Delpini: la Chiesa del nuovo Papa? Unita, libera e lieta
Milano, 25 marzo 2017: papa Francesco in visita alla arcidiocesi ambrosiana, saluta l’allora vescovo ausiliare e vicario generale, Mario Delpini, davanti al Duomo – Siciliani
Premetto qualche riflessione, oramai d’obbligo trattandosi di Mario Delpini, verso il quale, secondo alcuni, sarei pieno di pregiudizi. A proposito, il termine “pregiudizio” significherebbe “fare un giudizio, prima…”. Il problema è che proprio sono i troppi “prima” che riguardano i comportamenti di Delpini a confermare i miei giudizi sul presente.
Che dire sull’intervista di Mario Delpini rilasciata al Quotidiano cattolico “AVVENIRE”, apparsa proprio ieri?
Di primo istinto: proprio un fenomeno questo Delpini, che trova anche il tempo di rilasciare una intervista, dopo i plurimi giornalieri impegni pastorali, che sfiancherebbero anche un bisonte! Come fa? Prima o poi cederà… Ma scherziamo? Si chiama Mario Delpini, la trottola impazzita, sempre ricaricata a dovere!
Eppure, tirare troppo la corda non va bene, nemmeno per il corpo. Prima o poi resterà secco, vittima del troppo dovere! Una lapide se la meriterà. In via tal dei tali… a Buggiolo!
Le sue visite pastorali, riprese in modo del tutto dissennato (ricordo sempre la risposta del card. Carlo Maria Martini alla domanda del suo successore, Dionigi Tettamanzi: “Che ne pensa delle Visite pastorali?”: “Non farle più, sono passati i tempi, richiederebbero troppe energie e troppi anni, e poi a che pro?”) hanno un ritmo forsennato, tanto più che si tratta di visitare Comunità pastorali con più parrocchie, e lui che fa? Organizza incontri anche divisi per ciascuna parrocchia che compone la stessa Comunità pastorale! Che genio, mio Dio! Ma c’è una novità che passerà alla storia. Per ogni visita pastorale, parte dal cimitero locale, e se ci sono due o tre cimiteri perché la comunità pastorale ha due o tre parrocchie, allora parte da ognuno dei due o tre cimiteri. Non racconto balle! Ma questa visita preliminare al cimitero sembra essere gradita al parroco, perché almeno lì è al sicuro dalle critiche, visto che i morti non possono parlare.
Parliamo dell’intervista. Avendo pregiudizi, devo per forza dire qualcosa di negativo, ma non voglio infierire, e mi limito alle due risposte che Delpini ha dato alle due domande dei giornalisti.
1. «Monsignor Delpini, mercoledì inizia il Conclave. Ci consenta anzitutto la domanda che si fanno in molti: le dispiace non esserci?». «Rispondo con una considerazione autobiografica. Sono nato in diocesi di Milano, e a Milano ho studiato e sono diventato prete, qui ho fatto la mia vita da sacerdote, e della diocesi di Milano sono poi stato nominato arcivescovo. In una parola, mi sento un “provinciale”. Già sono consapevole di essere inadeguato a questa missione di arcivescovo di Milano, figuriamoci se posso desiderare di essere là dove si prendono decisioni per la Chiesa tutta intera. Quindi, per completare la mia risposta, no, non mi dispiace. Quello che mi dispiace è sentire che qualche milanese si può sentire mortificato per questo fatto».
2. «E a quelli che si sentono o si dicono “mortificati” – come dice lei – perché al Conclave manca il loro arcivescovo cosa si sente di dire?». «Gli dico di sentirsi tranquilli, perché lo Spirito Santo provvederà. Francamente credo che non si debba esagerare nell’affermare che “la voce di Milano deve farsi sentire”: alla santa Chiesa di Dio non mancherà nulla di quanto serve per la sua missione. C’è lo Spirito, e questo basta».
Sinceramente, dietro un po’ di ironia che lo qualifica da quando è nato, ho capito che non capisce il ruolo che ha. Si sente un “provinciale”! Che significa? E riconosce di essere inadeguato a fare l’arcivescovo di Milano!
E perché hai accettato? Non mi sembra che tu sia stato costretto! Potevi benissimo rifiutare! Non mi raccontare balle: era il tuo sogno da quando sei nato! Chiuso nel tuo ego di imbecillità, non ti rendevi conto di ciò che avrebbe comportato essere arcivescovo di una diocesi, come quella milanese. Pensavi di conoscerla per averla servita come rettore dei seminari e poi come tirapiedi di Angelo Scola. Ed è successo, tutte mie supposizioni, che di fronte alla realtà grossa come una montagna, hai scelto di fare la trottola, senza affrontare seriamente nessuno dei grossi problemi che comportano una diocesi grande come quella milanese. E il guaio è che sei cascato in un momento sbagliato per fare la trottola: prima il Covid, poi le guerre, ora un papato orfano… Sbagliato? Che dico? Sembra che ti diverta a fare la trottola proprio nelle emergenze più drammatiche. Attutisco una eventuale offesa: non è che ti diverta, per te fare la trottola è l’unica possibilità per sopravvivere, alla giornata. Riconosci la tua inadeguatezza, forse perché sei messo alla prova, e allora dai le dimissioni. Perché non vuoi riconoscere di aver fallito? Questo è orgoglio imperdonabile, se c’è di mezzo il bene comune di una diocesi, come quella milanese, che esige qualsiasi umiliazione da chi riconosce di essere inadeguato, lasciando il posto a un altro, possibilmente migliore di te, come capacità di guidare saggiamente una diocesi, forse ancora la più grande del mondo. Altra stupidaggine: rifiutare il cardinalato come se fosse un titolo personale! Si può discutere in genere sul cardinalato, ma finché c’è, più che onori (e tu pensavi a questi rinunciando al cardinalato?), comporta dei doveri al servizio della Chiesa. Ma tu hai capito nulla della Chiesa! L’hai ridotta a qualcosa di personale, giocando a fare l’arcivescovo, pardon vescovo, facendoti chiamare vescovo Mario (quanto sei umile, mio Dio!), così da avere tutto libero, e il tempo e il campo d’azione, quasi tu volessi imporre uno stile anche dopo la tua uscita di scena (in senso pastorale!).
E allora tutto è logico, anche la tua risposta, logico in senso personalistico: che a te non dispiaccia non partecipare al Conclave! Che cazzata! Per te il Conclave che cos’è? Trovarsi solo per fare giochi e giochetti per nominare il nuovo papa? O che bello, che bello, che bello! Dai, facciamo un po’ impazzire i cristianucci e i laicisti che si divertono un mondo quando si tratta di vedere una mandria di cardinali che rilasciano pronostici i più cretini o i più impensabili, magari anche con tanto veleno dentro da richiedere poi tutto l’oceano per lavare la lingua, e tutta la grazia dell’Onnipotente per purificare la Chiesa. Ma se tutti facessero come te, non partecipare al Conclave, che succederebbe? Già, mi dimenticavo: “Tanto c’è lo Spirito santo, e basta!”. Altra cazzata! E se fosse così, che basti lo Spirito santo, perché fai la trottola in diocesi, come se, senza il tuo folle correre, la diocesi si fermerebbe al palo di un immobilismo deleterio? No! Che Spirito santo! Tu sei lo Spirito Santo! Non sopporto contraddizioni oscene! Non ti dispiace non partecipare al Conclave, e perché hai accettato di essere vescovo di Milano? Se lo hai fatto con dispiacere, allora mi sento un orfano, e se lo hai fatto con piacere, che cos’è la diocesi milanese?
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da AVVENIRE
04/maggio 2025
L’intervista.
Delpini: la Chiesa del nuovo Papa?
Unita, libera e lieta
Francesco Ognibene e Lorenzo Rosoli
L’arcivescovo di Milano: no, non mi dispiace non essere al Conclave: c’è lo Spirito e questo basta. Del pontificato di Francesco custodiamo la gioia di annunciare il Vangelo
Nella piena primavera di questi giorni la grandiosa facciata del Duomo di Milano è fiorita di luce quanto le sale dell’Arcivescovado, a due passi, lo sono della storia che le ha attraversate. Solenni, cariche di memoria, quasi incombenti. Ma con la sua semplice cordialità monsignor Mario Delpini le rende per il visitatore un posto dove stare come a casa: perché c’è tutta la storia attorno, è vero, ma si sente che qui dentro sta a cuore la vita ordinaria della gente. Forse è per questo motivo che, incontrando l’arcivescovo di Milano alla vigilia ormai del Conclave, si comprende bene quello che con un ossimoro potremmo definire il partecipe distacco col quale segue le notizie romane. Conversare con lui dell’eredità di Francesco e del futuro della Chiesa, perciò, diventa un’esperienza che perde tutta l’ansia che c’è là fuori – anche attorno al fatto che il pastore ambrosiano non sia nel novero degli elettori –, diventando un’opportunità per capire meglio quel che sta accadendo, come da un punto di vista oggi senza pari.
Monsignor Delpini, mercoledì inizia il Conclave. Ci consenta anzitutto la domanda che si fanno in molti: le dispiace non esserci?
Rispondo con una considerazione autobiografica. Sono nato in diocesi di Milano, e a Milano ho studiato e sono diventato prete, qui ho fatto la mia vita da sacerdote, e della diocesi di Milano sono poi stato nominato arcivescovo. In una parola, mi sento un “provinciale”. Già sono consapevole di essere inadeguato a questa missione di arcivescovo di Milano, figuriamoci se posso desiderare di essere là dove si prendono decisioni per la Chiesa tutta intera. Quindi, per completare la mia risposta, no, non mi dispiace. Quello che mi dispiace è sentire che qualche milanese si può sentire mortificato per questo fatto.
E a quelli che si sentono o si dicono “mortificati” – come dice lei – perché al Conclave manca il loro arcivescovo cosa si sente di dire?
Gli dico di sentirsi tranquilli, perché lo Spirito Santo provvederà. Francamente credo che non si debba esagerare nell’affermare che “la voce di Milano deve farsi sentire”: alla santa Chiesa di Dio non mancherà nulla di quanto serve per la sua missione. C’è lo Spirito, e questo basta.
Come si sta preparando all’elezione del nuovo Papa?
Ci sono due cose che credo più importanti in questo momento, e sono quelle che sto facendo. La prima è pregare, per il Papa defunto e per l’elezione del nuovo. Poi credo si debba evitare il più possibile di inseguire il chiacchiericcio mediatico, tra indiscrezioni, ipotesi, consigli. È un rumore che infastidisce, meglio cercare di non dargli retta.
Pregare, dunque. Ma per chiedere cosa?
La preghiera è un atto della Chiesa che si rivolge al Signore, al suo Sposo. È una via di conformazione: chi prega si dispone a essere e a vivere secondo lo Spirito. La preghiera di questi giorni dunque non è “che diventi Papa” uno piuttosto che un altro: è un esercizio di docilità allo Spirito perché ciascuno di noi sia pronto a fare la volontà del Padre. Si può riassumere con l’espressione del Padre nostro che dice “sia fatta la tua volontà come in Cielo e così in terra”. Chi prega così non dice semplicemente “avvenga quello che vuoi” ma “mi rendo disponibile”. Che è poi il modo di servire la Chiesa, il mondo, l’umanità.
Quando si dice che “il Papa lo sceglie lo Spirito Santo” si coglie in giro come un certo scetticismo. Come va compresa oggi questa espressione?
Lo Spirito Santo dà i doni della sapienza, del consiglio, della fortezza, della scienza, realizzando in chi lo accoglie la disponibilità e la capacità di fare scelte evangeliche, conformi alla volontà del Signore. Non è una lettura “miracolistica”: realizza la libertà spirituale e la disponibilità ai pensieri di Dio, che possono permettere di superare pregiudizi, schematismi, ambizioni, paure o fatiche che ciascuno, anche senza volerlo o saperlo, porta con sé. Nessuno ne è del tutto esente, neppure i cardinali: ma è lo Spirito Santo che dona la libertà interiore per fare scelte evangeliche, con una vera opera di conversione.
Quali caratteristiche vede indispensabili per il successore di Pietro?
Quello che posso dire è solo che sia la persona che ci aiuterà a essere cristiani. Perché è questo, in definitiva, ciò che fa il Papa.
Possiamo allora provare a riflettere sulle peculiarità dei Papi del recente passato e ipotizzare quelle di chi diventerà Vescovo di Roma?
Pensando ai Papi che ho conosciuto, trovo in ciascuno un dono del quale potrebbe arricchirsi chi si troverà ad assumere la stessa responsabilità, quasi una sintesi di tutti loro. Provando a riassumere in una parola la personalità di ciascuno, vedo in Giovanni XXIII la popolarità, in Paolo VI l’intensità, in Giovanni Paolo I il sorriso, in Giovanni Paolo II l’ardore, in Benedetto XVI il rigore, e in papa Francesco scorgo quella che definirei la testardaggine, intendendola nel senso della determinazione con cui ha cercato di realizzare il bene anche se è scomodo, per sua causa si ricevono obiezioni e si devono affrontare fatiche. Al Papa serve quella tenacia che mette in grado di impuntarsi quando occorre. Ed è il tratto di Francesco che gli ha permesso di compiere in questi anni un’opera di rottura di alcuni schemi e inerzie.
A Francesco viene riconosciuto il merito di aver saputo rendere attraente oggi il messaggio cristiano. La Chiesa come può porgere in modo comprensibile, vicino alle persone, il suo annuncio di sempre, in una società che sembra voler fare a meno di Dio?
Il pontificato di Francesco non è stato sempre circondato dall’apprezzamento universale che si sente ora. Detto questo, la diffusione e l’efficacia dell’evangelizzazione percorre vie anche imprevedibili, perché la Chiesa deve annunciare il Vangelo e già ai contemporanei di Gesù il suo messaggio suonò duro, tanto che persino molti dei suoi discepoli smisero di seguirlo. Bisogna trovare il linguaggio per farsi capire, ma l’attrattiva del cristianesimo non consiste in una tecnica di seduzione né è condiscendenza a un’aspettativa, ma è il fascino della conversione. Significa intuire che c’è qualcosa di buono che mi cambia la vita. Anche una società che dice di fare a meno di Dio non può evitare le domande fondamentali dell’esistenza. La Chiesa custodisce la fonte zampillante di acqua fresca per la vita eterna, che è la speranza.
Cosa sente più necessario custodire del pontificato di Francesco?
Il punto più irrinunciabile è l’Evangelii gaudium, cioè la gioia del Vangelo, che è poi il titolo dell’esortazione apostolica del 2013, “fondativa” del pontificato. In questo mondo triste e disgregato papa Francesco ha insegnato che la fonte della gioia è nel Vangelo, raccomandando a tutti i cristiani di non lasciarsi rubare la gioia di evangelizzare. In giorni in cui si sceglie un ambito del pontificato piuttosto che un altro, credo sia meglio cercare il suo cuore: e il punto qualificante di tutto il ministero petrino di Francesco è proprio la gioia del Vangelo. Questo per la Chiesa non significa che deve impegnarsi a essere contenta ma è l’effetto del Vangelo ricevuto, e quindi anche il compito di annunciarlo ad altri.
Quali tra i temi del magistero del Papa appena scomparso dovrebbero entrare nell’agenda del successore?
Tra i tanti, penso all’ecologia integrale come modo di intendere il rapporto tra l’umanità e il pianeta, una custodia del creato per il bene delle persone, della società e dell’ambiente in cui viviamo. E parlando di gioia, indicherei Amoris laetitia, che parla della bellezza dell’amore tra uomo e donna e della vita familiare, anche se è stata posta enfasi quasi esclusiva sul capitolo ottavo, che però viene dopo altri sette…
Milano, 25 marzo 2017: papa Francesco incontra gli abitanti delle Case Bianche, alla periferia della città. Al suo fianco l’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola – Fotogramma
C’è un’immagine o un messaggio particolarmente forte che porta con sé della visita di Francesco a Milano nel 2017?
La scena per me più impressionante, preziosa, è il viaggio dal carcere di San Vittore al Parco di Monza, dove avrebbe celebrato la Messa. Sembrava che tutta Milano si fosse fermata per salutare, festeggiare, ascoltare il Papa. Ho anche seguito l’incontro con i consacrati in Duomo (allora Delpini era vescovo ausiliare e vicario generale della diocesi, Francesco lo nominò arcivescovo pochi mesi dopo; ndr). Mi colpì l’insistenza con cui disse ai diaconi: voi nella Chiesa siete i custodi del servizio, perché a tutta la Chiesa sia ricordato che esistiamo e siamo cristiani con il compito di servire. Il Papa sostò anche alle Case Bianche, in periferia – come a ricordare il tema della casa degradata e della casa per i poveri –, e fra i detenuti di San Vittore: un modo per toccare questioni complesse e attuali, che richiamano la comunità cristiana al dovere di agire.
Nei suoi incontri con Francesco e nelle sue parole ha percepito affetto per Milano?
Tutte le volte ha espresso stima per Milano, la sua Chiesa, il suo seminario, per me personalmente, ed era informato sulla diocesi: tanto da “rubarle” diversi preti facendoli vescovi altrove.
Lei ha detto che Milano non sempre ha capito Francesco. Nemmeno il mondo, a dire il vero…
Ha avuto alcune priorità – ad esempio i migranti e i poveri – che sono risultate “antipatiche”, in un contesto che ha valori del tutto diversi e che non le ha recepite. Pure la sua insistenza sul tema della pace, i suoi appelli reiterati, con una determinazione spinta sino alla cocciutaggine, non sono stati presi sul serio, anche se proprio durante il funerale c’è stato qualche segno che forse si è capito che la strada della guerra o dell’indifferenza è sbagliata.
Francesco ha spesso invitato a sognare il futuro della Chiesa. Qual è oggi il sogno dell’arcivescovo di Milano per la Chiesa di domani?
Che sia una Chiesa unita, libera e lieta. “Unita” vuol dire che sappia superare le divisioni al suo interno, con le differenze che a volte sono causa di contrasti invece di essere – come dovrebbero – motivo di grazia, di armonia, di bellezza. Le divisioni vanno superate anche con le altre confessioni cristiane. Con l’unità si è capaci di accogliere il mondo. Per “libera” intendo una Chiesa che non è schiava, non dipende dai potentati della terra né dall’opinione pubblica. Libera vuol dire anche povera, e quindi disponibile a seguire il Signore, piuttosto che essere trattenuta dalle nostalgie, dal potere o dalle abitudini. Infine, “lieta” significa che nella Chiesa lo Spirito Santo realizza la promessa di Gesù: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. La letizia dipende dalla relazione col Signore.
Il 7 giugno saranno 50 anni dalla sua ordinazione sacerdotale. Cosa direbbe a un giovane che si interroga sulla vocazione?
Gli direi che è un’ottima idea, una strada piena di grazie. Ma alla fine quello che conta è essere cristiani. Anche per un prete.
Anche per un Papa…
Non solo che sia cristiano, ma che aiuti anche noi a essere cristiani.
La morte di papa Francesco e, ora, il Conclave, hanno riacceso l’attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica – sia pure a volte superficiale – verso la Chiesa. Resterà qualcosa di buono di tutto questo?
Credo che a volte prevalga la curiosità, il prurito di avere qualcosa di originale da dire, anche esibendo se stessi: “il Papa mi ha dato ragione”… Resta però interessante come vengono ricostruiti alcuni gesti di Francesco: la benedizione in piazza San Pietro durante la pandemia, le immagini dei viaggi, con la sua cartelletta nera, o quando salutava i ragazzi, o baciava persone disabili… Certi spezzoni di Francesco visti in tv mi commuovono.
C’è un’immagine in particolare che si porta dentro in questi giorni di attesa del nuovo Papa?
Durante il Sinodo in Vaticano a cui ho partecipato Francesco veniva all’assemblea tre quarti d’ora prima dell’inizio di ogni sessione così che tutti potevano avvicinarsi, salutarlo, scambiare due parole. Anche i nostri preti ambrosiani, quando riuscivano ad avere un’udienza in occasione di loro anniversari, erano impressionati dal fatto che stava lì anche due ore ad ascoltare, e andava avanti finché c’erano domande… Tutto questo dice di una disponibilità, di un’attitudine, di uno stile colloquiale, come se ogni incontro non fosse un impegno da assolvere ma una familiarità desiderata. Tutto questo mi ha sempre colpito e coinvolto.
Se ne avesse l’opportunità, cosa direbbe ai cardinali che entrano in Conclave?
L’essenziale: e cioè di essere docili allo Spirito, che suscita sapienza, intelligenza e consiglio.
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