Salvini e la magistratura, dall’amore all’odio all’amore (secondo le convenienze)

salvini giudici
da L’Unità
Giacomo Rossi
4 maggio 2016

Salvini e la magistratura,

dall’amore all’odio all’amore

(secondo le convenienze)

Il rapporto di Salvini con i magistrati non si direbbe idilliaco, a meno che non serva ad attaccare gli avversari politici
A Matteo Salvini c’è voluto davvero poco a rivalutare il ruolo della magistratura. E’ bastata un’inchiesta che coinvolgesse il Pd per dare al leader del Carroccio una nuova onda da cavalcare. D’altronde, per chi si appresta ad aprire un nuovo blog intitolato “il Populista” questo modus operandi dovrebbe essere pane quotidiano. Infatti, Salvini sembra piuttosto pronto a cambiare idea sul lavoro svolto dalla magistratura appena se ne presenta l’occasione.
Ieri – in seguito ai fatti che hanno portato all’arresto del sindaco di Lodi, Simone Ughetti – chiedeva baldanzoso se la “prossima riunione del Pd sarà a San Vittore”. Un sarcasmo che suona strano dalla bocca di chi, nemmeno due mesi fa si ergeva a paladino del garantismo e in prima fila nella lotta contro quella “schifezza che è la magistratura italiana”.
“Se so che qualcuno, nella Lega, sbaglia, sono il primo a prenderlo a calci nel c… e a sbatterlo fuori. Ma Edoardo Rixi è un fratello e lo difenderò fino all’ultimo da quella schifezza che è la magistratura italiana. Si preoccupi di mafia e camorra, che sono arrivate fino al nord”. Matteo Salvini lo aveva detto dal palco del congresso piemontese leghista riferendosi a Rimborsopoli in Liguria, dove l’assessore del Carroccio risultava tra i rinviati a giudizio.
Una frase che scatenò un botta e risposta sopra alle righe con il presidente della Cassazione e il procuratore generale. Salvini rispose con un post su Facebook che non correggeva le sue affermazioni, ma anzi, le ribadiva.
“Amici, scappate subito da questa pagina!!!!! Perché? Perché per il primo presidente della Cassazione, il signor Giovanni Canzio, e per il procuratore generale, il signor Pasquale Ciccolo, Matteo Salvini è un pericolo per la democrazia”. “Sticazzi, sono un pericolo per la democrazia. Solo perché ritengo che la giustizia italiana faccia schifo? Forse i pericolosi sono altri”
Dalla pagina Facebook di Matteo Salvini
E insomma il rapporto di Salvini con i magistrati non si direbbe idilliaco, a meno che non serva ad attaccare gli avversari politici. Il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, ha detto chiaramente che nella vicenda di Lodi ha piena fiducia dei magistrati, mentre Salvini… Beh, Salvini guarda un po’ come tira il vento. Ora sembra sfruttare l’onda, domani chissà. Poche settimane fa, ad esempio, si dovette scusare per un retwitt sul proprio account ufficiale in cui un utente suggeriva di “sparare” ai “giudici comunisti di merda”. Colpa dello staff, si giustificò Salvini in un comunicato, ma l’entità dell’errore fa ben capire qual è l’ambientino che fa compagnia al leader leghista.
Che poi non sembra troppo diverso dall’ambiente che aveva contribuito a edificare Umberto Bossi. Il leader storico che con la giustizia pure non aveva un gran rapporto (salvo osannarla quando Mani Pulite colpiva Dc e Psi). Nel lontano ’93, disse che la vita di un magistrato valeva solo 300 lire, ossia il prezzo di una pallottola. Una “battuta” tanto famosa quanto infelice. Una battuta che è andata ad alimentare la lunga serie di attacchi al vetriolo contro la giustizia italiana. All’epoca le escandescenze del Senatùr trovavano felice sponda nel populismo forzista del Cavaliere e ora sembrano trovare una valida eredità nella figura del leader con la felpa.

4 Commenti

  1. zorro ha detto:

    O meglio con gli amici interpreto la legge con i nemici la applico

  2. LANFRANCO CONSONNI ha detto:

    ha ragione Gianni, ma con salvini non puoi entrare nel merito: E’ la strategia di berlusconi: non avere un opinione e dire ogni volta ciò che conviene, senza curarsi di quanto detto il giorno prima, contando sul fatto che in un mare di informazioni e parole la gente dimentica in fratta.

  3. Giuseppe ha detto:

    Quando, verso la fine del secolo scorso scoppiò lo scandalo di tangentopoli, gli italiani improvvisamente scoprirono, come risvegliandosi da un torpore pluriennale, che la classe politica dell’epoca non era composta interamente da persone irreprensibili e del tutto degne di fiducia, anzi, lì per lì si ebbe addirittura l’impressione che, una volta scoperto il vaso di pandora, ben pochi si sarebbero salvati, uscendo indenni dalle indagini della magistratura. La corruzione dilagante, infatti, non risparmiava quasi nessuno, perché gli indagati appartenevano a partiti dell’intero arco parlamentare, senza grandi distinzioni tra maggioranza ed opposizione. Cominciò a serpeggiare, così, un senso di disaffezione e di disgusto verso le istituzioni e a prendere piede quel distacco tra il mondo della politica e paese reale che col tempo si è accentuato e continua a caratterizzare anche i nostri giorni. Se fino ad allora le elezioni politiche avevano sempre registrato una partecipazione massiccia, toccando percentuali da capogiro, di colpo i seggi delle consultazioni elettorali registrarono un preoccupante crollo dell’affluenza e quasi la metà degli aventi diritto al voto hanno preso a disertarli. Fu allora che, come sempre succede nei momenti di crisi, si moltiplicarono i movimenti di protesta, come la Lega, mentre i demagoghi come Berlusconi approfittavano della situazione camuffandosi da garanti della legalità e cavalcando il malcontento montante in modo da ottenere successi significativi. Gli avvenimenti successivi, però, ci hanno raccontato tutta un’altra storia e, chi non si è lasciato abbagliare dalla propaganda e dagli slogan tanto cari ai populisti di ogni risma e di ogni tempo, ha potuto rendersi conto che l’essere umano non cambia a seconda della sua tessera di partito e qualunque sia il suo politico di riferimento, perché la sua fragilità e le sue debolezze sono innate e non risparmiano nessuno, rendendoci tutti soggetti a sbagliare e a cedere alle tentazioni. E non c’è da stupirsi se, nel perenne gioco delle parti che caratterizza quella grande giostra che è l’ambiente politico, i censori di ieri si trasformassero nei disonesti di domani.

  4. GIANNI ha detto:

    Non si possono usare due pesi e due misure. L’unico modo, a mio giudizio, corretto per valutare le cose è capire se sono state rispettate o meno le norme nel singolo caso, tanto che, più che parlare di giudici buoni o cattivi, idonei o inidonei, secondo le convenienze politiche, bisognerebbe prescindere da tutto questo e, anche se so di dire una cosa teorica, bisognerebbe giudicare senza quasi neppure sapere chi sia l’indagato o l’imputato.
    Faccio degli esempi: c’è stato un abuso della carcerazione preventiva?
    Ebbene, questo è da condannare, che l’accusato sia un ultracomunista, Berlusconi, o chiunque altro, leghista ecc.
    Invece c’è stato un uso corretto della giustizia, con equilibrio e senza abusi, insomma secondo le norme?
    Ed allora la magistratura ha solo fatto il suo lavoro, senza appunto guardare in faccia a nessuno.
    Insomma bisogna guardare al merito delle cose, anche perchè, diversamente, lo stesso provvedimento di uno stesso magistrato rischia di divenire corretto, se usato contro avversari, ma ingiustificato, se usato contro la propria parte politica.
    Insomma, il famoso due pesi e due misure, che bisognerebbe sempre evitare.

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