Bestie! Bestie! Bestie!
Matteo Falcinelli dentro la centrale di polizia di Miami in un frame delle bodycam degli agenti
da www.quotidiano.net
Arresto choc a Miami:
studente italiano incaprettato in cella
per 13 minuti.
La famiglia ora vuole giustizia
Il calvario di Matteo Falcinelli, 25 anni, in Florida per frequentare un Master. Le violenze riprese dalle bodycam degli stessi agenti
Roma, 4 maggio 2024 – Prima l’hanno sbattuto a terra premendogli il volto contro l’asfalto con il ginocchio dell’agente premuto contro il collo, la stessa manovra che in Minnesota uccise l’afroamericano George Floyd, e l’hanno arrestato. Poi, una volta in una cella di transito alla stazione di polizia di North Miami Beach, in quattro lo hanno incaprettato sottoponendolo all’Hogtie restraint. Con una cinghia hanno legato i piedi alle manette dietro la schiena e tirato, tirato tra urla strazianti e sovrumane fino a quando Matteo Falcinelli, studente italiano di 25 anni, li ha supplicati di smettere perché si sentiva letteralmente spezzare. “Please, please, please” parole pronunciate con un filo di voce tra lacrime e strazi indicibili. E cosi, con il rischio di morire, lo hanno lasciato per più di tredici minuti, quando qualcuno in quella posizione smette di respirare
È il calvario difficile da raccontare, impossibile da comprendere, a cui è stato sottoposto un ragazzo originario di Spoleto, negli Stati Uniti per frequentare il master alla Florida International University (al Biscayne Bay Campus), da parte della polizia americana. Da sempre nell’occhio del ciclone per abusi ripetuti che spesso si sono rivelati vere e proprie tragedie e hanno incendiato l’opinione pubblica di tutto il mondo.
Le scene di violenza che raccontiamo sono tutte riprese nella sua drammatica crudezza dalle bodycam indossate dagli agenti, anche quella all’interno della stazione di polizia, che il legale americano di Falcinelli è riuscito ad ottenere dalla procura solo il 12 aprile nell’ambito del processo, di fatto terminato con l’ammissione al PTI (Pre trail intervention), una sorta di programma rieducativo.
Una storia amara che inizia la notte tra il 24 e il 25 febbraio scorso ma che la famiglia di Matteo ha voluto denunciare solo ora che il giovane ha accettato il programma disposto dal giudice che farà decadere i quattro capi di imputazione per resistenza a pubblico ufficiale, opposizione all’arresto senza violenza e violazione di domicilio. Accuse per le quali il 25enne era stato arrestato nel corso di un intervento notturno in un locale da agenti fuori servizio, emergerà dal verbale. Prima i Falcinelli avevano paura di ritorsioni.
Cosa sia accaduto esattamente quella notte sarà materia di indagine: la famiglia vuole sporgere formale denuncia per gli abusi, le dichiarazioni non corrispondenti alla verità e rese sotto giuramento, l’arresto illegittimo e le torture subite dal giovane e appellarsi al Quarto emendamento.
Dalla prima ricostruzione della famiglia emerge che Matteo entra nel locale intorno alle 22:15: è solo, giù di corda dopo un brutto incidente del novembre precedente e non esce con gli amici per lo Spring break, l’inizio delle vacanze di primavera. Ordina un drink, rum e coca, ma ben presto si rende conto che è uno strip bar, racconterà poi. Alcune ragazze gli offrono sesso: 500 euro mezz’ora, mille un’ora ma lui rifiuta. E in effetti a guardare il sito del locale a nord di Miami si pubblicizza un bar per intrattenimento di uomini con le più belle donne della Florida del sud.
Il ragazzo resta al bancone e prima di allontanarsi per andare in bagno ordina un altro drink per lui e per una ragazza conosciuta sul posto. In bagno si accorge che gli mancano i due cellulari. Inizia a cercarli, chiede dove siano, e dopo una agitata ricerca la stessa ragazza gli riferisce che i suoi cellulari sono stati ritrovati all’ingresso del bar. Matteo li va a ritirare, e solamente dopo ritorna al bar per prendere i drink ordinati precedentemente. I drink erano già pronti sul bancone, li beve insieme alla ragazza e da qui in poi i ricordi si fanno offuscati. Non ricorda come arriverà all’uscita ma lì c’è già una pattuglia della polizia con due agenti, come emerge dal rapporto ufficiale, altri quattro ne arriveranno solo dopo. I poliziotti scriveranno di essere intervenuti perché il ragazzo ha creato problemi nel locale tanto da essere sbattuto fuori e di essersi opposto all’arresto, facendo resistenza agli agenti perché rivoleva indietro i 500 dollari spesi ma Matteo sostiene di non aver mai pagato quella cifra.
Quello che accade all’esterno è ripreso in parte dalle bodycam. Matteo è agitato, inveisce contro i poliziotti: ripete che non ha fatto niente, chiede di riavere i suoi telefoni. Chiede i nomi degli agenti perché li vuole denunciare ma quando punta il dito – questa la sua ricostruzione – contro la targhetta con il nominativo stampato sulla divisa, viene sbattuto a terra. “Non ci toccare sennò sono guai” lo minacciano. È a quel punto che Falcinelli finisce a terra con le mani dietro la schiena e il ginocchio del poliziotto a premere sul collo. Poco dopo le stesse immagini rimandano l’arrivo di uno dei buttafuori che riporta i due cellulari agli agenti. Verranno appoggiati accanto al ragazzo costretto a terra: proprio quelli che Matteo rivoleva indietro. Sono ormai le 3 e 38 del mattino. Falcinelli viene portato alla stazione di polizia. È lì che avviene la tortura. La body cam di un poliziotto mostra lo studente dentro una cella con le vetrate: urla chiedendo che vengano rispettati i suoi diritti. “Io non ho diritti?”, grida.
Subito dopo avviene l’irruzione prima di tre poliziotti, poi del quarto con indosso la telecamera che si infila un paio di guanti neri di lattice. Matteo viene buttato a terra, con una cinghia gli legano le caviglie, gli stringono le manette con le chiavi e collegano la cinghia strettamente alle mani. Lo tirano con forza e poi lo lasciano su un fianco ma il ragazzo finisce nuovamente pancia a terra mentre gli agenti richiudono la cella. Nel corso della giornata viene portato in carcere, prima in ospedale.
Saranno gli amici del college a trovarlo nelle ore successive. Quando non lo vedono chiamano gli ospedali e infine cercano nel sito online dove negli States vengono registrati tutti gli arresti. C’è la sua foto segnaletica: il volto sanguinante del ragazzo, i dati anagrafici e l’indicazione della razza: white. Per due dei quattro reati di cui è accusato è già riportata la cauzione: 500 dollari ciascuno. Gli amici pagheranno 3-4 mila dollari e martedì 27 febbraio Matteo è libero ma sotto choc. Poche ore dopo viene ricoverato per due giorni in un ospedale a causa delle ferite riportate. Successivamente, il 29 febbraio viene trasferito in un ospedale psichiatrico per cinque giorni dopo molteplici tentativi di suicidio avvenuti in seguito alla tortura. I compagni del college riusciranno ad avvertire la madre trovando il suo numero nel computer di Matteo. Vlasta Studenicova, la mamma italo-slovacca dello studente si precipita a Miami appena possibile dove si trova tuttora per assistere il figlio e preparare la denuncia contro la polizia americana. “Sono pronta a incatenarmi, quello che hanno fatto a Matteo non deve succedere mai più”
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da www.quotidiano.net
Miami,
l’ira della madre di Matteo Falcinelli:
“Gli hanno distrutto la vita. Daremo battaglia”
La madre dello studente italiano dopo il violento arresto del figlio negli Usa è senza pace: “Ora ha paura ad uscire di casa “Mio figlio sta molto male, non succeda mai più”
Roma, 5 maggio 2024 – “Quello che ha subito mio figlio non dovrà succedere mai più a nessun’altra persona al mondo, tanto meno a un ragazzo di 25 anni, studente universitario all’estero. A Matteo, ragazzo solare, intraprendente e pieno di vita hanno tolto il sorriso e distrutto i sogni portandolo addirittura a cercare di togliersi la vita. E’ stato torturato: basta guardare i video per rendersene conto. Le azioni della polizia hanno rievocato in me le torture che la Gestapo attuava durante la Seconda guerra mondiale ai prigionieri e io andrò fino in fondo per ottenere giustizia”.
Le ferite al volto di Matteo Falcinelli
Vlasta Studenicova, nata in Slovacchia, con cittadinanza italiana, divorziata da uno spoletino è la mamma-coraggio di Matteo Falcinelli. Non si trovava negli Stati Uniti quando il figlio è stato arrestato e sottoposto a indicibili violenze, ma adesso è a Miami ad assisterlo e a dargli, insieme all’altro figlio Marco tutto l’amore e il sostegno di cui ha bisogno.
Come l’ha saputo?
“Sono stata avvertita da Marco, che si trovava in quel momento a Bologna: i compagni del college di Matteo sono riusciti a trovare il suo numero. Superato lo choc mi sono incollata al telefono per capire e gli amici di Matteo sono stati formidabili. Appena è stato possibile sono volata a Miami e ci ha raggiunto anche Marco”.
Come sta adesso suo figlio?
“Male, molto male. Gli hanno distrutto la vita. E’ seguito da psicologi e psichiatri. Inizialmente è stato ricoverato in un ospedale a causa delle gravi ferite che aveva riportato. In seguito è stato trasferito in un ospedale psichiatrico perché a rischio del suicidio – a causa delle brutali torture che gli sono state inflitte ha tentato di togliersi la vita più volte. Ancora adesso la notte sogna l’arrivo della polizia che lo tortura e si sveglia urlando. Lo devo sorvegliare giorno e notte”.
E dal punto di vista fisico?
“Ha danni ai nervi di entrambe le mani provocati dalle manette strette fino all’inverosimile, non gli circolava più il sangue: all’inizio non riusciva nemmeno a tenere una tazza in mano, e adesso non riesce ad aprire il tappo di una bottiglia ed ha entrambe le mani addormentate. Oltre a quello ha anche seri problemi al collo ed alla schiena”.
Si è rivolta alle autorità italiane?
“Sì, ho avuto un incontro anche con l’onorevole Andrea Di Giuseppe, il deputato italiano eletto per gli Stati Uniti, il quale ci ha subito messo in contatto con il consolato italiano dove poi ci siamo incontrati personalmente anche con il console”.
Adesso dove siete?
“A Miami, all’interno del campus universitario. Stiamo qui e Matteo evita di uscire, ha paura di qualsiasi cosa. Ha il terrore che possa succedere ancora”.
Che idea si è fatta?
“Dopo aver visionato le videocamere indossate dagli ufficiali di polizia forniteci soltanto pochi giorni fa, ho un forte sospetto… Vedremo”.
Matteo non è stato condannato…
“No, il giudice ha fatto cadere tutti i capi di accusa contro Matteo offrendo a mio figlio il programma che si chiama PTI (Pre Trial Intervention)”.
Cioè?
“Tanto per spiegare meglio, il 26 marzo alla prima udienza la procura non ha depositato “l’information” che sarebbe la formalizzazione dei capi d’accusa e non l’ha fatto nemmeno alla successiva del 28 marzo. Solamente in seguito sono stati formalizzati i presunti capi d’accusa: due per contatto con gli agenti, uno per violazione della proprietà privata del bar (Trespassing) e l’ultimo per resistenza senza violenza. L’accusa di trepassing è stata immediatamente ritirata dai gestori del bar. Per gli altri tre capi d’accusa la giudice ha ordinato alla pubblica accusa di riparlare con i poliziotti ma erano irrintracciabili. E la giudice ha deciso autonomamente di offrire a Matteo un programma detto PTI (Pre Trial Intervention). Non è un patteggiamento, nè un’ammissione di colpevolezza. E’ semplicemente la decisione dello Stato di non procedere in alcun modo e di far cadere tutte le accuse nei confronti di Matteo a fronte del completamento di un programma educativo. Di solito, come mi ha spiegato il nostro avvocato americano, a seconda della tipologia del soggetto, gli viene offerto un percorso che può variare da sedute psicologiche per soggetti con problemi mentali, oppure in caso di ubriachezza partecipare a incontri per evitare in futuro l’abuso di alcol o cose simili. Nel caso di mio figlio, che ha accettato il programma su consiglio del nostro avvocato, non gli è stata imposta nessuna particolare condizione, ovvero non ha nessun corso da frequentare. Semplicemente ha dovuto pagare 450 dollari, che sarebbe il costo amministrativo e mettersi in contatto per un periodo con il suo case manager telefonicamente o per email. Mi sembra tutto molto strano, anche la tempistica con cui il tutto si è svolto”.
E i video delle body cam?
“Abbiamo fatto richiesta più volte fino a quando finalmente a metà aprile la procura li ha trasmessi al nostro avvocato – tra l’altro il giorno esatto in cui Matteo è entrato nel Pti –. Da quelle riprese finalmente abbiamo scoperto cosa è accaduto quella notte e la verità dei fatti”.
Lei li ha visionati tutti più volte, cosa mostrano?
“Mostrano fatti completamente diversi da quelli descritti dagli agenti di polizia. Loro sostengono nel report che Matteo voleva rientrare nel bar per riprendere i 500 dollari che avrebbe speso. Sostengono di essere stati spintonati e che mio figlio aveva creato disordini nel locale, motivo per il quale sarebbe stato buttato fuori”.
E invece?
“Le telecamere inquadrano Matteo a distanza di circa due-tre metri dai poliziotti mentre cerca di riavere i suoi due telefoni che sarebbero rimasti all’interno del locale. Non c’è nemmeno una parola, né da parte di Matteo, né da parte degli agenti di polizia, in riferimento ai presunti 500 dollari. I cellulari per uno studente all’estero sono la vita: i soldi, la possibilità di chiamare un taxi, di rientrare al college e di accedere al portale universitario”.
Ma finisce arrestato…
“Chiede i loro nomi e nel momento in cui con il dito cerca di indicare il loro distintivo per verificare se quello fosse il Dipartimento della polizia, involontariamente probabilmente tocca il distintivo di uno dei poliziotti, cosa che fa scattare l’aggressione. Quando Matteo è a terra uno degli agenti gli mette il ginocchio sul collo, cosa che gli impedisce di respirare. Ed è in quel frangente che si avvicina in silenzio l’addetto alla sicurezza del bar e consegna, senza dire alcuna parola, ad uno degli agenti di polizia ambedue i cellulari di Matteo”.
E poi c’è quel video drammatico quando Matteo viene legato in cella. Deve essere stato terribile vederlo…
“Non si può vedere, per me è stato difficilissimo …. Per una madre è una sofferenza indescrivibile vedere il proprio figlio esposto a torture del genere, disumane ed atroci, e sentirlo urlare in quella maniera. Ho dovuto guardato quel video più volte per rendermi conto anche dei dettagli. Prima in quattro lo sbattono violentemente a terra con la faccia in giù, gli stringono le manette ancora più fortemente, gli legano brutalmente le caviglie con le cinghie, collegando poi le stesse alle mani e tirano le cinghie sempre più forte per circa quattro volte. Matteo emette terribili urla di tortura e vi assicuro che quelle urla non sono semplicemente urla di un dolore inflitto ad una persona, ma sono urla di un’atroce tortura. Matteo poteva morire: l’hanno lasciato in quel modo per più di 13 minuti”.
Quando rientrerete in Italia?
“Il prima possibile”.
Ha paura?
“Sì, tanta paura. Ma non avrò pace finché non avremo giustizia per mio figlio. Per questo ho bisogno dell’aiuto di tutti per portare avanti questa battaglia per i diritti umani e per condannare la tortura ad un essere umano”.
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