da AVVENIRE
15 gennaio 2020
Caserta.
Sette vescovi e 400 sacerdoti
per dire no alla Terra dei fuochi:
basta veleni
Antonio Maria Mira, inviato a Teano (Caserta)
A Teano un incontro sull’emergenza ambientale: «Occorre schierarsi. Non possiamo darci pace se la nostra terra viene avvelenata»
«Ieri ho celebrato il trigesimo di Giancarla, mamma di 40 anni morta di tumore. Quante di queste lacrime abbiamo asciugato? Come sacerdoti dobbiamo partire da questo dolore per dare voce alle persone che nessuno ascolta. Altrimenti non siamo Chiesa». A parlare è don Carmine, giovane parroco di Acerra.
Parole di dolore ma anche di denuncia: «Dobbiamo dire che siamo governati da incapaci che non si preoccupano di queste persone». Intervento forte, ma non l’unico nel grande auditorium di Teano, pieno di più di 400 sacerdoti, assieme ai vescovi di Acerra, Aversa, Capua, Caserta, Nola, Sessa Aurunca e Teano. Vescovi e sacerdoti della terra dei fuochi riuniti per la prima volta a riflettere, tutti insieme, sul dramma di questo territorio. L’occasione è il quinto anniversario dell’enciclica Laudato si’, ma l’incontro è solo un primo passo verso la giornata del 18 aprile, indetta dai vescovi della Campania assieme alla Cei per riflettere sull’importante documento di Papa Francesco.
Un evento al quale sono stati invitati anche i vescovi delle 70 diocesi (27 del Nord, 20 del Centro, 23 del Sud) interessate dai 57 Sin, i siti più inquinati. «Vogliamo metterci insieme – spiega il vescovo di Acerra, Antonio Di Donna – per dire che non esiste solo la ‘terra dei fuochi’ ma tante ‘terre dei fuochi’».
Una Chiesa che con questa prima giornata manda un preciso messaggio, come sottolinea nell’introduzione il biblista don Bartolomeo: «La custodia del Creato non può essere esclusa dalla nostra missione sacerdotale. Non possiamo darci pace se la terra continua ad essere calpestata, violentata, abbandonata». Per questo, è l’invito di Di Donna, «l’impegno della Chiesa deve essere di annuncio, denuncia e formazione delle coscienze. Qualcuno dice che così facciamo politica, ma bisogna schierarsi. Il silenzio non è la soluzione ». E non solo per tutelare la salute, come sottolinea il vescovo di Sessa Aurunca, Orazio Francesco Piazza: «Il tema è anche ambiente e economia. Molte aziende hanno cambiato residenza per evitare il marchio di ‘terra dei fuochi’, provocato anche dallo sciacallaggio di alcune regioni del Nord. Ma noi dobbiamo curare il rapporto tra ambiente e prodotti, perché la qualità del prodotto sia elemento distintivo».
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Tra le proposte pratiche: un osservatorio interdiocesano dedicato ai temi ecologici, orti sociali per i poveri sui terreni bonificati
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Tocca poi ai sacerdoti intervenire. E lo fanno in tanti. Don Valentino (Sessa Aurunca): «Serve una denuncia continua. Si sappia che c’è una Chiesa presente che cammina unita per essere più incisiva». Don Gianni ( Teano): «Dobbiamo abitare la protesta che viene dal basso, non solo predicazione ma fatti concreti ». Don Danilo (Nola): «Dietro c’è sicuramente la collusione con la camorra ma su questo siamo stati omertosi. Ora dobbiamo tenere il fiato addosso alla politica per realizzare le bonifiche. Se no tutto resterà lettera morta». Don Elia (Caserta): «Dobbiamo entrare nei problemi sociali. Serve un impegno quotidiano, non solo eventi». Don Guido (Aversa): «È occasione di dialogo interculturale e interreligioso. Valorizziamo la presenza degli immigrati, da loro apprendiamo la cura del Creato, della Madre Terra». Don Michelangelo (Sessa Aurunca): «Grave è l’assenza delle istituzioni, siamo sempre noi Chiesa a denunciare. I politici agli eventi sono sempre ai primi posti, ma poi cosa fanno? Non stanchiamoci di alzare la voce, e cerchiamo di convincere chi ha responsabilità». Don Stefano (Acerra): «Dobbiamo cominciare dalle piccole cose, l’attenzione per l’ambiente passa anche da noi. Però non è possibile che Acerra che fa il 70% di differenziata paghi per Napoli che non la fa». Don Antonio, parroco da decenni a Pineta mare, ricorda il degrado di Castel Volturno: «Rifiuti provenienti da territori circostanti ma anche lontani. Stanno avvelenando la nostra terra. È un’apocalisse. Ma non dobbiamo arrenderci, è una sfida che non possiamo perdere. La nostra voce deve essere forte per farci ascoltare».
E arrivano proposte concrete: un osservatorio interdiocesano sull’ambiente, orti sociali sui terreni bonificati da assegnare ai poveri, usare i beni della Chiesa per creare lavoro per i giovani, offrire borse di studio per laureati in materie ambientali. È l’invito che fa, concludendo l’incontro, il vescovo di Teano, Giacomo Cirulli: «Bisogna essere concreti. I problemi sono grandissimi e di fronte ai muri c’è il rischio di ricadere nella rassegnazione. Non dobbiamo far morire la voglia di intervenire, ma andare avanti, bloccare il disastro ma poi affrontare il problema con l’aiuto degli esperti». La Chiesa della ‘terra dei fuochi’ – è l’impegno comune finale – «è in cammino e non si fermerà».
Serve una sostituzione, coatta, di tutta la classe amministrativa di quelle aree. Una PA costruita ruolo su ruolo, promozione su promozione, attraverso decenni di concorsi deviati, raccomandazioni e cooptazioni, fuori da ogni logica meritocratica, seguendo cioè logiche di occupazione e controllo completo sulle funzioni pubbliche, dove ogni pedina sa di dovere e deve, necessariamente e sistematicamente, restituire appalto dopo appalto, timbro su timbro, controllo ‘citofonato’ ed altre tecniche burocratiche, il privilegio ottenuto.
Quando tecnici, dirigenti e funzionari autorizzano, fingono di non vedere distorsioni e abusi lampanti anche agli occhi di un turista straniero di passaggio o addirittura entrano nella spartizione della carcassa del popolo oppresso, partecipando all’orgia dello smembramento del bene comune accumulando per sé e pargoletti beni, fondi, appalti, immobili, contratti di consulenza e tanto altro… l’unica strada possibile è il licenziamento in tronco con contestuale arresto ed esproprio di ogni bene e salario percepito lungo tutto il percorso della propria ‘carriera’ criminale, dal giorno dell’assunzione a quello del licenziamento.
Altre strade sono impercorribili e destinate a generare solo rumore, che si assorbe nel giro di 48 ore dallo spegnimento delle telecamere o di qualsiasi altra iniziativa.