Il D-Day di Macron tra i reduci del ‘44: “Pronti al sacrificio oggi come allora”

da www.repubblica.it

Il D-Day di Macron tra i reduci del ‘44:

“Pronti al sacrificio oggi come allora”

dalla nostra corrispondente Anais Ginori e dal nostro inviato Paolo Mastrolilli
Il presidente francese apre le celebrazioni dello sbarco in Normandia con un monito sulla guerra in Ucraina. Oggi arrivano Biden e Mattarella
PARIGI — Emmanuel Macron elogia lo «spirito di sacrificio» dei liberatori della Francia, dando il via a tre giorni di cerimonie per l’ottantesimo anniversario del D-Day, che riunisce i principali leader occidentali in un momento in cui la guerra torna a colpire l’Europa.
Il leader francese ha cominciato ieri le celebrazioni, con una prima tappa in Bretagna, in una delle zone dei resistenti francesi che fornirono appoggio logistico e informazioni e dove arrivarono i primi paracadutisti della Francia libera delle Sas, le forze speciali britanniche, che nella notte tra il 5 e il 6 giugno lanciarono l’operazione Overlord per aprire un nuovo fronte contro Adolf Hitler.
«So che il nostro Paese ha una gioventù audace e valorosa, pronta allo stesso spirito di sacrificio dei suoi anziani», ha detto il capo di Stato parlando con alcuni veterani. E le sue parole sono suonate come un monito dopo che si sono rincorse voci su un imminente annuncio di invio di istruttori militari francesi in Ucraina. Ipotesi che sta già scatenando la propaganda russa e su cui Macron rischia di aprire una frattura con gli alleati.
Il tentativo di mandare gli istruttori francesi sotto una coalizione di Paesi volontari dell’Ue non decolla. Germania e Italia sono contrarie, la Polonia frena, i Paesi Baltici sono divisi. La spaccatura più forte sulla proposta di Macron è con gli Usa, che hanno dubbi logistici e strategici. Sul primo punto giudicano inutile spostare l’addestramento in Ucraina, perché è già efficace quello in Germania e Polonia. Sul secondo, temono che un incidente con gli istruttori potrebbe scatenare la Terza guerra mondiale.
Washington riconosce che sarebbe una scelta sovrana di Parigi, però avrebbe un impatto anche sugli alleati. Quindi ritiene che andrebbe discussa in questo ambito, a partire dai colloqui di sabato in cui Biden cercherà di dissuadere Macron.
L’Eliseo ieri non ha voluto dare maggiori dettagli, rimandando alle dichiarazioni del presidente stasera in una lunga intervista tv sulla situazione internazionale. Macron non dovrebbe fare oggi l’annuncio sull’invio di istruttori francesi in territorio ucraino, anche se vuole accelerare le discussioni su come rafforzare e ottimizzare il sostegno a Kiev. È un tema d’altronde che il leader francese aveva già posto nella conferenza sull’Ucraina organizzata a fine febbraio e che procede in parallelo con i programmi di addestramento di militari ucraini che già esistono, in particolare in Polonia.
Tutta la prima giornata di Macron per le commemorazioni del D–Day è comunque servita per ricordare la drammaticità dell’attuale momento storico. È a Plumelec, in Bretagna, che «cadde il primo soldato francese dello sbarco», il caporale Emile Bouétard, un giovane marinaio andato in Inghilterra. «Era un mio amico», ha raccontato il colonnello Achille Muller, «99 anni e mezzo», l’ultimo dei paracadutisti francesi a partecipare all’operazione. «Se la Francia fosse attaccata domani, i giovani dovrebbero fare la stessa cosa che abbiamo fatto noi», ha aggiunto Muller con il capo di Stato che lo ringraziava.
Macron vuole sfruttare al massimo la ribalta e il simbolo che offre questo D-Day, con buona pace delle opposizioni che lo accusano di occupare i media a poche ore dalle elezioni. Accogliendo oggi una ventina di capi di Stato e di governo sulle spiagge della Normandia – tra cui anche il presidente italiano Sergio Mattarella – il leader francese vuole dimostrare l’unità del mondo occidentale in un momento in cui l’Europa si trova di nuovo ad affrontare un grande conflitto.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sarà a Omaha Beach, mentre la Russia, invitata dieci anni fa, è stata formalmente esclusa dalle cerimonie proprio a causa della sua guerra contro l’Ucraina.
È la conferma di una celebrazione necessaria ma mai così carica di potenti interrogativi e sfide. Tra gli alleati c’è convergenza sul sostegno a Kiev. Biden vedrà oggi Zelensky e annuncerà presto altre forniture militari pesanti. L’Ucraina non entrerà ora nella Nato, però l’obiettivo del vertice di metà luglio a Washington è costruire il ponte per il suo ingresso.
C’è divergenza invece su Gaza, ma il capo della Casa Bianca spera di riunificare gli alleati con la proposta per il cessate il fuoco. Gli americani sono convinti che se il piano fosse votato oggi otterrebbe la maggioranza nel governo israeliano e nella Knesset. Un elemento di pressione sul premier Netanyahu, che si somma al messaggio di unità in difesa della democrazia lanciato in Normandia.
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da www.huffingtonpost.it
05 Giugno 2024

D-Day, 80 anni dopo.

Biden, Macron e Zelensky si stringono

contro il nuovo nazismo: quello di Putin

di Giulia Belardelli
Fra oggi e venerdì si vedranno per concordare quali altre linee rosse superare a favore di Kiev. Stefano Silvestri (IAI): “Più la guerra continua, più saremo portati a fare piccoli passi a favore dell’Ucraina, perché noi difendiamo dei principi sui quali non possiamo arretrare: sovranità, democrazia, libertà delle scelte”
Dieci anni fa, quando si celebrava il 70° anniversario dello sbarco degli alleati in Normandia, alla commemorazione del D-Day era stato invitato anche il presidente russo Vladimir Putin, con tutto che solo qualche mese prima aveva annesso illegalmente la Crimea. Quest’anno – con il contatore del tempo che punta agli 80 – la Russia è equiparabile, nel simbolismo delle celebrazioni, a quel nazifascismo contro cui scesero in campo le forze del Bene. E dire che quello sbarco fu – anche – un’operazione fatta per aiutare l’Unione Sovietica contro la Germania nazista, poiché si trattava di aprire un fronte importante in Occidente oltre a quello italiano. La realtà di oggi è riassunta da Le Monde in un’istantanea: gli ultimi duecento veterani del D-Day ancora in vita che incontreranno, durante le celebrazioni, i primi veterani combattenti della resistenza ucraina. Alla presenza del presidente Usa Joe Biden, del francese Emmanuel Macron e dell’ucraino Volodymyr Zelensky. Con sul tavolo – ancora una volta – l’annosa questione di come aiutare l’Ucraina a difendersi senza scivolare in un conflitto diretto tra Nato e Russia, ovvero in una Terza Guerra Mondiale.
Biden è arrivato a Parigi mercoledì mattina ed è stato accolto da funzionari francesi e da una guardia d’onore. Giovedì visiterà il cimitero americano vicino alle spiagge della Normandia, dove file di lapidi segnano le tombe dei soldati americani morti per porre fine alla Seconda Guerra Mondiale. Venerdì parlerà da Pointe du Hoc, un luogo sulla costa francese dove i ranger dell’esercito scalarono le scogliere a picco sul mare per superare le difese naziste. È in programma un incontro con Zelensky a cui ne seguirà pochi giorni dopo un altro, al G7 in Italia. “Durante il suo viaggio in Normandia, Biden avrà l’opportunità di discutere con Zelensky sullo stato delle cose in Ucraina e su come possiamo continuare ad approfondire il nostro sostegno”, ha affermato il consigliere per la sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan, a bordo dell’Air Force One. “Nel corso di poco più di una settimana, il presidente avrà due impegni sostanziali con il presidente Zelensky”, ha sottolineato Sullivan. E ancora: “Penso che, nelle prossime settimane, potrete aspettarvi annunci di ulteriori consegne di notevoli capacità all’Ucraina”.
Si prevede che a Zelensky sarà riservato un ruolo centrale durante le commemorazioni del D-Day. Per quanto Putin affermi di aver invaso l’Ucraina per “proteggere” la popolazione russofona dai “nazisti ucraini”, per l’Occidente c’è un solo parallelismo calzante, ed è quello tra il nazifascismo e l’imperialismo russo. È in nome degli stessi valori di allora – in primis la tutela della libertà – che oggi americani, francesi e altri europei si trovano sempre più coinvolti in un conflitto mortale che ancora una volta sta dilaniando il continente, mettendone a repentaglio la sicurezza. Secondo le anticipazioni, nel suo discorso Biden sottolineerà proprio questo: 80 anni dopo, vediamo dittatori che tentano ancora una volta di sfidare l’ordine, provando a marciare in Europa; le nazioni amanti della libertà devono mobilitarsi per opporsi a questo, come facemmo noi.
Venerdì a Parigi sarà la volta di un altro incontro importante: quello tra Macron e Zelensky. “Mentre gli attacchi russi si intensificano in prima linea e contro le infrastrutture energetiche, i due presidenti discuteranno della situazione sul campo”, ha riferito l’Eliseo. Il presidente ucraino, che sarà accolto dal ministro delle Forze armate francesi Sebastien Lecornu con gli onori militari, visiterà un sito del gruppo bellico franco-tedesco KNDS vicino a Parigi. Il gruppo di difesa produce cannoni di artiglieria utilizzati sul campo di battaglia ucraino. Zelensky pronuncerà anche un discorso all’Assemblea nazionale francese e incontrerà la portavoce della Camera bassa Yael Braun-Pivet, che ha visitato l’Ucraina a marzo. A febbraio la Francia ha ospitato una conferenza sul sostegno all’Ucraina, dopo la quale Macron ha annunciato misure per fornire più armi a Kiev e non ha escluso l’invio di soldati in Ucraina, suscitando polemiche tra i suoi alleati. La settimana scorsa, il massimo diplomatico di Mosca aveva avvertito che eventuali istruttori militari francesi in Ucraina sarebbero un “obiettivo legittimo” per gli attacchi russi, tra le notizie che la Francia potrebbe inviare addestratori nel Paese. Al momento, Parigi non ha ufficialmente personale militare che assiste o addestra le forze ucraine sul campo, ma Kiev ha rivelato la settimana scorsa di essere “in trattativa” con la Francia sulla questione. Quanto agli Stati Uniti, la Casa Bianca ha ribadito anche oggi di non avere alcun piano per l’invio di istruttori militari o truppe in Ucraina: a cinque mesi dalle elezioni per la Casa Bianca, l’ultima cosa che Biden può fare è disattendere la promessa che sin dall’inizio ha accompagnato il sostegno americano a Kiev, no boots on the ground.
Potrebbe stupire allora tutta questa voglia di collegare l’eroismo e il sacrificio del D-Day alla guerra in corso in Ucraina. Ma per Biden come per Macron il contrasto all’aggressione russa è innanzitutto una questione di principio. Per questo è possibile che – su pressione della Polonia, dei Paesi baltici e di altri Stati più interventisti poiché più vicini alla minaccia russa – nel prossimo futuro altri passi si aggiungeranno a quello dell’invio di istruttori occidentali.
“Più la guerra continua, più saremo portati a fare dei piccoli passi a favore dell’Ucraina, perché è evidente che noi difendiamo dei principi sui quali non possiamo arretrare: quelli dalla sovranità, della democrazia, della libertà delle scelte”, commenta per HuffPost Stefano Silvestri, presidente emerito dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). “Se arretriamo su questi principi, siamo finiti. Noi vogliamo evitare una guerra tra Nato e Russia, come credo voglia evitarla anche la Russia, ma è evidente che siamo tenuti a una serie di piccoli passi, che tuttavia da soli non bastano”.
Il problema – argomenta Silvestri – è che l’Occidente non ha ancora chiaro qual è l’endgame, l’obiettivo finale, tra Ucraina e Russia. “Dipenderà, evidentemente, in primo luogo dai russi e dagli ucraini, però noi siamo parte integrante della questione. Sappiamo che le ambizioni massime sia di Putin sia di Zelensky probabilmente verranno frustrate, ma quale possa essere un compromesso stabile (che non dico porti a una pace completa, ma quanto meno a una soluzione armistiziale) non è chiaro. Quello che stiamo facendo, per il momento, sono piccoli passi. Per esempio, è evidente che l’estensione della capacità di colpire basi militari russe da dove partono attacchi soprattutto contro la popolazione civile ucraina non è una mossa determinante per la guerra: è significativo, ma è un piccolissimo passo. Questi piccoli passi vengono montati politicamente proprio perché non c’è un discorso chiaro su quali sono i nostri obiettivi. Ok, vogliamo che l’Ucraina sia libera e indipendente e che finisca l’aggressione russa, ma questi sono obiettivi quasi ideologici. Come intendiamo procedere non si sa. Questo naturalmente è reso più difficile dal fatto che, da parte russa ma anche da parte cinese, non sembra esserci alcuna disponibilità a un dialogo diplomatico, un atteggiamento che lascia aperta soltanto la strada del confronto militare. A maggior ragione, però, penso che dovremmo fare un discorso più articolato dicendo: benissimo, il confronto militare lo accettiamo fino a che Russia e Cina ce lo impongono, e intendiamo avere il miglior risultato possibile, ma il nostro obiettivo complessivo è un altro, sia nei confronti della Russia sia in quelli della Cina”.
In questa partita lunga e complessa, giocare di strategia non azzera i rischi ma è necessario per abbassarli. Come è necessario avere una visione d’insieme, sforzandosi di inserire il conflitto in una prospettiva storica. L’invio degli addestratori – aggiunge Silvestri – è un passo logico, dato che è inutile dare nuove armi agli ucraini senza un adeguato addestramento. “Questo implica il rischio di incidenti, che però diventano importanti nella misura in cui si vuole che lo diventino poiché tutto dipende dall’atteggiamento che si assume”, conclude l’analista, secondo cui “è evidente che questo conflitto può aumentare facilmente di pericolosità, ma l’alternativa non può essere cedere al bullismo”. La pensa così Joe Biden, che era un bebè di sei mesi in quel lontano D-Day; non si sa come la pensi davvero Donald Trump, che sarebbe nato due anni dopo. Quel che è certo è l’America e l’Europa non si presentano in ottima forma a questo appuntamento con la storia. Negli Usa c’è la preoccupazione stessa per il futuro della democrazia; in Europa vedremo quello che succederà, tra le elezioni per il Parlamento europeo e l’inizio del semestre ungherese di presidenza Ue.
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da www.huffingtonpost.it
06 Giugno 2024

L’alba del D- Day e l’articolo 11

di Maria Antonietta Calabrò
Le amnesie dei sovranisti nostrani
L’alba è sorta anche questa mattina sulle spiagge della Normandia nell’ottantesimo anniversario del D-Day. Quel giorno, quel singolo giorno giorno in cui ventimila uomini, americani, inglesi, canadesi, persero la loro vita per salvare la nostra. La nostra di europei che avevamo consegnato il vecchio continente al nazifascismo. Oggi su quella spiaggia ci sarà il presidente ucraino Zelensky e non ci sarà il presidente della Russia Putin che pure fu tra le potenze vincitrici del Secondo conflitto mondiale. Il mondo uscito dal disastro del conflitto voleva infatti essere un mondo in cui mai più la guerra sarebbe stata lo strumento per risolvere le controversie internazionali, come recita l’articolo 11 della nostra Costituzione.
È necessario rileggere bene quest’articolo 11 citato a sproposito dai sovranisti di casa nostra filoputiniani. Esso recita innanzitutto: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; “Ed è esattamente quello che ha fatto Putin con la sua “operazione speciale” di invasione dell’Ucraina, uno stato sovrano, nel 2022. Il che equivale a dire che l’Italia ripudia Putin.
Le due proposizioni seguenti dell’articolo 11 sono entrambe introdotte da due “punti e virgola”. Cioè l’articolo 11 è costituito da un’unica frase ed esso prosegue sostenendo che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Perché chi ricorre alla guerra, alla violazione dei diritti umani, possa essere fermato e punito. Nei lavori preparatori della Costituente fu un deputato democristiano, Carmelo Caristia, amico di don Luigi Sturzo, a chiedere ed ottenere la modifica del “punto e virgola”. A correzione di quanto era stato già scritto nella Costituzione della IV Repubblica francese, e che dopo il primo periodo (identico al nostro) prevedeva un punto e basta.
Ma ancora più importante, durante il dibattito all’ Assemblea Costituente venne chiarito che volutamente nella formulazione di quell’ articolo non era stata adoperata la frase: “L’Italia rinunzia alla guerra”, ma la più blanda: “L’Italia ripudia la guerra”, perché la prima avrebbe impedito in modo assoluto al nostro Paese di ricorrere alle armi, cioè in ogni caso.
Nella nostra Costituzione non c’è, quindi, la rinuncia assoluta all’ uso della forza. Inoltre il “ripudio” della guerra è strettamente collegato alla previsione di limitazioni alla nostra sovranità nazionale in favore di organizzazioni internazionali per assicurare un ordinamento di pace e di giustizia. Ciò ha permesso la nostra adesione alla Comunità europea e al Patto atlantico. Approvato quest’ultimo dal Parlamento italiano nell’immediato dopoguerra il 18 marzo 1949 ed esso prevede esplicitamente anche la partecipazione italiana ad eventi bellici.
Dopo la fine della Guerra Fredda, si è accelerata un’evoluzione del diritto internazionale già implicita nella nascita stessa delle Nazioni Unite. E’ stata via via messa da parte una visione ottocentesca centrata sulle prerogative inviolabili degli Stati (la cui sovranità territoriale costituiva un vero e proprio tabù, secondo la vecchia ottica cui Salvini vorrebbe tornare). E sempre più è stato dato risalto ai diritti dei popoli e ai diritti umani.
Di conseguenza, in questa nuova prospettiva, viene considerato legittimo ogni intervento che sia volto a tutelare quei diritti: si tratta della cosiddetta “teoria dell’ingerenza umanitaria”. Rispondono a questa logica l’istituzione dei Tribunali internazionali per i crimini contro l’umanità (nella ex Jugoslavia e in Ruanda) e la stessa sentenza di disconoscimento dell’immunità diplomatica per l’ex dittatore cileno Augusto Pinochet decretata dalla Camera dei Lords inglese nel marzo 1999. La “teoria dell’ingerenza umanitaria” prevede anche un uso regolato della forza in base a risoluzioni dell’Onu o in base all’ articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che pur in assenza di mandato diretto, consente l’intervento ad organizzazioni collettive di sicurezza qual fu appunto, nel 1999 in Kosovo, la NATO, con la partecipazione diretta allora dell’Italia, presidente del Consiglio Massimo D’Alema.
Dobbiamo ricordare tutto questo, oggi, ottantesimo anniversario del “giorno più lungo” sulle spiagge della Normandia, e il sangue versato speriamo di meritarcelo.

 

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