Omelie 2020 di don Giorgio: OTTAVA DEL NATALE NELLA CIRCONCISIONE DEL SIGNORE

1 gennaio 2020: OTTAVA DEL NATALE NELLA CIRCONCISIONE DEL SIGNORE
Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2,18-21
Auguri buon anno! Che senso ha?
Se dovessi iniziare l’omelia dicendo: «Auguri! È l’inizio di un nuovo anno», come se la novità fosse nel cambio di una data, credo che inizierei proprio banalmente questo nuovo anno. Dove sta, dunque, la novità? La novità sta nella stessa ragione per cui si inizia un nuovo giorno, ma anche qui che significa iniziare un nuovo giorno?
Certo, forse c’è più novità quando inizia un altro giorno e non quando inizia un altro anno, forse perché un giorno succede all’altro senza che ce ne accorgiamo, e la novità non è festeggiata, tra bagordi e dissennatezze di ogni tipo, come succede quando inizia un nuovo anno.
Ogni giorno richiama un altro: un giorno finisce per dare luogo ad un altro. E avviene tutto come se fosse una cosa naturale. Non c’è bisogno di brindare al nuovo giorno, quasi contenti che l’altro sia finito.
E allora dove sta la novità del tempo che passa, lasciando indietro i minuti, le ore, i giorni e l’anno? Non sta forse nel fatto che tutto è un procedere verso qualcosa di infinito? Il tempo passa, e di questo ne siamo certi, come siamo certi che il passato non torna più. Il tempo presente è solo un’illusione, perché non esiste: se il tempo passa, ogni secondo è già passato proprio perché è un attimo, ed è già futuro.
Carpe diem
La frase più sciocca che abbia mai sentito è quel “Cogli l’attimo fuggente”, uno slogan giovanile, che si vede anche su certe discoteche (e già questo dice tutto). Interpreta malamente un’espressione latina di Ovidio: “Carpe diem”, senza tenere conto del suo contesto, per cui il poeta latino intendeva dire un’altra cosa, ovvero che bisogna vivere il presente nel migliore dei modi.
Ecco il testo completo, tradotto in italiano:
«Tu non domandare – è un male saperlo –
quale sia l’ultimo giorno che gli dèi, Leucònoe (nome fittizio di donna), hanno dato a te ed a me,
e non tentare gli oroscopi di Babilonia.
Quanto è meglio accettare qualunque cosa verrà!
Sia che questo inverno – che ora stanca il mare Tirreno sulle opposte scogliere –
sia l’ultimo che Giove ti ha concesso,
sia che te ne abbia concessi ancora parecchi, sii saggia,
filtra il vino e taglia speranze eccessive,
perché breve è il cammino che ci viene concesso.
Mentre parliamo, già sarà fuggito il tempo invidioso:
cogli il giorno, fidandoti il meno possibile del domani».
Come si può subito notare si tratta, sostanzialmente, di un invito a godere delle gioie e dei beni che ci vengono offerti dalla vita, giorno per giorno, nella consapevolezza che il tempo scorre ininterrottamente e che le gioie non sono eterne, confidando il meno possibile nel domani.
La frase è spesso banalizzata e utilizzata in modo inappropriato nel senso di: “approfitta dell’attimo fuggente, gòditi la vita, non lasciarti sfuggire nessuna occasione di appagamento”. Non è in questo senso che vanno intese le parole di Orazio.
Soffermiamoci di più sulla poesia di Orazio.
Una triplice negazione apre la poesia: «ne quaesieris» (non domandare), «nefas» (è un male, è vietato saperlo), «nec […] temptaris numeros» (non consultare gli oroscopi). È già interessante ciò che dicevano gli antichi latini: gli dèi non consentono all’uomo di conoscere il futuro, pertanto cercare di farlo è atto di empietà, che verrà punito non tanto dalle divinità, ma dall’impossibilità di vivere e di assaporare il presente.
Orazio dice: è inutile consultare gli astrologi babilonesi, che cercavano di comprendere il destino degli uomini attraverso la posizione delle stelle. Molti romani appartenenti alla classe dirigente si rivolgevano a loro. “Quanto è meglio accettare qualunque cosa verrà!”. È preferibile sopportare con forza, non passivamente, tutto quanto accadrà. Non tutto possiamo cambiare, ci sono leggi della natura che sono immutabili.
Ed ecco, allora, il consiglio di una persona che ha già sperimentato e compreso la fugacità del tempo: «sii saggia» («sapias») e «filtra il vino» («vina liques»). Al tempo di Orazio i Romani filtravano le impurità del vino facendolo passare attraverso un sacchetto di tela o un vaso metallico forato e pieno di neve. Questa procedura permetteva di assaporare meglio il gusto puro del vino. Il verbo «sapio» indica sia «aver sapore» che «essere saggio». Bellissimo questo duplice significato.
La concretezza del lessico latino continua nel verbo seguente «resecare», che significa «tagliare le speranze eccessive”, quelle che, come i rami troppo lunghi, vanno oltre il dovuto.
Ed ecco l’espressione “carpe diem”. Il verbo latino “carpo” significa “‘afferrare, strappare”, e si usa primariamente per indicare l’atto di cogliere un fiore: viene poi usato in senso simbolico in un numero elevato di contesti nel senso di “cogliere, non lasciarsi sfuggire” (cogliere un ricordo, per esempio): e siccome i fiori vengono colti per assaporarne il profumo e in sostanza per provare una sensazione piacevole, il verbo si presta anche a un uso metaforico, e assume il valore di “provare una sensazione di benessere, di gioia”, non necessariamente momentanea.
“Carpe diem”, dunque, non è un mero invito al godimento momentaneo o (peggio) al piacere sfrenato, ma un richiamo alla valorizzazione di quanto di positivo vi può essere nell’attimo che stiamo vivendo, senza trasferire le nostre aspettative e i nostri desideri su un futuro che nessun essere umano può conoscere.
Una ripresa e un’attualizzazione del carpe diem oraziano fu fatta da Benedetto XVI in uno degli ultimi discorsi prima della sua abdicazione: nel corso dell’Angelus del 27 gennaio 2013 il Papa emerito ricordava che il senso cristiano del carpe diem sta nel cogliere l’oggi come momento determinante per seguire Cristo. Ogni brano del Vangelo e ogni liturgia della parola interpella il cristiano sempre nell’oggi. “Ogni giorno può diventare l’oggi salvifico, perché la salvezza è storia che continua per la Chiesa e per ciascun discepolo di Cristo.” Dal più pagano dei poeti latini il Papa trae un forte richiamo per il cristiano di oggi.

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