1 gennaio 2023: OTTAVA DEL NATALE NELLA CIRCONCISIONE DEL SIGNORE
Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2,18-21
Quest’anno il 25 dicembre era di domenica, e quindi anche il primo dell’anno cade di domenica: la liturgia lo celebra richiamando il rito ebraico della circoncisione, imposta anche a Gesù, nell’ottavo giorno dopo la sua nascita: durante il rito al bambino si dava un nome, che nel nostro caso era già stato scelto dall’angelo Gabriele nell’annunciare a Maria di Nazaret che sarebbe diventata madre del Figlio di Dio per opera dello Spirito santo.
Soffermiamoci anzitutto sul primo brano, tolto dal libro dei Numeri, che fa parte del cosiddetto Pentateuco, termine che è composto di “pente”, cinque, e “teuchos”, astuccio, un contenitore cilindrico che custodiva un rotolo, ovvero un libro. Il nome “pentateuco” designa l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio.
Il titolo “Numeri” fa riferimento al censimento del popolo narrato nel primo capitolo. In realtà, questo libro è sostanzialmente la narrazione del viaggio che porta il popolo d’Israele dalle pendici del monte Sinai sino al confine della terra promessa. Esso contiene le istruzioni di Dio per affrontare con successo il cammino e, al tempo stesso, vuol far capire quanto sia faticoso per il popolo fidarsi di Dio e dei suoi legittimi rappresentanti.
In questo libro troviamo anche delle perle come il brano di oggi: secondo gli studiosi, si tratterebbe di un testo tra i più antichi. La formula di benedizione, attraverso Mosè, è attribuita a Dio stesso. Solo i sacerdoti, rappresentanti di Dio, possono benedire.
A dire la verità, al di là del tempo, che consideriamo sempre arcaico quando ci fa comodo, facendolo risalire a un ieri sempre più lontano, il primo brano è di una affascinante attualità. Ho parlato di tempo, e il tempo, pensando anche al primo dell’anno, passa inesorabilmente, è il crònos secondo la terminologia greca: ma, soprattutto nella Bibbia, sempre usando una terminologia greca, c’è un tempo che si chiama kairòs, ed è l’eterno presente, ovvero l’eterno che si fa istante, nella Grazia divina.
C’è un distico di Angelus Silesius, che dice: «Se Dio è un presente eterno, perché mai non potrebbe esser già ora in me tutto in tutto?».
Se già il tempo come crònos faceva impazzire i filosofi, lo stesso sant’Agostino, il quale ha confessato: «Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più», immaginate che cosa potrebbe capire l’uomo moderno così immerso nella materialità o carnalità, quando gli si parla di kairòs o di grazia divina o dell’Eterno presente.
Già da qui potete capire l’imbecillità dei riti scaramantici dell’ultimo dell’anno; e poi il primo giorno di un nuovo anno, si è già in coma, come se bastasse ammazzare il passato, così si crede, per ripartire con il piede giusto.
Proprio per questo le parole della formula antichissima della benedizione divina sono di grande attualità.
In poche parole troviamo le parole essenziali: benedizione divina, custodia divina, splendore del volto divino, grazia divina, pace divina. Senza l’aggettivo “divino” che cosa possiamo pretendere di Buono? Nulla, solo fumo, solo apparenza, solo esteriorità, solo carnalità che si consuma nel tempo e dal tempo.
Anche la Chiesa come gioca bene sulle parole, tenendo bei discorsi, scrivendo bei documenti ad esempio sulla pace, dimenticando che la pace ha le sue radici profonde nello spirito, che si unisce allo Spirito divino.
Certo, una pace interiore che si incarna poi nel nostro modo di vivere a contatto con gli altri, ma questo deve iniziare già dal nostro piccolo ambiente esistenziale.
Ci sono guerre tra nazioni, tra tribù, ma ci sono guerre tra i nostri vicini di casa. Possiamo anche essere insensibili di fronte alle guerre che ci sono nel mondo, eppure viviamo di lotte quotidiane, in casa, sul lavoro, a scuola, nelle comunità. Immaginate di assommare tutti i piccoli o risentimenti di casa, del nostro vivere quotidiano, e che cosa avrete?
La Mistica medievale non parte mai dal mondo o dalla società, o dalla politica o dalla stessa religione, ma si preoccupa anzitutto di sradicare nell’essere umano quell’ego che poi si riflette in modo negativo nella società, a partire dal nostro piccolo.
Cristo parlava di abnegazione, di rinuncia al proprio io, e prima di Cristo ne hanno parlato gli antichi filosofi greci. Plotino, filosofo neoplatonico pagano, del II secolo d.C., addirittura ha riassunto il suo pensiero con un ordine: “Aphele panta”, ovvero rinuncia a tutto, togli tutto, via tutto, spogliati di ogni cosa inutile, denùdati radicalmente nel tuo essere.
Noi Chiesa, noi preti, noi cristiani, che discorsi facciamo? Solo moralistici oppure indicando alla politica come si deve comportare per ottenere la pace nel mondo: discorsi populisti, come: disarmo totale, obiezione di coscienza anche durante una guerra di difesa; questa è una pura follia, rinunciare di difendere i diritti degli innocenti, facendo l’obiettore di coscienza lasciando gli innocenti in balìa dei criminali. Durante una guerra di resistenza l’obiezione di coscienza va abolita o punita.
Il brano del Vangelo meriterebbe una particolare attenzione; mi limito a qualche brevissima riflessione sulle parole di Luca, quando scrive: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore».
Come potete notare troviamo due verbi: “custodire” e “meditare”. Il verbo ebraico usato per dire “custodire” è “shamar”, ed è il comando che Dio dà ad Adamo ed Eva quando consegna loro il giardino: dovete custodire, curare questo giardino. Il Creato è un giardino da custodire, così tutte le cose belle che vediamo, così i segreti di Dio presenti nel nostro essere. Lascio a voi riflettere su quanto vi capita in una giornata: ciò che andrebbe custodito e ciò che andrebbe sradicato.
Passiamo all’altro verbo: “meditare”. Meditare viene dal greco “sun-ballo”, ed ha il significato letterale di “mettere assieme”, cioè mettere insieme i particolari senza staccarli dall’essenziale. Pensate al mosaico, dove ogni tesserina variamente colorata va vista nell’insieme del mosaico. Non va vista in sé. L’armonia è questa: saper cogliere l’insieme delle cose. E bisogna togliere quei particolari eccessivi, che disturbano o non servono per cogliere l’essenziale. Meditare, così è stata per la Madonna, così deve essere per ogni credente: cogliere i particolari e armonizzarli nell’insieme, che è il Tutto divino. Il distacco dei Mistici consiste proprio nel togliere i particolari di troppo, che servono solo ad abbellire o a incuriosire, distogliendo dall’essenziale.
Infine, vorrei far notare che Luca osserva: “Maria, da parte sua…”, ovvero: “Invece”, “al contrario, a differenza degli altri”, come a dire: solo Maria ha saputo cogliere i particolari nel Tutto. E noi?
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