2 febbraio 2025: PRESENTAZIONE DEL SIGNORE
Ml 3,1-4a; Rm 15,8-12; Lc 2,22-40
Ogni anno, il 2 febbraio in tutte le chiese cristiane si celebra la Presentazione di Gesù al Tempio. L’evangelista Luca narra che, quaranta giorni dopo la nascita del suo primogenito, Maria porta il bambino al Tempio per riscattarlo con il sacrificio di due tortore o due colombe, secondo la Legge di Mosè.
Questo adempimento della Legge è anche il primo incontro ufficiale di Gesù con il suo popolo, nella persona dell’anziano Simeone. Per questo le chiese ortodosse chiamano la festa di oggi il “Santo Incontro” (hypapanté) del Signore. È un incontro e una manifestazione, poiché Maria entra nel Tempio «per manifestare al mondo colui che ha dato la Legge/Grazia e la compie», e per accompagnare il Figlio nella sua prima offerta al Padre.
La festa della Presentazione sorse a Gerusalemme, dove è attestata già nel IV secolo. Dalla liturgia della Città santa le liturgie occidentali hanno attinto la processione delle candele, che hanno conservato fino ai nostri giorni; essa trae origine dal cantico del vecchio Simeone il quale, prendendo tra le braccia il piccolo Gesù ringrazia Dio e riconosce in quel bambino la «luce per la rivelazione alle genti e la gloria del popolo d’Israele» (Lc 2,32).
Soffermiamoci sul primo brano, è di un profeta anonimo: Malachia non è di per sé un nome di persona: la parola ebraica significa “messaggero del Signore”.
La composizione del libro, di soli tre capitoletti, va collocata nella prima metà del V sec. a.C. I destinatari furono gli Ebrei del periodo successivo all’esilio babilonese, quando il tempio era già ricostruito e la comunità ebraica iniziava a riorganizzarsi. Ci sono però segnali di crisi di fiducia nel Signore. Malachia cerca di scuotere i connazionali richiamandoli alle loro responsabilità e riaffermando la grandezza dell’amore di Dio per il popolo d’Israele.
Sarei subito tentato di fare almeno una riflessione. Non è solo la triste storia degli ebrei, anche la nostra: dimentichiamo subito i momenti drammatici, tra l’altro purificatori, quando, usciti dalle crisi, torniamo come prima, magari peggio di prima. Le crisi, che sono sempre delle prove, non servono proprio a nulla? Eppure dovrebbero servire a distaccarci dall’inutile, a farci comprendere i valori essenziali della vita.
Siamo dunque verso il 450 a.C. Succede che gli uomini imborghesiti (ci si mette poco a far denaro!) introducono nelle loro case avvenenti donne straniere e ripudiano la sposa della loro giovinezza, i sacerdoti sono corrotti e mutano in maledizione la loro benedizione, i poveri sono soggetti a soprusi, e i potenti sono insolenti e prosperano, ma il Signore non sembra che intervenga. Lo scoraggiamento fa dire a qualcuno: “che cosa serve servire Dio?” e altri esasperati esclamano: “dov’è il Dio della giustizia?”.
Il profeta Malachia sente il dovere (è la sua missione!) di richiamare i suoi concittadini ad una austera vita religiosa; è un uomo che non riesce proprio a legittimare i matrimoni misti per timore che la terra diventi “immonda”. È ostinatamente fedele alla legge e non accetta di restare in silenzio davanti al clero ignorante, permissivo e assillato dal danaro.
Mentre combatte contro gli abusi che già i due grandi condottieri ebrei: Neemia, personaggio politico, ed Esdra, sacerdote e scriba, avevano denunciato e cercato di estirpare, Malachia annuncia a nome di Dio: “Io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me”. Poi apparirà un secondo personaggio misterioso, chiamato “il Signore che voi cercate, l’angelo dell’alleanza che voi sospirate, il Signore dell’universo”.
Ecco: colui che viene entrerà nel tempio del Signore e sarà come fuoco e come lisciva: purificherà i figli di Levi, i ministri del culto del Tempio di Gerusalemme.
Il messaggero che prepara la via, apre la strada al futuro incontro con il Signore, sarà Giovanni il Battista, è lo stesso Gesù che interpreta così le parole di Malachia.
“Subito entrerà nel suo tempio”: gli Evangelisti interpretano l’annuncio di Malachia attraverso il racconto di Gesù che entra nel tempio e scaccia i venditori. Narra Marco: “Il tempio deve essere la casa di preghiera per tutte le genti, mentre è stato ridotto ad un covo di ladri”.
“Sarà come fuoco e come lisciva”. Due immagini efficaci: il fuoco del fonditore e la lisciva dei lavandai. La Parola di Dio è una parola di fuoco, dunque, che brucia ogni scoria. Il profeta usa anche l’immagine della lisciva, un composto naturale, economico e oggi diremmo ecocompatibile utilizzabile per la pulizia del bucato, delle stoviglie e degli ambienti di casa. Potremmo dire che la parola di Dio, che è quella dello Spirito divino, toglie, o meglio strappa via ogni carnalità supponente, frutto di un ego borioso e ridicolo.
Viene istintiva una domanda: ancora oggi, nelle nostre assemblee liturgiche, non c’è la necessità del fuoco dello Spirito e della purificazione, attraverso cui la comunità viene resa nuova? Ci si riferisce alla Parola del Signore, la cui ricchezza di grazia matura nel cuore dei credenti e la purificazione (la “lisciva”) rinnova ogni giorno la comunità. Il pane eucaristico, spezzato e condiviso, è grande segno di questa presenza dello Spirito e della purificazione che ci viene data. Non dobbiamo perciò dimenticare che le deformazioni che Malachia e Gesù rimproverano al cammino di credenti si possono perpetuare ancora tra noi, oggi.
Forse dovremmo, più che soffermarci sugli aspetti negativi di una chiesa disfatta e di una società corrotta, richiamare anzitutto le parole dell’apostolo Paolo quando scrive che il Salvatore Gesù si è reso “in tutto simile ai fratelli”: la solidarietà di Cristo con tutta la famiglia umana non ha limiti; nel suo contatto personale con la miseria e la sofferenza umana Gesù “non si vergogna di chiamarli fratelli”. Qualunque sia la loro miserabile condizione!
Infine, dovremmo vivere di speranza, fondata sulla parola di Dio: Luca dà ampio spazio alla presentazione del “Cristo del Signore”, come “salvezza, preparata da Dio davanti a tutti i popoli, luce per rivelarti alle genti”. Così lo proclama Simeone, che era un “uomo giusto e pio”, “mosso dallo Spirito”, che “era su di lui”. La parola di Simeone, illuminato dallo Spirito, ci offre una sintesi del disegno di Dio per la salvezza di tutti i popoli: Cristo è la luce che Dio ha scelto per rivelarsi alle genti.
Simone che prende in braccio il Bambino e Anna che condivide con altri la sua gioia per questo neonato speciale sono il ritratto di una vecchiaia serena, sono simboli di speranza. Sono assieme, un bambino e due anziani sereni e contenti: passato e futuro, esperienza e speranza di vita, un incontro felice tra generazioni. Simeone ed Anna sanno “vedere” in quel Bambino quello che gli altri non vedono. Simeone vede nella morte non la fine ma il compimento della sua vita. Anna, 84enne, ci offre un esempio bello, tipico della vita di tanti anziani: si sente utile, serve, prega e trasmette tanta gioia di vivere.
Simeone e Anna sono due credenti anziani, in cui anche io dovrei rispecchiarmi: talora mi sento troppo amareggiato, dando l’idea di essere un perdente. Come posso esserlo se credo nella Luce potente di un Dio che ha già sconfitto le tenebre? Lo stesso Cristo ha detto: “Fatevi coraggio, io ho vinto il mondo!”.
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