IO E IL CARDINALE

di don Giorgio De Capitani

Su Carlo Maria Martini è stato detto di tutto e di più, e in questi giorni lo si sta ripetendo a iosa. Su tutti i maggiori giornali. E questo non è che mi dispiaccia. Tutt’altro. Martini meriterebbe ancora più considerazione, e attenzione. Dal momento che abbiamo avuto un cardinale di grande levatura morale e spirituale, perché prendercela se i non-credenti apprezzano un autentico testimone di quel Cristo, cercato e ricercato più dai lontani che dai vicini? Casomai dovremmo fare un serio esame di coscienza su quanto lo stesso Martini disse: «La vera distinzione non va fatta tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti».
Tuttavia mi irrita quell’enfasi ipocrita di chi, prima ti ammazza, e poi ti innalza un monumento. L’aveva già detto lo stesso Cristo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti».
Speriamo che la signora Irene Pivetti in questi giorni non apra bocca, a meno che non dica la verità, ovvero di non aver capito le “aperture” di Martini, da lei duramente contestato, tanto da arrivare a promuovere, quando era giovanissima segretaria della Lega Nord, una raccolta firme per mandar via il cardinale da Milano! La Pivetti, comunque, non è l’unica a dover tacere!
Anche a causa di queste ipocrisie, non mi accodo a coloro che in questi giorni tesseranno grandi elogi ma generici. Voglio invece limitarmi alla mia esperienza personale. In sintesi, potrei dire che Martini per me è stato tutto, e che, se sono ancora prete, lo devo anzitutto a lui.
Quando, alla fine di dicembre del 1979, è stato nominato arcivescovo di Milano, ero da quattro anni coadiutore nella parrocchia S. Giuseppe di Sesto San Giovanni, dove venni quasi catapultato da un piccolo paese di campagna, Cambiago, vicino ad Agrate. Qui, negli otto anni che vi rimasi (dal ‘66 al ‘74), liberai tutte le mie migliori energie, rivoluzionando il paese, e anticipando, senza volerlo, il ’68, tanto è vero che, quando iniziarono le contestazioni studentesche, non rimasi per nulla sorpreso. Fu in quegli anni che ebbi duri contrasti con il cardinale Giovanni Colombo, che, di fronte alle “esuberanze innovatrici” dei suoi preti, accusati di avere una visuale troppo orizzontale (per il loro impegno socio-politico), si faceva spesso prendere dalla paura, minacciandoli ed emarginandoli, tanto da indurre diversi a uscire dalla Chiesa, creando in altri forti crisi di fede, portando alcuni addirittura alla pazzia. Altri si sposarono, tranquillizzando così il cardinale che, senza tanti problemi di coscienza, poteva applicare il diritto canonico. La goccia che fece traboccare il vaso fu quando, durante la sua canonica visita pastorale, il cardinale Colombo ebbe modo di “constatare” (così disse, in realtà era venuto già pieno di pregiudizi nei miei riguardi) che i miei giovani erano stati educati “male”, ovvero secondo lo spirito sessantottino. In un colloquio privato, breve ma poco cordiale, nella canonica, mi rimproverò che alcuni “ragazzotti”, all’inizio del paese, lo avevano accolto con il pugno chiuso. La cosa non finì lì, perché da Bellinzago il giorno dopo mi fece recapitare tramite il segretario una lunga lettera dove esponeva tutte le sue riserve sul mio modo di condurre l’oratorio. Alla lettera del cardinale seguì la mia risposta, più estesa e parecchio velenosa. Fui chiamato in curia, per un colloquio privato. Ci si confrontò, con schiettezza. La polemica non finì, e si trascinò fino a Sesto San Giovanni, dove, durante un’altra visita pastorale, mi abbracciò in segno di pace. Ma le ferite non si rimarginarono in fretta.
Dopo neanche un mese dalla nomina di Carlo Maria Martini, ebbi un intuito: perché non precedere gli eventuali giudizi negativi, scritti sul libro nero della curia milanese, con una lettera, in cui potevo liberamente e serenamente esporre, senza mezzi termini, le difficoltà che avevo incontrato con il cardinale Colombo e gli ostacoli d’ogni genere che stavo affrontando per il mio modo di operare pastoralmente a Sesto San Giovanni? Così feci, e fu la mia fortuna. Martini mi prese subito a cuore, anche perché di preti da recuperare ne aveva in lista, e non so se io fossi il primo. Quello che è certo è che da allora il cardinale fece di tutto per proteggermi dalla curia. Ci scambiammo diverse lettere, e ci incontrammo diverse volte, anche nelle ore più impensabili (di mattina prestissimo). Anche a causa delle mie diverse peripezie, che ebbi soprattutto nei due paesini di Balbiano e Colturano, dove (fu la prima e l’ultima volta che mi nominarono parroco!), nei pochi mesi di permanenza misi sottosopra la curia per la vicenda di un asilo parrocchiale, che avevo intenzione di affidare al Comune (che era “rosso”!). La curia si oppose, e me ne andai, rimettendo le dimissioni nelle mani personali del cardinale, il quale mi permise di ritirarmi da ogni incarico pastorale, vivendo in un appartamento privato, svolgendo attività pastorali ausiliarie, in vista di un eventuale impegno più concreto. Nel frattempo, Martini mi propose di aprire un grosso centro diocesano per il recupero dei drogati, ispirandomi all’esperienza di don Mario Picchi. Risposi che non me la sentivo. Chiesi di poter aprire un nuovo Centro di fisioterapia in Brianza (ne avevo già aperto due in precedenza: uno a Cambiago, come succursale della Pro Juventute di don Carlo Gnocchi di Milano, e l’altro a Sesto San Giovanni, sostenuto economicamente da un gruppo di volontari, e, alla mia partenza, passò a La Nostra Famiglia di Bosisio Parini). Zaira Spreafico, Presidente dell’Associazione voluta da don Luigi Monza, mi consigliò invece di aprire un centro per malati psichici (era il periodo della rivoluzione psichiatrica voluta da Franco Basaglia che aveva fatto chiudere i manicomi). L’idea mi attirava. Studiai il problema psichiatrico. Lessi parecchi libri. Mi consultai anche, e andai dal cardinale Martini a sottoporgli la mia idea. Idea un po’ azzardata, in quanto avevo scelto non il metodo proposto dalla psichiatria diciamo cristiana, ma quello della psichiatria diciamo laica, ritenendo che il fenomeno non fosse una questione di carattere religioso. Qualcuno in curia, un pezzo grosso, tentò di boicottarmi prima che potessi parlare con il cardinale: sapeva che Martini era aperto su queste problematiche e non avrebbe fatto distinzione tra religione e laicità. Riuscii tuttavia a parlare personalmente con il cardinale che approvò la mia idea, e mi diede le chiavi di una villa, a Bernaga, di proprietà della mensa arcivescovile. Ma le chiavi, purtroppo, non le toccai nemmeno. Non le ho potuto prendere, essendo sopraggiunte altre difficoltà, stavolta non dalla curia, ma da un Convento vicino, il quale riteneva “pericoloso” che ospitassi malati mentali. Martini mi chiamò, e mi disse: “Don Giorgio, non vorrai che andiamo sui giornali, con dei grossi titoli: il cardinale contro le suore? Lascia perdere, e pensa a qualcosa d’altro!”. La villa fu venduta dalla curia (la quale l’aveva precedentemente comperata dalla domestica di un monsignore in pensione che, nel suo testamento, aveva pensato bene di tradire le aspettative della diocesi), e così finì il mio sogno! Il cardinale allora mi propose di aprire, nel cuore dell’ospedale di Mombello, una specie di zona “libera” per i malati psichiatrici, ma ben presto rifiutai, non avendo idee chiare sulla iniziativa, del resto d’avanguardia. E così mi trasferii da Bernaga a Melzo, dove collaborai per diversi anni con il settimanale diocesano, 7° Giorno, e risiedetti prima a Liscate nella canonica, e poi in un condominio a Groppello d’Adda. Collaborai anche con una casa editrice, finché… giunse il momento di ritentare una nuova esperienza pastorale.
Prima però dovrei dire una cosa, che fa capire quanto mi volesse bene Martini. Viste le mie insofferenze verso le autorità competenti e i continui litigi con i vicari episcopali, il cardinale mi prese sotto la sua “diretta” responsabilità. Più di una volta, i superiori mi dicevano, anche un po’ risentiti: “Sei il protetto del cardinale, noi non possiamo prendere alcuna decisione nei tuoi riguardi”. Io naturalmente gongolavo dentro di me, soddisfatto di sentirmi un figlio veramente prediletto. Certo, non è che il cardinale non mi dicesse ciò che pensava, anche rimproverandomi per certe mie durezze. E quando ero un po’ titubante nel giudicare alcuni suoi collaboratori, mi diceva: “Di’ pure, non aver paura di parlare, spetta a me giudicare se dici la verità oppure no!”. E si alterava se capiva che non ero del tutto sincero. Ma lo ero. Il fatto è che temevo di dire tutto, per timore di andare oltre una certa prudenza.
Dunque, quando capitò l’occasione di Monte – il parroco aveva espresso la volontà di ritirarsi – mi propose di prendere quella comunità, dicendomi: Ora è giunto di momento di impegnarti di nuovo in una parrocchia. Accettai. Era il 1995. Passerà ancora un anno prima che la parrocchia si liberasse. Iniziava una nuova avventura. Il cardinale mi lasciava libero di agire secondo le mie vedute pastorali. Ci scambiammo ancora qualche breve biglietto. Nel 2002, le sue dimissioni mi crearono non pochi timori: che sarebbe stato di me? Con Tettamanzi sarà un’altra storia. Con Scola sarà l’epilogo.
NotaBene.
Non so quanti vescovi dicano ai propri sacerdoti ciò che mi diceva continuamente il cardinal Martini: “Tu mi devi aiutare! Io ho bisogno di te!”. Mi stimolava, invitandomi a dargli una mano anche nella parte letteraria. Mi propose di rifare secondo il mio stile una Lettera pastorale del 1983-1984 che, forse perché stesa male, “è stata la meno capita”. E così nacque “Ripartire da Emmaus”, prima a puntate su Il segno, e poi in un libro. Per me era un onore collaborare con Martini.   
 

Anni fa, ho trovato il tempo di stendere alcune riflessioni sulle mie precedenti esperienze pastorali, in particolare soffermandomi sull’esperienza breve ma intensissima che ebbi a Balbiano e Colturano nel 1983 (“Quel cielo rosso…”), e su quella precedente a Sesto san Giovanni. I numerosissimi interventi sono stati pubblicati sul mio sito. Riporto alcune pagine dove parlo del cardinale Carlo Maria Martini.

 

«Quel cielo rosso…»
Esperienza pastorale indimenticabile/31

A venti e più anni dai fatti successi in quei quattro o cinque mesi del 1983, posso stendere ora alcune considerazioni. A freddo, come si dice. Ma il calore ce l’ho ancora dentro. E che calore!

Una quinta serie di considerazioni.
Ebbi la fortuna di avere Martini come Cardinale negli ultimi anni del mio ministero pastorale a Sesto. Anni di fuoco. Più che la città di Sesto S. Giovanni infernali, furono le situazioni di ottusità contro cui sembrava quasi perdente lottare, dal momento che, quando si è soli o quasi, è impossibile superare certi ostacoli. I Superiori usano tattiche diverse: talora il bastone, talora il silenzio (ancor più duro del bastone), talora delegano indirettamente la comunità a farti fuori. Le strutture, cari miei, sono più che bestie: non ti lasciano respirare più di tanto, ti regolano l’intestino, ti dicono quando e come muoverti. E il colpo mortale arriva quando ti sembra che la porta si sia un po’ aperta. Prova a entrare, e poi ti senti di colpo la porta in faccia, con quel che segue. Più che il dolore fisico, è la rabbia per una speranza sognata e tradita. Certo, il Vangelo parla di seme che deve marcire. Una legge che ha messo sulla Croce lo stesso Cristo. E dalla Croce… sembra che il seme continui a stare sotto terra. Appena esce, lo schiacciano: le strutture ci costruiscono sopra cemento e cemento. 
Però mi era di conforto sapere di avere un Vescovo che, pur stretto anch’egli nella struttura ammazza-seme, aveva un cuore capace di oltrepassare la struttura. Per un prete è bello sentirsi in sintonia profonda col suo Vescovo. Talora si avrebbe bisogno di sentirselo ancor più vicino, ma – già l’ho detto – anche il Vescovo è vincolato da una burocrazia di cui non può fare a meno. Puoi anche sceglierti i migliori collaboratori che vuoi, ma non basta. Chi ha un passo in più, ha un passo in più… e si sente sempre frenato anche da coloro che pensava fossero più aperti, ma che poi in realtà si rivelano bravi burocrati o freddi esecutori di idee per nulla “loro”. Penso che Martini non sia stato capito né dalla Curia né dai preti ambrosiani e tanto meno dalla gente comune, la quale ama l’ordine della rassegnazione o della omologazione che narcotizza cervelli e cuori. La cosa peggiore per un prete è quando si sente costretto a far capire alla sua gente indicazioni pastorali di un Cardinale che vola alto, e vede la sua comunità costretta a subire tali indicazioni. Quale sintonia tra il popolo e la profezia? È una domanda tremenda. Se abbiamo un Cardinale con idee aperte al soffio dello Spirito di Novità, allora ci si sente quasi costretti a sopportarlo finché si può. Se si ha un Cardinale che tira la baracca tanto per superare il momentaccio presente, allora la gente se ne frega, pronta a osannarlo in ricorrenze particolari, tanto per far festa o perché è quasi d’obbligo riverire i personaggi altolocati.
Martini non era uno di questi, da manovrare su occasione. E non intendeva far passare il tempo scandendo le solite ricorrenze con frasi fatte o ad effetto immediato. Martini andava capito in quello che lasciava intendere più che in quello che diceva. Nelle sue parole si nascondeva un seme. E il seme andava raccolto. Purtroppo non è stato raccolto dalla Diocesi che, come al solito, si lascia prendere dalle novità più banali, e si immerge in un mondo tale di “interessi” da non capire più se la fede sia gossip o una cosa seria.
Negli incontri con Martini una frase mi colpiva sempre: «Tu mi devi aiutare!». Più che un invito, lo sentivo quasi un obbligo morale. E in quelle parole leggevo la solitudine del cuore del Vescovo che batteva per qualcosa che chiedeva una coralità di mani, di cuori, di menti, di idee aperte, di sogni da far calare nella realtà. Tu mi devi aiutare! Sapevo che tanti erano i progetti di Martini: progetti per una Diocesi più aperta al Vangelo incarnato nella misericordia, nella accoglienza, nel sociale, nella politica. Un’accoglienza di braccia aperte ai lontani, ai non credenti, alle persone di buona volontà su tutti i fronti. Ancora una volta ho sentito nel mio Vescovo la solitudine di Cristo: accolto dai lontani, rifiutato dai “suoi”. Forse per questo me lo sentivo vicino, ero in sintonia con lui.
Quando Martini era arrivato a Milano, da diversi anni stavo lottando a Sesto S. Giovanni. In mezzo a mille difficoltà. «È Lei che se le cerca!», mi si diceva da più parti. Era vero: ma come potevo pensare di lavorare nel sociale, senza avere qualche rogna? Chi non cerca le difficoltà è perché vuol vivere il solo tran tran. Tra casa e chiesa, e tra chiesa e casa. Magari soffermandosi davanti al sagrato per chiacchierare del più e del meno. È bello parlare con la gente, ma perdere tempo è peccato. Sapere di avere a che fare con più di ventimila parrocchiani, anche se i più erano “assenti” dalla comunità praticante, non permetteva di perdermi in pettegolezzi parrocchiali. E se la maggior parte dei praticanti magari chiedeva più riti, la mia testa era altrove. Più che la testa, il cuore. O ti chiudi in casa, cioè in chiesa, o sbatti la porta ed esci. Bastava un funerale, quando il corteo mi costringeva a osservare attentamente condomini e gente in giro, per caricarmi e farmi decidere. Non parliamo poi delle cosiddette benedizioni natalizie, quando si doveva andare di casa in casa per distribuire un po’ di acqua santa. Allora la nostra Parrocchia aveva scelto (con mille ragioni lodevoli) di andare in giro alla garibaldina, senza inviti particolari. Venivo a casa sconvolto! Deciso a osare di più per una pastorale diciamo dell’incarnazione di Cristo. (31/continua)

 

«Quel cielo rosso…»
Esperienza pastorale indimenticabile/39

A venti e più anni dai fatti successi in quei quattro o cinque mesi del 1983, posso stendere ora alcune considerazioni. A freddo, come si dice. Ma il calore ce l’ho ancora dentro. E che calore!

Tredicesima serie di considerazioni.
Già nei primi anni del suo ministero pastorale a Milano, Martini non solo si è rivelato un grande biblista deciso a tradurre la sua vasta conoscenza della Bibbia nei suoi Piani pastorali, che già nei loro Titoli apparivano azzardati, come se volesse di colpo dare una grande virata alla Diocesi milanese (in parte addormentata, in parte delusa, in parte rassegnata), ma iniziò a lanciare qualche ponte inconsueto sul mondo moderno che sembrava ormai alla deriva. Riprese il dialogo con le categorie più emarginate: operai e handicappati, credenti in grande ricerca e non credenti in attesa di qualcuno che li ascoltasse. C’era anche – già l’ho detto – una parte di clero che era in crisi per le dure prese di posizioni del predecessore, il cardinal Giovanni Colombo. Sì, una buona fetta di clero, e ne facevano parte anche validi professori, preti coraggiosi, con l’unico handicap di aver visto lontano e di aver aperto qualche squarcio di cielo di troppo. C’erano poi questioni inerenti alla stessa fede: i sacramenti, la Messa, la morale. Bastava poco – che Martini dicesse “però”… “ma”… – e veniva sommerso da domande, e fatto oggetto di critiche, come se volesse ribaltare una certa concezione della vita, che a fatica la Chiesa faceva di tutto per salvaguardare dall’emergente secolarizzazione.
Ma ciò che Martini non riusciva a capire era il motivo per cui ci si ostinava ad arroccarsi su posizioni che stavano per franare. La Chiesa, in quegli anni, stava uscendo da un brutto periodo di crisi istituzionale (pensate agli anni ’68), e non c’era dunque ragione perché si desse corda ad una contestazione che stava per essere arginata. C’era una forte tendenza – la parte della Chiesa più gerarchica e quel mondo integralista che faceva capo a CL – che era decisa a rimettere tutto in riga, entro gli schemi di una fede rigida ed entro una morale mosaica – e c’era un’apertura sempre più allargata, che voleva dare alla Chiesa una svolta storica, anche se – come in tutte le grandi trasformazioni – non tutti erano profeti, ma alcuni erano solo conformisti, allineati alle mode del momento.
Martini non poteva ignorare né il peso della Chiesa tradizionalista, e neppure il pericolo di essere strumentalizzato o non capito dai suoi stessi entusiasti estimatori. E poi erano anni in cui iniziava quella invadente ingerenza dei mass media nel mondo cattolico, tutto per ottenere qualche notizia “interessante”.
Riflettendo sulla nomina del cardinal Martini e di altri vescovi, o anche di parroci di grosse comunità, mi convinco di una cosa: che gli uomini hanno gli occhi che non vedono, o vedono confuso, l’imprevedibile. Pensano di poter disporre di una persona, a modo loro, e poi capita che quella persona sfugga alle loro vedute. Chissà con quale criterio Martini è stato scelto per fare il pastore a Milano! Difficile dirlo. Le nomine hanno talora motivi contingenti. Diversissimi. Anche banali. Che richiamano il mondo politico e i suoi strani giochi di potere. Ma una cosa è certa: quando qualcuno sfugge alle prese del potere o, per rimanere nel campo ecclesiale, alle vedute della gerarchia, allora si fa di tutto per ingabbiarlo. E i mezzi o i modi sono tanti. Si può anche cedere per un verso, ma poi si trova il modo di mettere quella persona nella condizione di non nuocere.  Non so se l’ho già detto. In ogni caso, lo dico ancora. Montini è stato mandato a Milano come vescovo, senza essere nominato subito cardinale, per evitare che entrasse nel Conclave, essendo fortemente “papabile”. Nella curia romana era forte la tendenza di cardinali che non volevano che Montini, noto come “di sinistra”, prendesse in mano le redini della Chiesa.  Tutti sappiamo che cosa è successo durante il famoso conclave del 1963, quando i cardinali, non riuscendo a mettersi d’accordo, hanno trovato un compromesso: nominare il cardinal Angelo Roncalli, ormai vecchio e perciò adatto a fare il papa di transizione. Anche qui, gli uomini hanno preso un grosso abbaglio. Giovanni XXIII darà una svolta radicale alla Chiesa. Altro che papa di transizione!  Nessuno si aspettava una cosa simile. Gli stessi cardinali che lo avevano votato, hanno poi cercato di… fermarlo! Si sono pentiti! Ma era troppo tardi! La frittata era fatta! Sì, gli uomini hanno occhi che non vedono, o vedono confuso, l’imprevedibile. E Giovanni XXIII è stato uno dei papi più imprevedibili. Poi, papa Roncalli nominerà Montini cardinale di Milano, preparandogli la strada per essere il futuro papa. Anche qui… l’imprevedibile. Montini è stato costretto, per forza di cose, ad andare contro la sua natura di innovatore, essendo stato preceduto da un già imprevedibile innovatore. C’è voluta tutta la sua grande intelligenza e la sua capacità di governo (non dimentichiamo che Montini era stato Segretario di Stato durante il pontificato di Pio XII) per rimettere a fuoco l’apertura di Papa Giovanni, tanto imprevedibile da spiazzare non solo la gerarchia della Chiesa, ma lo stesso Popolo di Dio, e il mondo intero. Montini, comunque, è arrivato a occupare la cattedra di Pietro, pur nei modi e nei tempi stabiliti da una Provvidenza che prende tutti in contropiede.
A Martini invece è stata chiusa ogni possibilità di essere… papa. Secondo me, più che a causa dell’ostilità della Curia romana e di una parte dell’episcopato della Chiesa, la sua esclusione se l’è scelta e guadagnata lui personalmente. Sapeva che, se avesse insistito nelle sue aperture, sarebbe stato difficile essere ben voluto in Vaticano. E così è stato. Ma Martini non faceva alcun calcolo per il suo domani. Agiva o diceva seguendo la sua coscienza, per il presente, pur sapendo di precludersi l’accesso alla cattedra di Pietro. Ha fatto l’arcivescovo di Milano come si sentiva di fare, e nulla più. Giunto il momento “opportuno”, ha rimesso il suo incarico, e dignitosamente si è ritirato a Gerusalemme. Con grande soddisfazione di… Roma! (39/continua)

 

 

«Quel cielo rosso…»
Esperienza pastorale indimenticabile/42

A venti e più anni dai fatti successi in quei quattro o cinque mesi del 1983, posso stendere ora alcune considerazioni. A freddo, come si dice. Ma il calore ce l’ho ancora dentro. E che calore!

Sedicesima serie di considerazioni.
Insisto ancora nel dire che voler bene alla Chiesa non significa starsene tranquillo in casa, o in chiesa, a pregare per la salvezza della propria anima. Non c’è solo la propria anima da salvare, ma l’anima del mondo. E per anima intendo l’Universo in tutta la sua realtà esistenziale, di cui l’anima è vita reale, di oggi. Come si può permettere che la struttura costringa la Chiesa di Cristo a sentirsi stretta, per non dire strozzata? Quando la Chiesa rallenta il suo passo – è vero che il suo passo sarà sempre lento -; quando la Chiesa dimentica il Vangelo radicale; quando la Chiesa, come i capi politici del popolo ebraico nell’Antico Testamento, cerca strane alleanze, dobbiamo tirar fuori la nostra voce e urlare che il Cristo radicale non lo permette. La struttura, per sua stessa natura, frena lo spirito, per non dire che può ucciderlo. Sappiamo che nella Chiesa ciò non avverrà mai. Dio non lo permetterebbe. Ma sappiamo che Dio aspetta che noi facciamo la nostra parte. La libertà, ancora oggi, ha un senso. Soprattutto nel cristianesimo, se è vero che Cristo l’ha liberato dalle catene del peccato. La Chiesa cammina nella libertà dei suoi figli che camminano sulle orme invisibili tracciate dallo Spirito. Le orme ci sono. Ma sono invisibili. La struttura non le vede. Le vede la Profezia. E la Profezia non sopporta la struttura, e se la sopporta è solo perché la Profezia ha tempi suoi, tempi talora che assomigliano a quelli di una gestazione misteriosa, quella dello Spirito di libertà.
La Chiesa è resa brutta da coloro che amano più la struttura che l’anima della struttura, che è lo Spirito di profezia. La Chiesa è resa bella da coloro che ne contestano la struttura, quando essa si rende così rigida da rendere rachitici anche i santi.
Certo, c’è modo e modo di contestare. Già l’ho detto. È l’amore, non l’odio, che converte. E l’amore non è tenero, se la struttura non è tenera. L’amore si fa coraggio, parola che taglia, gesto che spezza. Più la struttura è violenta, più l’amore si fa tenace, caparbio, ostinato. Ma sempre amore. E l’amore punta al cuore, all’essenziale. Più amore, più essenzialità, la quale, ripeto, punta al cuore della Chiesa. Ci sono anche i riti da cambiare, c’è la liturgia da purificare, c’è la Bibbia da ritradurre, ma l’essenzialità è ben altro: l’essenzialità è puntare a ridare alla Chiesa il cristianesimo del Cristo radicale.
Se la gerarchia in quanto tale troverà, come è comprensibile, delle enormi difficoltà a riformare la struttura, toccherà alla base farsi avanti, con coraggio, e proporre, proporre, proporre strade nuove. Spetterà alla gerarchia più aperta e sensibile alla voce dello Spirito chiedere aiuto ai suoi collaboratori di base. Se un vescovo non potrà parlare come vorrebbe, non potrà dire certe cose perché la sua stessa posizione non glielo permette, lascerà parlare i suoi uomini migliori, o quei profeti che la penseranno come lui, e potranno dire le cose che lui non potrà mai dire.
Qui per me sta il segreto del “resto” della gerarchia, del “resto” che ha costituito nell’Antico Testamento il seme della perpetuità dell’Amore di Dio. Ce ne sono di Vescovi – pensate alla Chiesa latino-americana – che vorrebbero riportare la Chiesa sulla strada del Vangelo più autentico: di quel Cristo che ci ha lasciato il Discorso della Montagna. Questi Vescovi non devono lasciarsi prendere dalla paura della gerarchia ufficiale romana. Perché non lasciano parlare i loro preti di base? Certo, non è bastato un vescovo come Tonino Bello, e non basta tuttora il suo messaggio sempre attuale. Occorrono più vescovi che lascino parlare i loro preti più evangelici. Mi annoio nel ripetere che non faccio questione di santità o d’altro. Faccio questione di preti-profeti, nel senso che hanno lo sguardo in avanti, non per una migliore organizzazione della Diocesi, ma per dare alla Diocesi un altro passo, che è quello di una pastorale che incarni il Cristo radicale.
Il cardinal Martini ha cercato di farlo, ascoltando, recuperando preti d’avanguardia messi a tacere, lasciandoli sperimentare qualcosa di nuovo. Chissà perché quando abbiamo un cardinale “aperto” al soffio della Pentecoste, noi preti per primi, e il popolo di Dio per secondo, continuiamo sulla nostra strada di un ostinato tradizionalismo in questione di fede, e in una spaventosa avventura di novità peregrine, che toccano solo la forma, lasciando rachitico il corpo. (42/ continua)

 

 

«Quel cielo rosso…»
Esperienza pastorale indimenticabile/43

A venti e più anni dai fatti successi in quei quattro o cinque mesi del 1983, posso stendere ora alcune considerazioni. A freddo, come si dice. Ma il calore ce l’ho ancora dentro. E che calore!

Diciassettesima serie di considerazioni.
Sì, occorre lasciar parlare i preti di base, che poi sono coloro che vivono ai margini della struttura, proprio perché la struttura li ha scartati come si scarta il buon seme permettendo alla zizzania di crescere. E questi preti di base li puoi trovare “isolati” nelle città o nei grossi centri, ma di norma li trovi nei piccoli paesi, dove si sentono più liberi di dire ciò che pensano, e non hanno nulla da perdere se pensano e dicono secondo quel Vangelo che scomoda tutti, soprattutto la gerarchia.
La Chiesa oggi, come del resto la società civile – dove puoi trovare profeti “laici”, che hanno nel sangue il Cristo laico per eccellenza, colui che ha amato l’Uomo in tutta la sua realtà esistenziale, indipendentemente dalla razza, dalla cultura e dalla religione – imboccherà la strada della salvezza (c’è anche una salvezza “laica”), solo grazie ai suoi profeti e ai suoi giusti. Non importa il loro numero. Se solo un individuo può mettere in ginocchio il mondo e fargli mangiare polvere per non dire bere sangue, perché un uomo solo non potrebbe salvarlo? Se basta un porco dittatore per far lacrimare milioni di famiglie perché sono stati loro tolti brutalmente figli innocenti, non potrebbe bastare solo un santo o solo un giusto per ridare il sorriso sul volto di milioni di esseri, insanguinato da ingiustizie vergognose, perpetuate in nome di un benessere che solo Dio sa quanto sia demoniaco?
Ma, senza pretendere il miracolo dei miracoli – anche se, purtroppo, i dittatori demoniaci sembrano non conoscere crisi – puntiamo sulla profezia di base. Con un credente qui, o un prete là, con un vescovo del nord e un altro del sud, già può iniziare quel cammino del seme che cresce e del lievito che fa fermentare la massa.
Partiamo dal campo ecclesiale. Bisogna ripartire dalle parrocchie, e qui scommettere sulla profezia di base. Basta con la burocrazia. Basta con i documenti. Basta con i piani pastorali buttati giù, e lasciati nel cassetto. Basta con l’organizzazione strutturale. Basta con quel correre a destra e a sinistra per serate o incontri che lasciano il tempo che trovano. Bisogna puntare in alto. Aprire qualcosa di nuovo, che è poi antico quanto l’incarnazione di Cristo. La parola “nuovo” illude, soprattutto i preti di una certa età: i novelli invece sono già vecchi, perché sono figli di un contesto, quello attuale, in cui tutto parla di omologazione, e li vedi questi preti giovincelli… senza alcun  mordente profetico. La Novità è il Cristo radicale. L’aggettivo “radicale” è fondamentale. Parlo del Cristo nelle sue radici più profonde: divine e umane.
Lo so che è uno sforzo immane andare contro-corrente, in questa società che ha perso la testa per l’avere più insano, tanto insano da contaminate le stesse comunità cristiane. Andare contro-corrente è lottare perché le nostre comunità – partiamo dai paesi più piccoli – diventino comunità di base del Cristo radicale.
È chiaro che i preti devono essere sostenuti da un vescovo “illuminato” che, pur schiacciato da una struttura che egli deve almeno formalmente rispettare per non essere schiacciato lui per il primo, troverà il modo migliore per dare l’appoggio perché la profezia di base continui la sua strada, e dalle piccole passi alle parrocchie urbane.
Purtroppo succede che la Provvidenza – non la gerarchia – ci invii un vescovo “illuminato”, e qualche prete ci speri, e poi… tutto cade nel solito discorso di fede, con l’avvento di un altro vescovo. Non importa. Cominciamo a raccogliere il “conforto” del vescovo “illuminato”.
Io vivo ancora di questo “conforto”, e lo devo al cardinal Carlo Maria Martini, senza togliere nulla gli altri vescovi. Non penso che sia un peccato avere qualche simpatia per un vescovo invece che per un altro. Questo vale anche per il papa. Sono anche convinto che il seme, sotterra, lavora, anche se cambiano i contadini. Prova a nascondere nel terreno un seme che ha dentro una carica esplosiva, prima o poi succederà qualcosa. Lo spero di tutto cuore. (43/ continua)

 

«Quel cielo rosso…»
Esperienza pastorale indimenticabile/46

A venti e più anni dai fatti successi in quei quattro o cinque mesi del 1983, posso stendere ora alcune considerazioni. A freddo, come si dice. Ma il calore ce l’ho ancora dentro. E che calore!

Ventesima serie di considerazioni.
È vero che il Cavaliere in quegli anni ’80, quando ero a Sesto, non era ancora conosciuto: non era ancora arrivato sul palcoscenico della storiella made italy. Ma era lì lì: le premesse c’erano già tutte. Tranne che nessuno se ne accorgeva. E poi… per tutta una serie di circostanze favorevoli (dire “provvidenziali” sarebbe una delle bestemmie più atroci capaci di far scendere di nuovo il Figlio di Dio sulla terra per lavarci la bocca!) e con il vento che tirava per un verso – anni del craxismo più dittatoriale che imponeva ogni mossa della politica, ogni carica istituzionale e la scelta dei posti più privilegiati in ogni campo, soprattutto in quello sanitario (non potevi essere Primario di un ospedale senza la tessera del P.S.I.) – ecco un pivellino che a furia di dare sgominate trovava sempre il buco giusto per infilarci dentro… il suo portafogli e così ottenere di poter salire di volta in volta un gradino della scala del potere. Non ci vuole intelligenza per salire la gradinata. Basta quel “quid”, ancora a me misterioso ma che magari riuscirò a decifrare, appena mi verrà quell’intuito sul peccato originale di cui già ho in mente una certa teoria. Un quid che lascia tonti, pur spingendo il tonto su su fino ad arrivare quasi al… cielo.
In quegli anni ’80 tutto si giocava sul duro contrasto Pci e Dc. Il Psi contava poco, e contava tutto. Un mistero della politica italiana. Basta un partitello per cambiare la fisionomia ad una nazione. Tutto dipende dal capo carismatico. Craxi era un capo indiscusso. Simpatico o no, comandava lui. Noi preti non avevamo idee ancora chiare. Forse ce ne fregavamo della politica, anche perché era tutta pentola in cui bolliva di tutto. Non capivi nulla: non c’era quel qualcosa a cui aggrapparsi per dire la tua opinione, o per prendere una certa posizione in campo sociale. Il voto era ancora strettamente legato alla “coscienza democristiana”. In quegli anni – me lo ricordo bene: questo sì che mi faceva incazzare! – ad ogni tornata elettorale di qualsiasi genere usciva poco prima un documento della Curia in cui si faceva tutto un lungo ragionamento per dire che dovevi votare D.C., però alla fine ti lasciava libero di votare secondo coscienza. Coscienza “democristiana”! Mi ricordo che proprio il governo Craxi mi costrinse a disertare le urne politiche, avendo spostato arbitrariamente le elezioni alla fine di giugno, quando avevo già deciso di andare in quel periodo in campeggio a Deiva Marina. Non ho ritenuto giusto spostare il mio programma per i capricci della politica!
Certo che, appena è arrivato a Milano, Martini ha avuto un bel coraggio a dare una svolta netta alla pastorale, e di riflesso alla società civile, ponendo al centro la Parola di Dio. Un po’ di chiarezza. Riordinare le idee. Riprendere il filo della matassa ormai ingarbugliata. Cercare di capire l’essenzialità della vita, personale e collettiva. È questo di cui abbiamo bisogno, soprattutto nei periodi bui, quando tutto è confuso, quando non si sa più da che parte sta la verità, quando si lavora fidandosi unicamente del proprio intuito. È vero che c’era stato il ’68 a creare quella scossa micidiale che sembrava travolgere ogni struttura. Poi… come in tutte le rivoluzioni, era seguito un periodo di sbandamento. Ognuno cercare un pezzetto di verità. Ognuno pensava di fare bene ciò che pensava lui. Il ’68 è servito, eccome! Ci voleva, eccome! Ma poi… occorre trovare la Novità che si pensava fosse stata sepolta dalle secolari strutture precedenti. Dov’era ora la Novità? Ognuno si aggrappava a qualcosa che riteneva fosse la Novità. Non basta fare una rivoluzione per riportare a galla la Verità. Si era nel buio. Lodevoli i tentativi di ricuperare la Novità, ma a poco a poco si rivelavano illusori. Se la Chiesa prima – appena è scoppiato il ’68 – era fortemente preoccupata del traballare delle strutture, poi… passato il ’68 si era preoccupata di raccogliere i cocci e di rimetterli insieme. Non era questo che si doveva fare. Occorreva riconoscere che il ’68 aveva offerto – a modo suo, magari discutibile – l’occasione per riprendere quella via evangelica che tutta una serie di rigidità strutturali aveva tradito nell’anima. Sembrava invece che il ’68 fosse stato un ciclone impazzito e che ora occorreva rifare il tutto. Perché rifare? (46/continua)  

 

 

«Quel cielo rosso…»
Esperienza pastorale indimenticabile/48

A venti e più anni dai fatti successi in quei quattro o cinque mesi del 1983, posso stendere ora alcune considerazioni. A freddo, come si dice. Ma il calore ce l’ho ancora dentro. E che calore!

Ventiduesima serie di considerazioni.
Il cardinal Martini poneva già, negli anni ’80, le premesse per una nuova visuale di fede, che tenesse conto del momento storico. Come si può continuare a vivere una fede che ci chiude nel nostro piccolo mondo ecclesiastico? Già in quegli anni, in cui mi trovavo a Sesto, mi sembrava spaventoso pensare che una parrocchia della città fosse un orticello privilegiato. Ho trovato un gruppetto di Comunione e Liberazione – allora i ciellini si facevano sentire per la loro “presenza alternativa” o di separazione – che ostinatamente pretendeva di costruirsi un mondo protetto dal mondo esterno. Come puoi parlare di mondo esterno, quando, bene o male, volere o no, ci dobbiamo vivere. E si ostinavano a distinguersi, separandosi, a scuola, sul lavoro, in parrocchia. Sinceramente non capivo se tutto consistesse solo in un libretto di colore giallo, o in formule di loro invenzione che servivano per marcare la loro identità-separazione. Non dicevano Cristo, ma “il Cristo”. E poi avevano i loro riti, le loro usanze, le loro tradizioni. Nelle riunioni tutti dovevano fare la loro personale confessione, e si sentivano in colpa, se in quel momento la paura o altro bloccava la parola. Solitamente le confessioni consistevano nell’aver incontrato o meno Cristo nella giornata. “Incontrato”? Mi chiedevo che cosa significava “incontrare Cristo”. Io non lo incontravo mai, con quella facilità o con quella plasticità con cui un ciellino si sentiva un illuminato. Mi sembrava che l’insistere su queste confessioni comunitarie e sulla necessità di “incontrare” Cristo ad ogni angolo di strada, servisse per legare gli adepti tra loro e con il Movimento. Interessante, interessantissimo studiare i meccanismi di aggregazione, studiati con arte e psicologia per manipolare le menti. Questo avviene non solo nel campo religioso, ma anche in quello politico. Tra parentesi. Ho ben altri problemi che pensare a Mario Borghezio della Lega Nord, che già al vederlo uno si convince che noi deriviamo dalla scimmia. Mi sto chiedendo: nessuno della Lega esprime disapprovazione per quello che fa quel spregevole essere umano? Io, che sono di sinistra (Sinistra evangelica!), sono pronto a sparare sui partiti di sinistra e sugli uomini di sinistra (sono tanti, tantissimi) che non sanno in che consista l’ideologia di sinistra. Io che sono prete non chiudo gli occhi sugli errori della Chiesa-struttura e, appena ne vedo uno, lo critico apertamente. Come mai – qui c’è qualcosa di patologico – uno che appartiene ad un determinato partito non vede i difetti dei suoi uomini di partito, e non li critica? Questo, purtroppo, capita anche nella Chiesa, a iniziare dalle nostre parrocchie.
Torniamo a Sesto. I ciellini della mia parrocchia li sentivo parlare di missionarietà, ma non capivo se il loro farsi missionario, ad esempio nella bassa milanese, fosse solo un modo per conquistarsi dei meriti nel gruppo. Andavano a fare opere buone, non tanto per aiutare la gente, quanto per sentirsi a posto nella coscienza.
Ancora oggi – siamo nel duemila e più – siamo qui a continuare una pastorale tradizionale, nel senso più formale e rituale del termine. Non si ha il coraggio di inventare una “nuova” pastorale, la pastorale dell’incarnazione di Cristo. Viviamo in un’epoca, che è questa, la nostra, che presenta forti problematiche esistenziali: basti pensare alla crisi nel mondo del lavoro, al disagio giovanile sempre più precoce, alla speculazione del Creato. E noi credenti ci isoliamo nei ghetti, in strutture pastorali chiuse al mondo. Un discorso che non posso finire qui. (48/continua)

 

20 Commenti

  1. Alessandro90 ha detto:

    Ha ragione don Giorgio…oltre alla Pivetti(a cui credo non freghi nulla della cosa) ci sono altri che dovrebbero tacere: il primo di tutti è LEI. Parlate, lei e molti dei suoi sciagurati discepoli(4 gatti, per fortuna) di umanità, uomo con la lettera maiuscola…ma quando si renderà conto di essere un miserabile peccatore come tutti gli uomini di questo mondo. La sua propaganda di una religione umanitaria dal sapore decisamente anticristico… è uno dei motivi per i quali è stato confinato, senza mai diventare parroco(dopo parecchi, troppi anni) in una comunità di 4 gatti di cui, sono sicurissimo, il Signore avrà pietà…avendo esse, non per colpa propria, aver avuto un tale sciagurato, livoroso “Pastore” in mezzo a loro!

  2. dsm ha detto:

    Segnalo che già sta partendo il processo di normalizzazione. Temo che la tecnica sia tipica. Smorzare le parti più rivoluzionarie, riaffermare principalmente il nucleo della fede cristiana (su questo onestamente dato che mi pare che Martini non lo abbia mai rinnegato) e dire “in fondo era d’accordo con Giussani”.

    http://www.corriere.it/cronache/12_settembre_04/martini-cl-carron-addolorato_8e78f1e4-f66b-11e1-ac56-9abd64408884.shtml

    Che pena, tra un po’ cercheranno di rendere innocuo anche ciò che ha detto e ha fatto. Voi che lo avete conosciuto resistete…

  3. marcello ha detto:

    Il Cardinale Martini rispondeva simpaticamente a coloro che lo dicevano essere “l’anti-papa”, di essere l'”ante-papa”.
    Non dimentichiamocelo!!!!

    • vale ha detto:

      A parte che la sezione “commenti” è dedicata ai commenti, non alle segnalazioni di propri articoli scritti altrove, mi sembra tremendamente irrispettoso parlare di salotti mediatici cui avrebbe presenziato “fino ai suoi ultimi giorni”. Parliamo di un uomo che ha passato gli ultimi anni della sua vita in balia di una malattia tremenda. Ha rilasciato qualche intervista e questo è peccato di vanità? E cosa doveva, attaccare il telefono in faccia a chi lo chiamava?

    • dsm ha detto:

      Piuttosto che il tentativo di normalizzazione di Carron (v. mio commento precedente) preferisco A. Socci (su cui non concordo con nulla ma da non credente mi stupirei del contrario). Almeno le posizioni sono chiare.

  4. Antonio Luigi Mori ha detto:

    Bella testimonianza don Giorgio, appassionata, ricca, che non lesina anche i momenti difficili: nel tuo stile, insomma, scomodo certo! ma così evangelico ed umano

  5. germano ha detto:

    Sono tornato da poche ore dal duomo e da un Grande Uomo, un Faro per tanti, me compreso che l’ho appena fugacemente conosciuto di persona ma apprezzato da tempo per quello che diceva,faceva e che …era.
    Ho nelle orecchie e negli occhi i servizi dei vari media che a più riprese lo hanno definito l’uomo del Dialogo, della Pace, della Parola…. è giusto ed innegabile : Lui era così, ma a me piace ricordarlo qui riportando un breve stralcio del libro del 2008 ” Conversazioni notturne a Gerusalemme – sul rischio della fede ” dove egli a pag.119 affermava (me l’ero sottolineato) : ” Secondo la Bibbia, la giustizia è più del diritto e della carità : è l’attributo fondamentale di Dio. giustizia significa impegnarsi per chi è indifeso e salvare vite, lottare contro l’ingiustizia. Significa un impegno attivo e audace perchè tutti possano convivere in pace. La giustizia deve vegliare affinchè il diritto, così com’è formulato nelle leggi, consenta a tutti gli uomini un’esistenza dignitosa. Gesù ha dato la sua vita per la giustizia. Ha cercato il dialogo con i potenti oppure ha rappresentato per loro un elemento di disturbo. Si è schierato dalla parte dei poveri, dei sofferenti, dei peccatori, dei pagani, degli stranieri, degli oppressi, degli affamati, dei carcerati, degli umiliati, dei bambini e delle donne. Chi si comporta così da fastidio. Chi interviene al fianco degli uomini, che sono come pecore senza pastore, e li riunisce rendendoli consapevoli, diventa pericoloso agli occhi dei potenti….”
    Ecco io lo voglio ricordare così, semplicemente come Uomo Giusto !
    Ecco perchè, casualmente trovatomi in duomo proprio nel momento in cui è arrivato Monti, alla mente mi è venuto spontaneo questo pensiero “Signor Presidente sei qui per imparare da quest’Uomo un po’ d’equità e di giustizia ? ”
    Forse avrei dovuto gridarglielo, essendo un po’ lontano, o forse, se fossi stato più vicino, senza clamore, glielo avrei potuto sussurrare ….

  6. Emanuela ha detto:

    Grazie don Giorgio per la sua bella testimonianza. Che fastidioso leggere articoli o comunicati che vogliono solo appropriarsi della statura umana e spirituale di Martini.

  7. angelo ha detto:

    avrei voluto fare visita a padre Carlo Maria Martini ma non ho i soldi per andare pur abitando a soli 60 km lui capirà,
    come ha sempre capito i “lontani” e i poveri.
    Grazie Padre.

    • Andrea Risso ha detto:

      @angelo: …60 km in treno andata e ritorno costano si e no 20 euro…meno molto meno di una connessione a internet… a fare i finti poveri per impietosire si manca di rispetto a chi povero lo è davvero.

  8. Patrizia ha detto:

    La sensazione che se ne coglie,è che sia morto un grande Papa, quello di un’altra Chiesa, illuminata e più cristiana, che si contrappone a quella tenebrosa del suo capo ufficiale,è il caso di dire che le vie del Signore sono veramente infinite.
    Inoltre non dà tanto l’impressione di una morte, quanto di una rinascita che viene dal messaggio che egli ci lascia, quella della luce di una nuova Chiesa,mentre l’oscurità scende inesorabile sull’oltre Tevere.
    Grazie,cardinale Martini.

  9. Riccardo ha detto:

    Carlo Maria Martini non è morto,è tornato nella casa del Padre, il fratello Carlo Maria è stato un vero pastore, un vero servo del Signore, anchio che sono protestante ho imparato molto da questo santo uomo di Dio.

  10. Giuseppe ha detto:

    Di Martini conosco poco, ma quel poco che so unito alla testimonianza viva di don Giorgio, non può che farmelo apprezzare profondamente. La cosa che mi fa imbestialire in questi giorni è l’alzata di scudi della curia vaticana e dell’apparato clericale, pronti a dire anche falsità (se necessario) interpretando a proprio piacimento il suo pensiero, solo per riappropriarsi di una figura eminente più apprezzata in vita dai non cattolici e dalla gente semplice, che dai vertici della chiesa e della società in cui ha lungamente operato. Da qualche parte ho letto che Martini era tra i papabili all’apertura del conclave del 2005, non posso sapere se avrebbe accettato l’eventuale investitura, ma certamente se eletto in questi anni avremmo avuto un papa ben diverso e, pur con tutto il rispetto per il teologo Ratzinger, sicuramente migliore.

  11. Gianni ha detto:

    Sarebbe piaciuto anche a me scrivere qualcosa su un’esperienza personale con il card. Martini, ma non ho avuto tale occasione…..
    Ne posso quindi parlare, solo con riferimento a quello che so di lui, pur avendo conosciuto talune persone, qui a Torino, che lo conoscevano.
    Sicuramente apprezzato da molti, ma anche criticato, credo che, sia per credenti, che non credenti, un messaggio profondo l’abbia lasciato, e non solo come arcivescovo a cardinale, ma come intellettuale.

    Personalmente, penso che le sue opinioni su diversi aspetti, sia religiosi che laici, abbiano, una volta in più, dimostrato come anche in determinati ambiti non esista solo un modo di vedere le cose, di intenderle, di viverle o interpretarle.

    Ed ecco, quindi, che tali “posizioni” mi hanno dato modo di convincermi, ancora una volta, dell’eterogeneità di concezioni che possono stare alla base pur di tradizioni religiose consolidate.

    Si è, ad esempio, espresso a favore di unioni civili stabili tra omosessuali, piuttosto che a sostegno di una cattedra per non credenti.
    Credeva molto nell’ecumenismo, e sosteneva che non si possa ricondurre la concezione di Dio ad un Dio cattolico.

    Per me l’aspetto più rilevante della sua figura è proprio questo:
    aver testimoniato come, pur all’interno di quelle grandi categorie che sono cristianesimo e cattolicesimo, possano albergare concezioni molto diverse, e che la riflessione e ricerca su di queste non abbia mai realmente termine.
    Il card. Maritini, almeno personalmente, mi ha dato quindi modo di riflettere sul fatto che bisogna essere pensanti, com’egli amava dire, piuttosto che immersi nella dialettica tra atei e credenti-

    Del resto, pensiamo a quanti stravolgimenti ha conosciuto il cristianesimo nel corso della storia.
    Una volta il cristianesimo si inquadrava, storicamente, in un’unica grande religione, che arrivò ad identificarsi con l’impero, ma poi ecco la diaspora tra cattolicesimo e chiesa ortodossa.
    La cosa più curiosa, a mio avviso, è che quella che prima era considerata ortodossia poi divenne eresia.
    Dico questo, nel senso che molti pur credenti, neppure si pongono la questione di quello in cui credono, ed appunto, consideriamo una delle principali preghiere, il credo…
    Ma in cosa crediamo?

    Proprio a tale riguardo, originariamente, quando ancora non esistevano due chieste distinte, una cattolica ed una ortodossa, si professava di credere ad uno spirito santo, che procedeva dal padre…..
    Poi si iniziò a dire che lo spirito santo procedeva “filioque”, in alcuni ambiti locali.

    Su quel punto si aprì una tale dialettica che, unitamente a questioni di potere ed alla riflessione sulla primazia di Roma, porterà allo scisma.
    All’inizio anche la chiesa romana aborriva il “filioque” come una bestemmia, mentre oggi quella, considerata all’epoca come bestemmia, è divenuta oggetto di fede nel credo cattolico.
    Ho voluto richiamare questo esempio storico, per dire come, pur all’interno di una stessa religione, su questioni teologiche, ma anche legate a questioni di potere, si possa arrivare a fratture, a diaspore, e via dicendo.
    Ma anche a netti ripensamenti…..

    Forse il card. Martini, anche con il suo ecumenismo, ha voluto trasmetterci il messaggio che l’uomo può pensare in modi molto diversi, e comunque nessuno può avere la presunzione di avere la verità assoluta.
    Appunto, ecco che l’esempio storico lo dimostra:
    chi ha ragione?
    La chiesa prescisma, ed ora quella ortodossa, che ritengono che lo spirito santo proceda solo dal Padre, oppure l’attuale cattolicesimo, con la formula “”filioque”?
    Forse, nessuna delle due e tutt’e due.—

    Dio, nella sua dimensione metafisica, non può essere ricondotto realmente a categorie umane, e questo, a mio avviso, rappresenta il più significativo messaggio del cardinale, quando diceva che Dio non è cattolico.
    Ecco perché, mi si scusi, ma mi vien da sorridere quando assisto a quella sorta di “guerra di religione” che si scatena, ad esempio, sulle forme liturgiche.
    E qui sembra che si scateni una polemica di chissà quale rilevanza, mentre, a ben pensarci, non si tratta che di liturgia.
    Ogni credente preferirà forme diverse, ma l’essenza metafisica di Dio non si limita a queste, se è vero che è presente in ogni ambito……

    Anche su altri aspetti, decisamente meno teologici, del card. Martini, si può essere stati o meno concordi con lui, ma certo non va negata l’incidenza che il cardinale ha avuto anche come intellettuale nella storia della città di Milano, a partire dall’iniziativa della cattedra dei non credenti.
    Credo che questa rilevanza, non solo cattolica, ma anche laica, del personaggio Martini, lo possano ricondurre tra gli intellettuali più rilevanti, quanto meno per l’ambito ambrosiano.

  12. bobby sands ha detto:

    perdoni la schiettezza ma non avendo particolarmente condiviso il suo operato non mi aggrego a chi,ora che è defunto si prodiga in elogi apprezzamenti e lusinghe

  13. Gianfranco Nicora ha detto:

    Caro don Giorgio il tuo ricordo sincero e personale del tuo rapporto con Padre Martini mi ha commosso!
    Io ho avuto la fortuna di conoscerlo ed incontrarlo quando ormai il mio tentativo di riorganizzare il Seminario di Masnago e la mia stretta amicizia con Valsecchi furono considerati da Citterio e Colombo degni di una sospensione, emarginazione e riduzione allo stato laicale!
    Il prossimo anno ricorre il 30° anniversario della morte di Ambrogio Valsecchi e con un gruppo di amici ( doveva esseri anche il nostro amato Martini ) vorremo ricordarlo co testimonianze scritte di tutti coloro che lo hanno conosciuto! Spero il card. Scola non si defili, anche perchè se è diventato prete lo deve a Valsecchi! Un abbraccio fraterno Gianfranco Nicora 70 anni ben portati

    • Don Giorgio ha detto:

      Ti ringrazio per il tuo intervento. Fammi sapere qualcosa sul 30°’anniversario della morte di don Ambrogio Valsecchi, che è stato anche mio professore di morale. Uno dei professori che rendeva piacevole la sua ora. Ciao. don Giorgio

    • Gianfranco Nicora ha detto:

      Caro don Giorgio come da te richiesto ti informo che Mercoledi’ 6 marzo 2013 alle ore 18.00 presso la Basilica di S. Ambrogio nella Cappella Oratorio di S. Sigismondo a Milano Sua Eccellenza Mons. Erminio Descalzi presiederà la liturgia Eucaristica in ricordo e suffragio di AMBROGIO VALSECCHI. Per chi desidera partecipare il ritrovo e’ alle ore 17.45 nel cortile del quadriportico antistante la Basilica
      Saremmo felici della tua partecipazione e di un tuo ricordo personale su la pagina di Facebook a lui dedicata AMBROGIO VALSECCHI
      Hanno assicurato di concelebrare per ora don Angelo Casati e don Gianfranco Bottoni! Grazie Nicora Gianfranco

  14. Luciano ha detto:

    Caro don Giorgio, ora capisco perchè mi sento in sintonia con lei. Anch’io ho potuto camminare, in gioventù con il cardinale Carlo Maria Martini, che tanto mi ha dato e trasmesso. Mi sono recato nel primo pomeriggio in Duomo per una preghiera di ringraziamento difronte ai resti mortali dell’indimenticabile cardinale Carlo Maria Martini. Mi ha insegnato ad amare, ad approfondire il cammino di fede e a pregare con le Scritture. Ho ancora nel cuore quei momenti meravigliosi della Scuola della Parola, dove il cardinale Carlo Maria Martini, ci introduceva nella Preghiera Principe che Gesù stesso ci ha insegnato il “Padre nostro”. E’ stato un Testimone nell’Amore di Cristo, accogliendo ogni persona nelle sue iniziative veramente Ecumeniche. E’ stato un Dono Profetico immenso che il Signore ci ha offerto. Mi manca già moltissimo. Però i Frutti della sua semina, già si vedono. Che il Signore gli possa concedere la Giusta Ricompensa Evangelica del servo fedele, diventato inutile. Continuo ad unirmi nella preghiera di Ringraziamento e di intercessione per questo nostro Fratello in Cristo che è tornato alla Casa del Padre.

    Luciano Bonaventura

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