Omelie 2021 di don Giorgio: NELLA CIRCONCISIONE DEL SIGNORE

1 gennaio 2021: NELLA CIRCONCISIONE DEL SIGNORE
Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2,18-21
Giornata della pace
È stato Paolo VI a istituire il primo dell’anno come Giornata della pace. Era il 1968. Da allora si sono susseguiti ogni anno messaggi sulla pace, vista da varie angolature, in senso anche socio-politico.
Forse qualcuno dirà che il primo dell’anno non è il giorno più adatto per riflettere su cose serie, dopo una notte di baldoria. Tuttavia una cosa è certa: il tempo passa, e ogni anno siamo qui, più che a ricordare un anno passato, da ammazzare, come si dice, con botti o altro, a pensare al presente che è sempre un inizio, che sia o no il primo dell’anno.
Ma che significa pace? Oggi è una parola troppo logora, da tutti usata, per coprire quel vuoto che è la mancanza della pace interiore.
Parole come pace, amore e giustizia hanno solo quella parvenza epidermica di una società epidermica. Se sganciate pace, amore e giustizia dal mondo dello spirito interiore, non avrete che parole parlate e non parole parlanti.
Primo brano
Il primo brano della Messa, secondo gli studiosi, è uno tra i testi più antichi della Bibbia. La formula di benedizione, attraverso Mosè, è attribuita a Dio stesso. I sacerdoti di per sé, se benedicono, lo fanno per il potere divino. Un prete non dovrebbe mai dire: “Io ti benedico”, ma “Il Signore ti benedice”.
Anzitutto, che significa ”benedire”? Il suo significato etimologico sembrerebbe banale: “dire bene”. Ma se prestassimo più attenzione alle parole “dire” e “bene”, allora vi troveremmo qualcosa di Divino.
“Dire” ovvero ”parlare”, richiama la Parola di Dio. Dio solo “parla”: Lui è il Verbo, il Logos, la Parola.
Ogni parola è dono, perciò “dire” significa dare, comunicare, offrire.
Solo Dio può donare, perciò solo Dio può parlare.
Noi siamo casomai il Dono di Dio, ovvero il Dono della Parola di Dio.
Noi diciamo solo cose, in tal caso ci allontaniamo dalla Parola di Dio che è il Dono di Se stesso, Gratuità assoluta, Essenzialità assoluta, Bene assoluto.
Dio non dà cose, perché non dice cose: Dio dona se stesso, perché dice se stesso.
Noi siamo il Dono di Dio, in quanto essere, non in quanto avere.
Le nostre parole sono parole di avere, perciò parliamo contro noi stessi, contro il nostro essere.
Quando parliamo tra di noi, a parlare è il nostro corpo o al massimo la nostra psiche. Lo spirito tace. Se lo spirito parlasse, nessuno ci ascolterebbe.
Il nostro corpo non ce lo ha donato Dio, ma i nostri genitori. Dio ci ha donato l’essere, ovvero lo spirito. Ce lo ha donato, e ce lo dona ininterrottamente.
Siamo composti di corpo, di anima, ovvero psiche, e di spirito. E noi, anche credenti, parliamo come corpo e come psiche, difficilmente come spirito.
E allora, all’inizio di questo nuovo anno, di che cosa abbiamo bisogno?
Che Dio ci faccia prendere coscienza che siamo anzitutto spirito.
E qui entra in gioco l’altra parola: “bene”. Bene-dire, ovvero dire o dare il bene. Ma quale bene?
Non possiamo non pensare a tutto quel mondo di carnalità, che noi riteniamo beni essenziali o assoluti (soldi, salute, buona posizione sociale, carriera, lavoro, ecc.), dimenticando o mettendo in secondo ordine quel bene, l’unico Assoluto, che è Dio.
Specifichiamo subito: dire Bene assoluto vuol dire un Bene che è sciolto da ogni condizionamento, perciò sciolto anche dalla religione, che è un legame.
All’inizio di un nuovo anno, che cosa dovremmo chiedere a Dio?
Non cose, ma che Dio doni se stesso, in quanto Bene assoluto, come il Dono più gratuito che possa esistere.
Non dobbiamo chiedere a Dio che ci ami. Forse che Dio non ci ama? Ma come ci ama? Qui sta il punto. La religione ci fa credere in un Dio che è l’esatto contrario di ciò che Egli è. Anche se non sappiamo nulla di Dio – è l’Indicibile per la sua stessa natura divina –, però possiamo pensare che Dio non è così come ce lo presenta la religione.
A me piace pensare che Dio non ami me stesso, ma ami in me Se stesso. Lui si ama sempre in quanto Bene assoluto, ed è questo che io sento o dovrei sentire quando rientro in me stesso: più scendo nel profondo del Pozzo, più Dio si rivela nel suo farsi amare per ciò che Egli è.
E che cosa succede? Càpita che ci aggrappiamo a cose o a beni particolari che ci separano da Dio, Bene assoluto, ed è qui la nostra infelicità, perché i beni particolari tolgono o spezzano la nostra tensione al Bene divino.
Giacomo Biffi (cardinale di Bologna dal 1984 al 2003), in un libretto a forma di intervista sull’aldilà, alla domanda: “Che cosa è l’inferno?”, dà questa risposta: l’inferno è la sospensione eterna della tensione del nostro essere a Dio. Qualcosa di sconvolgente! Pensiamo allo stato d’animo di chi tende verso una realtà, senza mai poterla raggiungere.
Secondo Biffi l’inferno non sarebbe una punizione nel fuoco eterno, come se quel condannato fosse costretto a odiare Dio per tutta l’eternità. Tutto il contrario. L’essere in quanto essere tende per la sua stessa natura all’Essere supremo, e l’inferno sarebbe una tensione che non raggiunge mai l’Essere divino.
All’inferno non ci sarà il corpo, lo spirito sarà nudo e la nudità renderà al massimo la tensione verso Dio. Mentre viviamo su questa terra, il corpo attutisce, se non addirittura spegne ogni tensione verso il Sommo Bene.
Perché Dio viene negato dagli atei o dimenticato dai credenti? È la carnalità che allenta o addirittura blocca la tensione verso Dio.
Non è paradossale che all’inizio di un nuovo anno siamo costretti a invocare la “benedizione divina”, come se avessimo bisogno di una scossa interiore perché lo spirito si svegli dal coma e con lo spirito si risvegli il mondo del Divino?
No, non è paradossale: è una esigenza!
Ed ecco l’altra invocazione contenuta nella benedizione: “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.
Grazia e pace sono la stessa realtà. Sono beni interiori. Fuori, nella carnalità, c’è solo infelicità, violenza, e a nulla serviranno le marce della pace se prima non saremo rientrati in noi stessi.

2 Commenti

  1. Luigi Sirtori ha detto:

    E’ giusto dire: “Il Signore ti benedice” e non “Io ti benedico”. Il prete è solo uno strumento del Signore. L’aveva capito Francesco d’Assisi che inizia la preghiera semplice con: “Oh! Signore, fa di me uno strumento della tua pace: …” Sa cosa penso don Giorgio? Che finchè che non capiamo che il benessere non è il Bene dell’Essere resteremo schiavi della carnalità. Non saremo autentici Spiriti liberi. E le nostre testimonianze saranno solo formali e non credibili.

  2. MaM ha detto:

    STUPENDA, GRAZIE DON GIORGIO!!!

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