Il Card. Dionigi Tettamanzi e… la sobrietà dimenticata

Il 5 agosto del 2017 moriva a Triuggio il cardinale Dionigi Tettamanzi.
I ricordi anche personali sono tanti, ma non sto qui di nuovo a elencarli.
Vorrei invece riproporvi un tema a lui assai caro, quello della sobrietà, oggi di nuovo scomparso in quell’efficientismo, idolo della necessità in tutto ad ogni costo, che si sta rivelando il vero artefice di emergenze che hanno nomi diversi. Pensate alla guerra.
Ecco anzitutto un articolo preso da www.vorrei.org.
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Tettamanzi a Monza:

la sobrietà nella vita politica

di Sergio Chivas Civati
19 Gennaio 2009
Ogni anno, da sette anni, il Cardinale Tettamanzi incontra gli amministratori e i politici della sua Diocesi di Milano.
Venerdì 16 gennaio nell’Auditorium della Facoltà di Medicina dell’Ospedale di Monza l’arcivescovo ha presentato la sua lettera: “La sobrietà dimenticata” rivolgendosi agli amministratori della Brianza.
A differenza di quanto è avvenuto giorni fa, nell’incontro di Varese, nel quale Tettamanzi fu contestato vivacemente da un gruppo di leghisti (confermando la “scomodità” del personaggio), da noi nessuna contestazione, ma una certa indifferenza viste le scarse presenze. Per Monza erano presenti Sindaco, Vicesindaco e altri tre assessori mentre nel resto della platea era maggioritaria la presenza dell’area del centrosinistra brianteo.
È stato comunque singolare vedere un centinaio di amministratori, educati e disciplinati, in silente ascolto, comportamento inusuale per dei politici spesso travolti da una nevrotica “ansia da prestazione”, costellata di parole, riunioni e rumori.
Tettamanzi da vicino appare come uomo modesto (nell’accezione più positiva), bonario (nelle sembianze fisiche ricorda Papa Giovanni), semplice nel comunicare al punto dal rischiare di essere percepito dagli ascoltatori come un parroco di campagna. Insomma, nel paragone con il suo predecessore Cardinal Martini, persona dall’alto livello intellettuale e comunicativo, dovrebbe uscire annullato. Invece, nulla di tutto questo. Infatti la sua relazione, con tatto ma con coraggio, ha affrontato temi di estrema attualità riguardo alla crisi “della politica e della società” che stiamo vivendo, lo ha fatto in modo quieto ma forte, attento ma provocatorio. Il Cardinale ha svolto una comunicazione centrata su un richiamo molto forte alla politica, della necessità che questo mondo assuma in sé il valore della “sobrietà”.
Sobrietà dei politici ed amministratori, come antitodo al bisogno di esserci, comparire, dello spreco di parole, al bisogno di dichiararsi, in qualsiasi occasione e su qualsiasi argomento.
Sobrietà nell’esercizio del potere, in alternativa al cumulo delle cariche, del potere che si ritiene di avere una volta per sempre, all’occupazione di posti, al rischio di “fare troppo e male”.
Sobrietà nello stile di vita, attenti alla naturalezza ed essenzialità, persone quindi capaci di rendere credibile il rapporto con la gente come condizione per entrare in relazione di ascolto e di comprensione con i cittadini della singola comunità locale.
In un secondo passaggio dell’intervento, ha posto la riflessione sulla “questione morale in politica” che attraversa il nostro paese. Il Cardinale si domanda se questa questione, non nasca da un uso spregiudicato del potere e dalla mancanza di una reale moralità della politica innanzi tutto dei singoli. Non bastano “nuove regole” o leggi per affrontare il problema, ma c’è bisogno invece di formazione alla politica di persone intelligenti, preparate, oneste e sobrie; c’è bisogno di un grande e giusto ricambio delle classi dirigenti di chi fa politica, in particolare con una nuova generazione di amministratori.
Un terzo e importante passaggio della “lettera”, ha riguardato la relazione tra sobrietà come via privilegiata che conduce alla solidarietà. Solidarietà come valore non solo cristiano, ma profondamente umano: «l’ostentazione di grandezza e ricchezza crea una distanza, erige una barriera, finisce per dividere; non così la sobrietà che conduce alla condivisione e apre all’accoglienza; servono quindi alla politica “testimoni autentici” di solidarietà».
Solidarietà come compito fondamentale di amministratori nel mantenere saldo e accresciuto il legame sociale e comunitario del territorio che gli è affidato.
«Mi piacerebbe che tornassimo ad usare con libertà e abbondanza la parola solidarietà, senza però logorarla. In passato ne abbiamo forse abusato, oggi sembra scomparsa dal nostro vocabolario, è caduta in disuso, dà perfino fastidio…i poveri sono poveri. Non sono diversi a seconda del colore della pelle! E i bambini sono i bambini: non sono diversi a secondo dalle provenienze dei genitori e delle loro condizioni sociali ed economiche».
Un passaggio “alto” e delicato, il Cardinale lo ha affrontato ponendo grandi e attuali domande che riguardano l’attuale crisi e il modello di sviluppo non più sostenibile: «da molte parti e con grande enfasi si sollecita la necessità di sostenere il più possibile i consumi…”..ma in che misura? E ancora… fino a che punto rispondiamo a troppi bisogni inuitili, indotti da una pubblicità più che ingannevole? …oppure gli economisti e gli amministratori dovrebbero aiutarci a individuare i settori per i quali è giusto crescere: la medicina, la cultura, la ricerca scientifica, l’ecosostenibilità, l’agroalimentare per dare cibo a tutti».
In questo passaggio pone la questione della crescita, non come dato quantitativo, ma qualitativo. Perché e come crescere e in quale giusta misura? «Forse nessuno ci sta seriamente pensando, perché ci lasciamo travolgere dal meccanismo irrefrenabile del mercato. Una economia seria non può non porsi le domande e cercare la risposta, così come una politica seria». In questa ottica c’è un richiamo legato anche al come gli amministratori locali potrebbero e dovrebbero porsi anch’essi la qualità e il senso dello sviluppo: «Come amministratore ho elaborato una giusta gerarchia di bisogni veri della mia comunità? oppure ho ceduto a qualche insistenza di troppo di chi aveva più influenza o più potere?..ho messo in cima alle mie scelte i più debole oppure ho agito solo spinto dal desiderio di ottenere un facile consenso?»
Tettamanzi ha poi concluso la sua “lettera” con una citazione per certi versi stupefacente, una “fotografia“ scattata sessanta anni fa ma attualissima: «Vi è poi la tentazione di una potente tentazione che viene dai beni temporali e dalle ricchezze economiche. La loro conquista la si ottiene nella concezione materialistica della vita, sia proletaria che capitalista… per il loro maneggio si disintegra il concetto di onestà: nel pagamento dei tributi, nel gioco di borsa, nella speculazione monopolista, nell’imbroglio commerciale, nelle bustarelle clandestine… nell’interesse per giustificare ogni scorrettezza possibile senza incorrere nel codice penale. Poi il loro godimento: il lusso, la vanità, il piacere, il divertimento, la modanità sono diventati idoli e cui l’uomo si deve sacrificare, la suggestione modana si fa collettiva, la febbre dei sensi diventa endemica, la vita gaudente un ideale». Parole del 1961 dell’allora cardinale Giovanni Battista Montini, vescovo di Milano poi diventato Papa Paolo VI.
In questa fase di grandi disorientamenti, frammentazioni, distanze e abbandoni al senso delle scelte politiche e sociali, credo che interventi culturali ed educativi o propriamente “pre-politici”, al di la da dove provengano (filosofi, preti, sociologi etc.), siano assolutamente necessari, per costringerci a misurarci con un quadro di analisi, domande, sistemi di valori “alti”, che ci permettano di “respirare” e continuare a dare senso e continuità ai nostri impegni.
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Il tema della sobrietà verrà ripreso nel Discorso alla Città del 2009, la vigilia della festività di S. Ambrogio. Ecco il brano.

Non c’è solidarietà senza sobrietà

Ed ora, proprio nel contesto di Milano chiamata a un supplemento di solidarietà, giungo a un’affermazione forse inattesa: quella riguardante la sobrietà. Sì, la nostra Milano, come tutte le città e forse ancor più delle altre, ha bisogno di sobrietà. Vorrei ricordare quanto dissi nell’omelia della S. Messa della notte dell’ultimo Natale in Duomo quando rivolsi un invito alla conversione: «C’è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia prima ancora che di virtù».
A distanza di quasi un anno, sento di dover ripetere queste parole, invitando a recuperare la fatica e la gioia della sobrietà. La sobrietà è possibile, in essa c’è il segreto della vita buona e bella, anche se il cammino per arrivarvi è difficile e chiede che si cambi lo stile di vita. Con la sobrietà è in questione un “ritornare”, come se si fosse smarrita la strada. Ci siamo lasciati andare a una cultura dell’eccesso, dell’esagerazione.
Soprattutto la sobrietà è questione di “giustizia”. Siamo in un mondo dove c’è chi ha troppo e chi troppo poco, e anche nella nostra Città c’è chi sta molto bene, mentre sempre più aumenta il numero di chi fa più fatica. La sobrietà ci aiuta a costruire la giustizia, perché decide, sceglie e agisce secondo la giusta misura, e dunque sempre con l’attenzione vigilante ai diritti e doveri che si hanno nei riguardi sia di se stessi che degli altri, superando sempre eccessi e sprechi. In particolare la “giusta misura” nell’uso dei beni rende la sobrietà, da un lato nemica dell’avarizia, dall’altro amica della liberalità, ossia di una pronta disponibilità alla condivisione dei beni.
Questa stretta connessione tra la sobrietà e la giustizia ci aiuta a comprendere come la sobrietà sia una via privilegiata che ci conduce alla solidarietà. Solo chi è sobrio può essere veramente solidale. Infatti la sobrietà crea gli spazi: nella mente, nel cuore, nella vita, nella nostra casa… La sobrietà apre agli altri e ridimensiona l’importanza eccessiva che diamo a noi stessi; ci apre agli altri e in ogni cosa ci interpella a partire dal bisogno altrui.

La sobrietà favorisce lo sviluppo

La sobrietà non è solo un valore personale e individuale, è anche un valore  sociale, comunitario: coinvolge la Città come tale.
Una delle più frequenti obiezioni alla sobrietà va al cuore della questione: l’industria e il terziario tengono solo se ci sono consumi, il cui calo comporta il calo della produzione. Ora la sobrietà pare esigere una riduzione dei consumi e, se attuata, andrebbe contro lo sviluppo, divenendo fonte di gravi problemi a cominciare dalla disoccupazione. Dunque la sobrietà potrebbe apparire un valore estraneo per Milano! Sobrietà, però, non significa non consumare e non produrre. È piuttosto “utilizzare” non in un’ottica di spreco, bensì di saggio impiego, finalizzando così la produzione e i servizi ai veri bisogni dei singoli, per crescere nel benessere condiviso.
La sobrietà muove dalla consapevolezza che le risorse sono limitate e che vanno quindi ben utilizzate. Essa stimola l’intelligenza e la capacità di ciascuno perché sappia usare al meglio le opportunità che vengono offerte per il singolo e per gli altri, per l’intera umanità. La sobrietà non danneggia l’economia ma è a favore di una sua realizzazione sapiente perché mette al centro la persona e le sue esigenze più vere. È questo l’insegnamento della Chiesa riproposto nell’enciclica sociale Caritas in veritate.

Il testo integrale 

La sobrietà dimenticata

1 Commento

  1. Fausto ponton ha detto:

    Parole sante! venissero ascoltate e messe in pratica!

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