da www.lastampa.it
Paolo Crepet e il video sulla strage di Brandizzo:
“Non esiste più l’idea del privato,
così i social cannibalizzano
e anestetizzano la società”
Lo psichiatra: «Troviamo la guerra, gli stupri. La capretta ammazzata dal branco, quest’estate anche un divorzio. Tutti questi episodi sono arrivati a noi grazie alla violenza dell’immagine»
NADIA FERRIGO
06 Settembre 2023
«Quel video proprio adesso no, è un colpo al cuore. Mi fa morire. Sapevo del video di Instagram, subito pensavano tutti che fosse in diretta e invece no. Perché proprio adesso? È troppo presto». Così si dispera Massimo, il padre di Kevin Laganà, la più giovane delle cinque vittime della strage di Brandizzo, davanti al filmato che mostra gli ultimi momenti di vita del figlio. «Mi sconvolge l’idea che noon esista più il privato, fatto a pezzi dal cannibalismo dei social» commenta lo psichiatra Paolo Crepet.
Professore, cosa rende così potente e violento quest’ultimo brandello di esistenza affidato al web?
«Con i social possiamo entrare in modo forte e brusco nell’intimità di un dolore o di una tragedia, come nel caso della strage di Brandizzo. Troviamo la guerra, gli stupri. La capretta ammazzata dal branco, quest’estate anche un divorzio. Tutti questi episodi sono arrivati a noi grazie alla violenza dell’immagine. Ne parliamo anche perché abbiamo abbondante materiale visivo, con l’impressione di spiare dal buco dalla serrature le altre vite. Noi spiamo, sempre noi mettiamo le nostre vite sui social. Sono il chiavistello capace di spezzettare tutte le serrature dell’anima».
Avere la possibilità sia di condividere che di vedere quello che non avremmo mai mostrato, ci rende più consapevoli?
«Episodio dopo episodio, immagine potente dopo immagine potente assistiamo a un’escalation del tribale. Siamo bombardati da visioni fortissime, colori diversi che quando si mischiano arrivano al nero. Questo flusso ci porta prima all’anestesia, poi all’indifferenza intesa come mancanza di compassione. Lo scatto del 1936 del miliziano morente di Robert Capa sopravvive nelle stampe, nelle collezioni, nei musei e nel nostro immaginario da più cent’anni. Sui social nulla, per terrificante che possa essere, riesce a sopravvivere per più di ventiquattr’ore. Siamo passati da un secolo a un giorno, e così scompare la memoria. Oliviero Toscani diceva che la storia inizia con la fotografia, io che sono più ottimista penso inizi con l’arte. Che Cristo è morto lo sappiamo da migliaia di anni e migliaia di crocifissi. Mi chiedo cosa potrà restare di un’epoca dove tutto sparisce e di cui non ricorderemo».
Ma non abbiamo mai vissuto un’epoca dove tutto è così ripreso e condiviso, così in fretta e con tutto il mondo. I social non dovrebbero essere un acceleratore degli accadimenti, invece che un’anestesia?
«Non è vero che noi usiamo i social, sono loro che usano noi. Faccio un esempio. Ci si laurea, sposa, partorisce, fidanza e lascia sempre raccontandolo. Se non l’hai raccontato, non è successo. Non esistono più gli album di famiglia, ma i reel. Dopo che l’hai mostrata a tutti, cosa resta? Questo è il secolo che polverizza le nostre vite. Vai a cercarla e non la trovi più. Ecco dove si perde la nostra identità».
Qual è il rischio?
«Stiamo assistiamo a un cambiamento antropologico, lo scrissi dieci anni fa in un libro con Mondadori e tutti mi hanno dato contro. Ora è la scienza che ci dice che l’uso di questa tecnologia può provocare danni cognitivi e comportamentali, ma non importa a nessuno. La nostra memoria è impoverita e impoverita è anche la nostra testa. Siamo una società in pre-agonia, senza nessuna intenzione di cambiare direzione».
Sono anni che vado dicendo che i cosiddetti social (e le loro derivazioni) sono un’offesa alla nostra umanità. Quand’ero bambino e adolescente le persone tenevano al loro privato e, tutt’al più, lo condividevano con gli amici più intimi. La riservatezza che una volta era una virtù è stata eliminata dall’esibizionismo, la vogli di apparire a tutti i costi ci ha snaturato e il diario segreto è dato in pasto a una folla di guardoni senza scrupoli. E non lo si fa solo per apparire belli e positivi, anzi più si dà spazio alle azioni scellerate e più si hanno visualizzazioni e… apprezzamenti!