1 gennaio 2024: OTTAVA DEL NATALE NELLA CIRCONCISIONE DEL SIGNORE
Nm 6,22-27; Fil 2,5-11; Lc 2,18-21
Il primo giorno di ogni anno nuovo, la Liturgia ambrosiana ci offre una citazione biblica, che, pur appartenendo a un libro apparentemente freddo (già il titolo sembra suggerirlo: Libro dei Numeri), per me è un piccolo gioiello, perché, in poche righe, sintetizza ciò che vi è di più bello per un credente: di fronte a Dio trovare il coraggio, in una fede pura, di chiedergli la protezione divina, nella luce, nella grazia e nella pace.
Dunque tre sono i beni che dovremmo chiedere al Signore. Almeno i credenti abbiano il coraggio di dare un nome al Benefattore: perché non parlare di Trascendente, dal momento che quaggiù tutto è così carnale che restare vittime di tale carnalità comporterebbe solo un inutile tentativo di uscire dal pantano, come un gabbiano immerso in una pozza di catrame. Che valore avrebbero beni come luce, grazia e pace, sganciandoli dal Trascendente?
Se è vero che il coraggio uno se lo può andare dare, è pur vero anche che la luce, la grazia e la pace nessuno da solo se le può dare. Certo, in ognuno di noi, nel nostro essere più spirituale, vi è una scintilla, ma di quell’intelletto attivo, illuminato dall’Intelletto divino.
Già dire intelletto quindi è dire luce, scintilla. Ma la scintilla, che è in noi, anche se non potrà mai spegnersi, tuttavia può essere offuscata. Pregare l’Altissimo che ci aiuti a riattivarla diventa allora un dovere. Ed ecco: “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto…”. Il volto sta per intelletto divino. L’Intelletto divino è la sorgente infinita di Luce.
L’invocazione aggiunge: “E ti faccia grazia”. Il termine ebraico evoca il chinarsi, il Signore quindi, in segno di favore e di affetto, si china sulla sua creatura, ovvero gli dona la grazia e la sua benevolenza. Tradurre il termine “grazia” semplicemente come misericordia, condono dei nostri peccati, mi pare riduttivo. Già dire benevolenza rimanda a quel Bene Assoluto, che è Dio, che ama Se stesso in noi.
I Mistici medievali daranno alla parola “grazia” un senso talmente spirituale da chiamare in causa lo stesso Spirito santo, dono gratuito di quel Cristo sulla croce, che mentre moriva esalava, ci donava, il suo Spirito.
Chiedere a Dio Luce e Grazia non è del tutto esatto: a Dio non si chiede nulla, Lui dona sovrabbondantemente, ma a condizione che noi siamo disponibili riceverlo. Parlare oggi, primo dell’anno, di distacco sembrerebbe già partire negativamente, come se la parola “distacco” fosse qualcosa di avvilente, di inaccettabile, dimenticando che usciamo da giorni in cui siamo stati immersi in un mare di inutilità, queste sì avvilenti e dannose.
Quando capiremo che il distacco ha un senso del tutto positivo, in vista di quella generazione nel nostro grembo del Logos eterno, che esige che gli facciamo in noi spazio assoluto. Il distacco non è una rinuncia al nostro essere o alla nostra libertà. Esattamente il contrario: è dare più spazio al nostro essere e alla nostra libertà. A Dio casomai dovremmo chiedere non grazie, ma la Grazia, che è Unica, perché del tutto gratuita che ci rende liberi interiormente, proprio perché è del tutto spirituale.
Infine, “il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Di che pace si tratta? La pace del nostro essere in relazione a Dio. La pace, come la vita, è luce e grazia. Noi abbiamo fatto e ancora oggi stiamo facendo della pace un qualcosa solo carnale. Star bene, senza violenze e guerre. E anche la Chiesa istituzionale non capisce che la pace è luce e grazia. Solo chi ha l’intelletto “attivo” illuminato dall’Intelletto divino sa vedere la realtà e valutare i comportamenti di una società balorda che straparla di pace ed è egoista, vive in quell’amor sui che è il vero peccato originale. Solo nella Grazia, ovvero nella libertà interiore, si vive in pace, e si agisce per la pace.
Scalmanatevi pure manifestando per la pace, ma Dio non vi ascolta, perché non siete puri di cuore. Gridate pace, e siete egoisti nell’anima. Pregate il Dio della pace, e siete attaccati a un ego diabolico. Dio giustamente non vi ascolta, e le guerre, le violenze, i soprusi, le cattiverie, i delitti, finiranno per sterminare questa terra.
Umiliamoci, e Dio ci ascolterà.
Una riflessione sul terzo brano, soffermandomi sulle parole di Luca: «Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”. Già da evidenziare l’espressione “da parte sua”, che potremmo tradurre “invece”. Tutti si erano limitati allo stupore, già tanto, ma non basta perché lo stupore può essere solo emozionale. Maria invece “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”.
Vorrei lasciare la parola a don Angelo Casati: «“Meditandole” sembra un verbo di immobilità. Ma c’è come un errore di traduzione. L’errore sta nella versione dal greco. Il verbo greco “symballousa”, da “symballo”, vorrebbe significare “mettere insieme”, “comporre”. Dunque non “meditandole nel suo cuore”, ma “componendole nel suo cuore”: comporre i tasselli. Maria componeva il mosaico. Lo componeva con tasselli: la mangiatoia, le fasce, gli occhi innamorati di Giuseppe, quelli stupiti dei pastori, la lanterna che dava chiarore dall’alto. Il latte che il bambino le chiedeva strillando. Maria “componeva”. Non scartava. Metteva insieme. Come fosse tutto un sacramento. “Mettere insieme” è l’opposto di un altro verbo, il verbo “scartare”, mettere da parte gli scarti dell’umanità. Comporre o scartare? Scartiamo quando accecati da un io prevaricatore o da una ideologia impazzita, dalla indifferenza, neghiamo valore a persone, a cose, a gesti. E vorrei annotare che scartare è cosa di un attimo. Comporre è questione di giorni, di mesi, di anni e non saremo mai alla fine, se non al compimento ultimo. “Mettere insieme”, “comporre”, il verbo di Maria, verbo che ha sapore di “artigiano”. Fu poi il verbo di Gesù. Immagino, penso, che l’abbia imparato in bottega del cielo, ma poi nella falegnameria di Giuseppe. Che metteva insieme legno dopo legno, legno accanto a legno. E immagino che l’arte di comporre gliela abbia insegnata anche sua madre, con i discorsi che ricucivano eventi, ma poi anche con l’arte del rammendo che è l’opposto dello scartare e del buttare. Anche questa un’arte che chiede tempo. Fare un taglio, scartare e buttare è questione di secondi, io ho visto rammendi che sono diventati opera d’arte. Perdonate, mi sono fermato su un dettaglio del racconto di Luca. Mi sembrava che Maria, la ragazza di Nazaret, “symballousa, mettendo insieme, fosse un invito a comporre anziché rifiutare, a ricucire tagli, a operare luminosi rammendi, nel mio cuore, ma anche in una umanità a volte sfilacciata e forse anche un po’ delusa. Un invito ad avere il cuore dell’artigiano che pazientemente assembla, della donna che genialmente rammenda».
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