.
      Se ognuno può dire la sua, vince chi urla più forte, magari possedendo qualche rete tv.

  6. Patrizia ha detto:

    Il problema, non sono i padroni, ma il sindacato, chi lavora sa perfettamente come funziona, pensano solo a sistemare se stessi, se li voti ti aiutano, e se no ti mettono pure i bastoni tra le ruote, e per il resto inciuciano con i padroni.
    Sindacato? Ma di che cosa stiamo parlando?

    • PietroM ha detto:

      Cara Patrizia,
      son d’accordo con te per quanto riguarda i vili comportamenti di certi sindacalisti autoreferenziali, beceri e menefreghisti. Ma, attenzione a non sputare nel piatto dove i lavoratori devono mangiare il pane delle loro sacrosante tutele.
      Il sindacato non va eliminato, cancellato e distrutto come ISTITUZIONE, ma ristrutturato nelle sue funzioni, giuridicamente rinquadrate secondo i più rigorosi criteri dettati dall’etica del lavoro.
      Si parta dall’uomo e dalla sua dignità, non dalla figura del “lavorante” come merce da sfruttare o come macchina di produzione. Questo principio muove le corde più intime di ogni persona che, di conseguenza, si sente interiormente impegnata al suo migliore rendimento. Il gioco del tiro alla fune sfugge alla filosofia del NUOVO UMANESIMO che siamo improrogabilmente chiamati ad edificare.

      • Patrizia ha detto:

        Se è per questo sono perfettamente d’accordo con te, ci mancherebbe, ma il fatto è che non si capisce più che cosa siano questi sindacati, somigliano più alla mano nera che ad altro.

        • PietroM ha detto:

          Occorre far sentire addosso ai sindacati il fiato dei lavoratori, stimolandoli ad offrire la migliore assistenza in ogni circostanza, suggerendo anche proposte. Altrimenti, che facciamo? Ogni lavoratore deve travestirsi da sindacalista?
          Sarebbe assurdo! La funzione del Sindacato è quella della tutela del lavoro e del lavoratore. Bisogna che i signori sindacalisti se ne rendano conto, per il prestigio della loro stessa mansione.
          Vogliono più iscritti? Tutelino più lavoratori, i quali sentiranno il dovere di iscriversi, riconoscendone i meriti.
          Chi ha orecchie da intendere, intenda….

  7. alessio ha detto:

    dato che mi hai cancellato il primo commento ,te lo ridico in un altro modo.
    lo sciopero è vero che serve a poco.
    per questo paese, che è cambiato, ci vuole una nuova forma per manifestare il proprio dissenso.
    con il blocco delle fabbriche si voleva dimostrare che c’era il bisogno dell’operaio (oggetto) in quanto senza non si produceva e i padroni da soli non potevano far funzionare nulla
    oggi il padrone pensa che può fare come vuole data la grande disponibilità di persone(oggetti).
    bisogna far capire ai padroni che l’operaio è persona .
    ……..booommmm

  8. Giuseppe ha detto:

    C’è stato un tempo, un momento storico ben preciso, in cui con uno sciopero era possibile paralizzare un intero paese bloccando le attività produttive anche per diversi giorni, al punto da allarmare l’opinione pubblica ed esercitare una pressione decisiva per l’acquisizione e/o il riconoscimento di alcuni diritti sacrosanti, costringendo i “padroni” ad avviare trattative per andare incontro alle richieste dei sindacati. Poi col tempo la spinta a battersi per le rivendicazioni, salariali o normative che fossero, è andata perdendo vigore, sia perché sempre più di frequente i sindacati, già frenati da una pesante conflittualità interna, andavano assumendo una fisionomia via-via meno rappresentativa e sempre più verticistica, tale da provocare una crescente sfiducia nei lavoratori ed una vistosa emorragia di iscritti. Sia perché in presenza di crisi economiche continue e crescenti, la situazione dei lavoratori e delle loro famiglie cominciava ad essere piuttosto pesante, inducendoli a farsi due conti prima di rinunciare a delle giornate di lavoro, con conseguente riduzione delle retribuzioni. Nel frattempo, oltretutto, le blande minacce dei sindacati continuavano a perdere la loro incisività nei confronti della parte datoriale che, soccorsa in maniera massiccia dall’intervento delle istituzioni, era nuovamente in grado di fare la voce grossa, ricorrendo a diversificazioni contrattuali sempre più penalizzanti, nonché alla mobilità, alla cassa integrazione e ai tanto temuti licenziamenti. Anni fa non avremmo mai potuto assistere alla “querelle” attualmente in atto tra governo e sindacati, in cui pur riconoscendo all’esecutivo un atteggiamento per certi versi provocatorio, anche le organizzazioni sindacali hanno le loro brave responsabilità, sia per quanto detto sopra, sia perché la loro importanza ha avuto un declino per certi versi impressionante, nonostante qualche piccolo sussulto di vivacità accompagnato dalle solite lamentele di rito, che ricordano tanto il movimento dell’impresentabile Grillo parlante. Non possiamo dimenticare, inoltre, i loro attuali leader che, forse saranno pure in buona fede, ma non mi sembrano proprio all’altezza dei protagonisti delle battaglie storiche del passato

  9. Riccardo ha detto:

    Caro Don Giorgio,
    in linea di massima, mi trovo d’accordo con il suo punto di vista.
    Lo sciopero appartiene ad un’epoca in cui la forza-lavoro umana era determinante per la produzione; oggi al contrario i padroni cercano – almeno dagli anni 70! – di sostituire l’apporto umano con la tecnologia; nei lavori industriali questo processo è già a buon punto, nei settori amministrativi il rimpiazzo dell’uomo con la macchina è già quasi completato.

    Un caso veramente eclatante di contraddizione sociale è la vergognosa inerzia di quegli operai che per decenni hanno taciuto e sopportato le politiche di incuria per l’ambiente da parte dei padroni, godendo di cospicui favori salariali (come mai un operaio di certe realtà industriali guadagna anche il doppio di un collega di pari esperienza in altre aziende? Non sarà forse che dietro quei premi, ufficialmente per incentivare la produttività, non vi sia anche un compenso tacito per il silenzio sulla mancata adozione di cautele contro l’inquinamento?)
    Ciò che rende poco credibile il sindacato di oggi, è la professionalizzazione del lavoro di sindacalista. Per essere un vero rappresentante dei lavoratori, non basta autodefinirsi tale, magari cercando consensi dalla base con elezioncine interne preconfezionate: occorrerebbe prima di tutto essere veramente parte del gruppo che si vuole rappresentare, cioè essere un lavoratore! Altrimenti, nasce ed aleggia in continuazione il sospetto che, dietro le dichiarazioni altisonanti e le politiche portate avanti col megafono, si possa nascondere la semplice voglia di tirarsi fuori dalla fatica quotidiana del lavoro, per costruire un rapporto privilegiato con il padrone, sia esso un padrone privato, oppure un rappresentante del governo.
    Il fatto che molti – troppi! – sindacalisti siano transitati nelle fila dei governi, alimenta questi dubbi: se hanno riscosso la fiducia di chi rappresenta la classe dominante, come hanno fatto ad ottenere questa fiducia? E una volta diventati ministri, che cosa hanno fatto per proteggere gli interessi della base dei lavoratori dalla quale provenivano? Poco o nulla? Perché?
    Tuttavia non dimentichiamo che mai come oggi, quando nel Paese non esiste più una sinistra – anzi, la sinistra italiana oggi è più a destra della destra – occorrerebbe un sindacato forte, attento alle manovre speculative concordate tra padroni, banchieri, Europa e politica becera nostrana, un mix esplosivo dal quale deriva un’evasione fiscale eletta a regola di sistema, la collusione palese di certa borghesia con le mafie tradizionali e con quelle di nuovo conio, fatte non solo di buffi ometti con coppola e lupara, ma di boriosi professionisti incravattati, soci occulti che viaggiano su lussuose berline e ricchi panfili tra i paradisi fiscali nei quali hanno occultato le ricchezze, odiosi yuppies di periferia che solcano in SUV le strade brianzole come quelle siciliane e calabresi spacciando polverine e servizi di escort clandestine; trucidi tenutari di sale slot che infestano come tumori maligni le vie delle nostre città, intenti a depredare persone disperate, anziani affamati e giovani disoccupati; il tutto nella totale indifferenza delle istituzioni, capaci solo di produrre a cottimo odiosi condoni fiscali favorendo i malfattori a scapito degli onesti lavoratori.
    La storia insegna che esiste una soglia oltre la quale l’umana sopportazione diventa furia rivoluzionaria, con roghi, ghigliottine, patiboli e lapidazioni di massa: per scatenare questa reazione non basta dover rinunciare alle vacanze, all’Iphone, al Suv o alla settimana bianca, occorre semplicemente la fame, il bisogno primario che ha spinto l’uomo fuori dalle caverne, lo spingerà ancora a ribellarsi ai propri sfruttatori e aguzzini, che trasformano in carcere duro la vita di chi si guadagna da vivere con il proprio lavoro.
    In questo disastro umano, politico ed istituzionale, anche la chiesa cattolica millenaria ha un suo preciso ruolo, nell’essersi, fin agli albori della sua esistenza, non appena sfuggita ai leoni del Colosseo, sempre più allontanata dalla novella di Gesù, per avvicinarsi alle tavole imbandite dell’aristocrazia prima e della borghesia dopo, trovando molto più confortevoli gli agi e i privilegi tipici della classe padronale, piuttosto che dover patire le privazioni e le umiliazioni del popolo minuto, dalla servitù della gleba ai manganelli contro gli scioperanti. Faccio fatica ad immaginare qualcosa di meno cristiano, di quei sacerdoti – spesso di alto rango- che siedono alla mensa degli sfruttatori, condividendo con essi il frutto dello sfruttamento bieco e spietato della classe lavoratrice, anziché portare il conforto della fede ai bisognosi, ai quali è stata scippata anche l’ultima speranza: il successo di Papa Francesco non è un fenomeno mediatico, è la riscoperta della potenza del messaggio del Vangelo, per secoli sepolto dalla muffa di dogmi e restrizioni costruite su misura dalle aristocrazie e dalle borghesie che hanno piegato al servizio dei loro interessi e privilegi il cuore stesso della Chiesa, strappando via il messaggio di Gesù dall’anima di fedeli sempre più mortificati e da quella di una classe sacerdotale sapientemente viziata, blandita e addomesticata dalle mollezze del lusso senza fatica, dai piaceri della tavola e del lusso dorato dei loro paramenti, nonché dalla serena e assonnata pinguedine di sontuose libagioni, perfetta per nascondere l’abissale vacuità dello spirito.
    Quindi, in fondo è vero che i sindacati non servono: basta l’ottusità dei padroni e dei loro servi a tracciare la via di una nuova libertà delle genti.

  10. GIANNI ha detto:

    Il nostro sistema capitalistico ha nel suo dna la contrapposizione tra classi sociali e tra interesse dei lavoratori ed interesse generale.
    Tentativi di superare tale sistema furono fatti dal comunismo, con la negazione della proprietà privata dei mezzi di produzione e sostituendo all’imprenditore privato lo stato ed il partito, in tal modo peggiorando le cose.
    Una terza via fu tentata con il corporativismo, in realtà più che altro usato mero simulacro dal sistema fascista.
    Dove realmente applicato, portò ad una maggior diffusione del capitalismo, consentendo che anche i lavoratori divenissero un po’ imprenditori, partecipando agli utili d’impresa.
    E’ il solo modo per far coincidere gli interessi di tutti e di tutti con quello generale.
    Purtroppo l’art. 18 non serve a niente.
    Anche se si abolisce, le cose economicamente non cambiano, ed anche oggi non tutela nelle grandi imprese.
    Ce l’hanno con uno? Fanno mobbing oppure gli dicono: guardi, l’impresa sta declinando verso la crisi, meglio che si licenzi prima che sia troppo tardi.
    Comunque, capisco che parlare di corporativismo può sembrare fascista e retrò, ma la verità è che il fascismo non applicò il corporativismo, perché furono difese solo le classi forti, imprenditoriali.
    Vennero adottate importanti forme di welfare, ma non fu diffusa la partecipazione alla cointeressenza dellìmpresa.
    Dove applicato nel dopoguerra portò sviluppo economico, benessere e minori conflitti.
    Che sia il caso di riscoprirlo?

  11. pierre ha detto:

    Eh ma caro don, qui non mi pare che il problema sia, diciamo, il feticismo del posto di lavoro.
    Mi pare al contrario che ci sia una disoccupazione ai massimi storici nel paese.
    Mentre la Costituzione definisce il lavoro un diritto!
    Forse un discorso sull’euro andrebbe fatto! Informatevi, non fermatevi ai luoghi comuni sull’euro!

    • Don Giorgio ha detto:

      Sull’euro non si torna indietro. Smettiamola di dare tutta la colpa all’euro. Piove? Euro ladro!

      • pierre ha detto:

        Eh ma don Giorgio si informi meglio sull’euro. Vedrà come l’idea che sia stato e sia uno strumento di lotta di classe non sia così balzana.
        Vedrà come ci sia necessità per gli stati nazionali di ridare alla loro valuta il suo “giusto” valore. Vedrà gli effetti benefici della svalutazione del ’92. Vedrà che lasciare il debito ai mercati che non sono affatto “neutri” condizioni l’agibilità politica
        della sinistra. Vedrà che se la sinistra quando va al governo delude non è perché Hollande sia un traditore e un cattivo ma forse perché non può fare altro! Vedrà che la bilancia commerciale europea da quando è stato introdotto l’euro è completamente sbilanciata

        • Don Giorgio ha detto:

          Non si torna indietro, e basta!

          • pierre ha detto:

            Ah beh argomentoni insomma.

          • Don Giorgio ha detto:

            Ma smettila di parlare per slogan, senza sapere le conseguenze di quello che succederà. Tu parli perché hai la bocca e ripeti come un pappagallo ciò che dice Grillo o la Lega. !

          • pierre ha detto:

            Ma guardi io non sopporto né Grillo né Salvini. Io non ho enunciato nessuno slogan, ho solo detto la realtà dei fatti, spiegandola e argomentandola.
            Lei invece dà risposte che onestamente lasciano sgomenti per l’assoluta indisponibilità a capire e il dogmatismo pregiudiziale che dimostrano.

          • Don Giorgio ha detto:

            Certo, tu ragioni con i fatti alla mano! E non pensi neanche alle conseguenze. L’euro c’è, e deve restare. Chiuso!

        • Giobatta ha detto:

          Dall’euro non si torna indietro! E se lo dice il don deve essere per forza cosi’, e basta! Capito Pierre?

  12. Paolo ha detto:

    E questa sarebbe un’analisi?
    Per cortesia, un po’ di serietà.
    Se così fosse lo sciopero non darebbe “fastidi” e non si impegnerebbe la polizia per picchiare gli operai.
    Lo sciopero generale è un’arma potente e può preludere ad azioni ancora più dirompenti, quale l’occupazione delle fabbriche e all’autogestione operaia. Forse per questo che voi stessi ne avete paura e ne screditate l’importanza: le vere trasformazioni fanno molta paura ai conservatori.

    • Don Giorgio ha detto:

      Va’ a dormire su letti caldi!

    • Edoardo ha detto:

      Caro Paolo, l’occupazione delle fabbriche dovrebbe far paura agli operai. Ma non ti sei accorto che le fabbriche rimangono in Italia fino a che conviene ai proprietari? Questi proprietari non sono stupidi ed ognuno di essi ha già uno o due piani alternativi per produrre all’estero.
      Autogestione? Ma ti rendi conto di quello che proponi? Certo gli operai possono continuare a produrre fino a che ci sono materie prime in magazzino, e poi? Chi le compra? A chi vendi il prodotto finito se i clienti se ne sono andati via per l’inaffidabilità della produzione?
      Rifletti un attimo su un fatto banale che può capitare anche a te:
      Devi cambiare auto e vai dal concessionario della marca X.
      Questi ti chiede un anticipo e tu glielo dai. Ti prospetta una consegna fra un mese e tu l’accetti. Dopo sei mesi non ti hanno ancora consegnato l’auto per gli scioperi e le occupazioni operaie della fabbrica X. Allora lotti con un avvocato per farti restituire l’anticipo. Ebbene, ammesso che ci riuscirai, tornerai da quel concessionario ad acquistare un’altra auto di marca X? E allora agli operai chi pagherà la retribuzione? Il sindacato?
      Ecco quello che succede con le occupazioni. Puoi smentire una siffatta ricostruzione?

  13. john coltrane ha detto:

    don, una visione perfetta della situazione attuale. oserei dire. profetica!

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