Se tu ti ostini, io ancora di più…
Se tu ti ostini, io ancora di più…
Pensavo – ma ogniqualvolta rimango deluso e “ferito” – che almeno davanti a 5 mila ragazzi ti sciogliessi un po’ con parole immerse nella bontà di quel Pastore, che è anzitutto immagine di quel Dio Padre (o Madre) che raccoglie sotto il suo manto celeste i suoi figli prediletti, che stanno affrontando l’inizio della loro adolescenza.
Che ogni nuova avventura comporti rischi e pericoli, lo sappiamo tutti, ma non era il caso di insistere quasi con un sadismo fuori posto, e ci sei di nuovo cascato (forse è una tua innata debolezza!), parlando a raffica di paure e di mostri infernali, dipingendo un quadro da incubo a dei pre-adolescenti, che sono arrivati a Roma, esuberanti di vita, bisognosi di una nuova primavera che meteorologicamente quest’anno è in ritardo. E tu ti diverti quasi ad allontanarla dai loro sogni?
Talora mi chiedo, e anche io faccio un serio esame di coscienza quando tengo le omelie festive: che cosa di “buono” sto dicendo? dalla mia bocca e dal mio cuore quante parole escono che attingono al Verbo di quel Cristo che si arrabbiava di brutto quando vedeva gli apostoli allontanare quei “piccoli” che volevano essere da lui accarezzati con una benedizione particolare. Gli studiosi fanno notare che il verbo usato da Marco (10,14) (ἠγανάκτησεν) significa lamento, indignazione, sdegno, anche collera, da parte di Gesù nei riguardi del gesto dei suoi discepoli, ma anche in Gesù dolore, sofferenza interiore.
Se è vero che i ragazzi assistono ogni giorno a tante cose brutte, in casa, a scuola, ecc., proprio per questo avrebbero bisogno di validi e positivi educatori e maestri, per non dire buoni pastori, più che di genitori ansiosi, severi, privi di quel minimo senso paterno o materno di chi accompagna aiutando i più giovani a saper cogliere in loro la sorgente divina: questo significa educare positivamente!
E tu che fai? Ti diverti a mortificare i germogli, bruciandoli con il tuo sadismo? Ma che “buon pastore” sei?
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Pellegrinaggio Preaodolescenti Diocesi di Milano
ROMA – Basilica di san Pietro – 2 aprile 2024
L’incontro che vince le paure
1. Si sa che le paure inquietano la vita.
Sono presenti come quegli incubi infantili che spaventano i sogni, si fanno sentire come quei rumori inquietanti che abitano nel buio della casa e delle anime, ti paralizzano incrociando i prepotenti che minacciano in luoghi impensati.
Le paure abitano nelle case di tutti e in ogni parte della città e della vita.
Nelle vite dei ragazzi e delle ragazze, nelle vite dei vecchi, nelle vite dei prepotenti e dei deboli, dei poveri e dei ricchi, dei personaggi famosi e invidiati e della gente qualsiasi.
Non meravigliarti se hai paura. Tutti hanno qualche paura.
Di che cosa hai paura?
2. L’incontro che vince le paure.
Noi siamo venuti a Roma e ci troviamo in questa basilica per celebrare l’incontro che vince le paure. Questa è la fede che vogliamo professare, proprio qui.
Che luogo è questo?
È la basilica di san Pietro. Pietro, il pescatore di Galilea che ha seguito Gesù, è venuto fino a Roma per annunciare che Gesù è risorto e dà vita a un mondo nuovo. Ma qui a Roma Pietro ha avuto paura. Si dice che abbia intuito le minacce dei potenti. Perciò – dicono – ha pensato di lasciare Roma e ha preso la Via Appia antica per fuggire la paura.
Ma là sulla strada ha incontrato Gesù. Pietro ha chiesto: Domine, quo vadis? E Gesù: Vengo qui per essere di nuovo crocifisso.
È tornato, è stato catturato, crocifisso e sepolto in questo luogo in cui stiamo celebrando.
Celebriamo l’incontro che vince le paure.
2.1. La paura di non essere adatto alla vita. La vita è troppo impegnativa e io non valgo niente. Me lo dice il mio papà che si vanta delle sue imprese alla mia età; me lo dicono i professori che mi squalificano; me lo dicono i miei amici che non mi stimano e mi cercano solo quando interessa a loro.
Nell’incontro con Gesù riceviamo lo Spirito Santo (battesimo e cresima): siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza (Cfr 1Cor 1,4-9). Hai una missione da compiere!
2.2. La paura di essere solo. Non merito di essere amato. Non sono importante per nessuno. Anche i miei genitori hanno da pensare ai loro guai e alle loro beghe. Se sto a casa, nessuno mi cerca. Se manco nessuno si accorge.
Nell’incontro con Gesù riceviamo la sua promessa e la sua vita: io sono con voi tutti i giorni. Vivi in comunione con Gesù e diventi amabile perché cominci ad amare, piuttosto che a pretendere di essere amato.
2.3. La paura della morte. L’abisso del nulla è come un mostro che apre le sue fauci orribili e mi vuole inghiottire. Ha già inghiottito mio nonno, un mio amico, un mio fratello… Non c’è scampo.
Nell’incontro con Gesù si rivela che la vita non va a finire nella morte, ma nella gloria. Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato (At 4,10).
NOTABENE
Ho letto e mi hanno riferito che prima dell’omelia avresti invitato i ragazzi a usare la mano destra per fare il segno della croce e di farlo bene. Hai ragione se ci inviti a farlo bene. Mi piace talora rileggere un preziosissimo libretto, l’avevo acquistato in terza liceo, nel lontano 1957, dal titolo “I santi segni”, scritto nel 1927 da Romano Guardini. E a proposito del segno della croce il famoso teologo italiano naturalizzato tedesco scrive:
DEL SEGNO DELLA CROCE
Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Senti come esso ti abbraccia tutto? Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l’animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, corpo e anima, ti raccoglie, ti consacra, ti santifica. Perché? Perché è il segno della totalità ed è il segno della redenzione. Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce Egli santifica l’uomo nella sua totalità, fin nelle ultime fibre del suo essere. Perciò lo facciamo prima della preghiera, affinché esso ci raccolga e ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera affinché rimanga qui in noi quello che Dio ci ha donato. Nella tentazione, perché ci irrobustisca. Nel pericolo, perché ci protegga. Nell’atto della benedizione, perché la pienezza della vita divina penetri nell’anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa. Pensa quanto spesso fai il segno della croce. È il segno più santo che ci sia. Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto l’essere tuo, corpo e anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, e tutto diviene irrobustito, segnato, consacrato nella forza di Cristo, nel nome del Dio uno e trino.
Pretendo troppo dai miei superiori che almeno siano coerenti? Tu, vescovo Mario, come fai il segno della croce all’inizio della Messa? A me sembra uno sgorbio!
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