da www.huffingtonpost.it
30 Novembre 2022
Papa Francesco e l’Iran,
le interpretazioni di un lungo silenzio
di Nadia Boffa
Nessun sostegno alle proteste, né condanna della repressione. A Huffpost Massimo Faggioli, Lucetta Scaraffia e Piero Schiavazzi spiegano come si colloca l’Iran nella geopolitica del Pontefice e la sua concezione di una Chiesa non più appendice dell’Occidente
Bisogna partire dal 2014. Si è completato l’accordo sul nucleare iraniano da pochi mesi. Papa Francesco incontra a Gerusalemme il primo ministro d’Israele Benjamin Netanyahu. Il premier israealiano, davanti a giornalisti e fotografi prova ad introdurre il discorso politico. Pone il problema delle persecuzioni in Iran, della repressione nel Paese nemico storico di Israele. Sottolinea che, al contrario, in Israele “c’è libertà per i cristiani”. Jorge Bergoglio con aria stizzita si gira verso Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, gli chiede se l’incontro con Netanyahu si possa tenere privatamente. Questo piccolo, ma importante episodio è la sintesi dell’approccio che il Pontefice ha sempre avuto nei confronti della Repubblica Islamica dell’Iran. Negli anni del suo pontificato Francesco è sempre stato molto attento a non dichiararsi apertamente in contrasto con il regime iraniano, non si è mai espresso in modo specifico contro la repressione dei diritti umani attuata dal regime dei mullah.
Non l’ha fatto neppure adesso, dopo la grande ondata di proteste contro il sistema politico-religioso della Repubblica Islamica che sta coinvolgendo tutto il Paese da oltre due mesi, dalla morte violenta di Mahsa Amini, la giovane ragazza curda deceduta sotto custodia della polizia morale tre giorni dopo il suo arresto a Teheran, dopo la violentissima repressione del regime capeggiato dalla Guida Suprema Ali Khamenei e dal presidente Ebrahim Raisi.
Nella conferenza stampa di ritorno dal viaggio del Pontefice nel Bahrein, la giornalista Carol Glatz, corrispondente della rivista americana Catholic News Service, ha rivolto quella che rimane l’unica domanda specifica rivolta finora al Papa su ciò che sta accadendo. “Data la situazione qui vicino in Iran, con le proteste scatenate da alcune donne e da tanti giovani che vogliono più libertà, lei appoggia questo impegno delle donne e degli uomini che chiedono di avere diritti fondamentali che si trovano anche nel documento della fraternità umana?” è stato chiesto al Papa. Francesco nel rispondere parte da molto lontano: “Dobbiamo dirci la verità: la lotta per i diritti della donna è una lotta continua. Perché in alcuni posti la donna arriva ad avere un’uguaglianza con gli uomini, ma in altri posti non si arriva. Non è così?”. Poi aggiunge che “i diritti umani sono fondamentali” e devia il discorso, parla della tragedia dell’infibulazione imposta alle ragazzine. Dell’Iran non parla, nonostante la domanda diretta. Eppure gli appelli rivolti al Papa ad intervenire sono tanti, come le critiche per il suo quasi silenzio, critiche da parte di storici, giornalisti esperti del Vaticano, personaggi del mondo della cultura, attivisti, personaggi politici. Su Huffpost il grande pianista iraniano Ramin Bahrami ha lanciato un appello al Santo Padre poche settimane fa. Inoltre la figura di Papa Bergoglio è ben diversa da quella ieratica di alcuni Pontefici del passato: è usuale per lui affrontare gli eventi di cronaca, rilasciare molte interviste e conferenze stampa su diverse tematiche.
“Il silenzio del Papa sull’Iran si può capire, nel Paese c’è una situazione in evoluzione. Le parole del Papa potrebbero essere pericolose perché chi è a favore del regime nel Paese potrebbe giustificare la bontà della dittatura con il fatto che anche il Pontefice si pone in contrasto con quest’ultima” spiega a Huffpost Massimo Faggioli, storico e teologo, professore di Teologia e studi religiosi all’Università di Villanova, Philadelphia. “È sbagliato aspettarsi necessariamente una parola dal Papa su ogni situazione. Io credo che in Vaticano stiano seguendo attentamente la questione della repressione delle proteste in Iran, ma se parlasse dell’Iran, il Papa dovrebbe farlo anche del Qatar, degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita. E non può farlo. Non credo sia saggio, non solo per la reputazione della Santa Sede, ma anche per chi sta lottando in Iran per la libertà, i diritti umani, chiedere che il Vaticano prenda una certa posizione” continua Faggioli. Il professore spiega che c’è una ragione ancora più profonda dietro l’atteggiamento di Bergoglio. Papa Francesco ha ereditato una Chiesa che doveva ricollegarsi al mondo globale, dopo che Benedetto XVI ha tentato di renderla un’appendice dell’Occidente. “L’aspetto fondamentale di questo Pontificato è stato il capire che la Chiesa non può ritornare alle sue radici europee, ma deve confrontarsi con un mondo globale. Ciò che è importante per Francesco è che l’Iran non percepisca la Chiesa come un’appendice dell’Occidente. Ecco perché il silenzio” osserva Faggioli.
Il Papa non parla delle proteste e della repressione, ma non ha mai nascosto che l’Iran è sempre stata una delle sue priorità geopolitiche. Fin dai primi mesi del suo pontificato. Nel 2014 Francesco ha convocato un summit sul Medio Oriente. C’erano professori di fama mondiale a discutere. C’è stato uno statement finale che recitava che “non ci sarà la stabilità nella regione mediorientale senza il coinvolgimento dell’Iran”. Nell’ottobre del 2014 lo statement è diventato la posizione ufficiale della Diplomazia Vaticana. Il Segretario Parolin ha tenuto la riunione annuale dei nunzi apostolici – gli ambasciatori vaticani in tutti i paesi del mondo – e nel suo discorso ha spiegato: “Non ci sarà stabilità nella regione mediorientale se si continua ad affermare che l’Iran è il grande cattivo”. In un’intervista successiva al summit è stato chiesto a Parolin come si possa conciliare il riconoscimento di un ruolo all’Iran nella risoluzione dei conflitti nella regione con il rispetto dei diritti umani in quel Paese. Il segretario rispose: “Credo che più ci si apre al mondo e più si costruiscono relazioni di cooperazione con diversi Paesi anche il tema dei diritti umani troverà una collocazione importante nel dibattito. È importante che continui il dialogo anche con i Paesi dove i diritti umani sono a rischio”. Nell’incontro del 2016 tra Papa Bergoglio e l’allora èresidente della Repubblica Islamica dell’Iran Hassan Rouhani – che, bisogna sottolineare, era un presidente moderato rispetto al predecessore Mahmud Ahmadinejad e al successore Ebrahim Raisi – il Pontefice ha nuovamente sottolineato che l’Iran è un Paese chiave per la stabilità dell’area. Nel 2009 poi l’incontro del Papa con l’allora ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Lo scorso luglio nuovamente l’incontro tra Parolin e l’attuale ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian, dopo di cui è stato sottolineato che il Vaticano e l’Iran hanno la stessa prospettiva su come risolvere le crisi globali.
“Papa Francesco ritiene che l’Iran sia indispensabile per il dialogo interreligioso e per la stabilizzazione del Medio Oriente. Questo perché Francesco pensa che sia più facile che la polveriera salti nel Golfo rispetto ad altre aree in Europa, come ad esempio nel Donbass” commenta a Huffpost Piero Schiavazzi, giornalista e docente di Geopolitica vaticana della Link Campus University. “Bergoglio sta attentissimo a non compromettere i rapporti con l’Iran perché ritiene che la guerra civile islamica, che è poi la guerra tra Arabia Saudita e Iran, tra sunniti e sciiti, possa innescare una guerra più ampia e far saltare il Golfo, con l’intervento delle potenze asiatiche, perché lì c’è l’energia che serve a tutti”.
Anche secondo la storica e giornalista, docente di storia contemporanea all’Università alla Sapienza di Roma Lucetta Scaraffia “il Papa sta cercando in tutti i modi di avere un colloquio con tutto l’Islam”. Finora “Bergoglio ha avuto rapporti con i sunniti. Invece i rapporti con gli sciiti passano attraverso l’Iran. Il problema è che a mio parere questa strategia è inutile perché non penso che gli sciiti lo stiano ad ascoltare, che scendano a patti”. Secondo Scaraffia nel silenzio di Bergoglio gioca un ruolo importante anche il fatto che “il Pontefice non vuole essere associato a una posizione occidentale, un po’ per la sua origine, che però ritengo abbia esasperato, e poi perché pensa che la Chiesa del futuro sia lontana dall’Occidente”.
I sintomi del fatto che il Papa teme una guerra nel Golfo sono i suoi ripetuti viaggi proprio in questi Paesi. Negli Emirati Arabi Uniti il Papa è stato nel 2019, poi nel 2021 si è recato in Iraq, poi ancora, nel novembre del 2022 in Bahrein. L’ultimo viaggio è stato una sorta di “riparazione”. Bergoglio aveva ricevuto un invito ad andare in Bahrein già nel 2014, ma poi aveva preferito andare negli Emirati Arabi Uniti nel 2019 a firmare la Dichiarazione per la Fraternità Umana. La decisione del Papa aveva fatto pensare che il Pontefice privilegiasse l’Islam sunnita. “L’ultimo viaggio in Bahrein è stato effettuato per mediare, perché è uno dei punti in cui c’è la maggioranza della popolazione sciita e il governo sunnita. Il viaggio ha fatto molto piacere all’Iran, è stato in effetti il viaggio più vicino fisicamente alla Repubblica Islamica di Teheran” spiega Piero Schiavazzi.
E Massimo Faggioli aggiunge che c’è anche una ragione soggettiva dietro il silenzio di Bergoglio sull’Iran. Ed è l’approccio di Papa Francesco nei confronti di tutte le dittature, che lui ha spiegato tante volte. Lo ha detto ad esempio tornando dal suo viaggio in Kazakistan, sull’aereo, quando gli hanno chiesto perché tenesse una porta aperta a Putin. Era il 15 settembre, il giorno successivo, il 16, sarebbe morta Mahsa Amini, dando poi origine alle proteste nella Repubblica Islamica di Teheran. Bergoglio disse: “Anche con i dittatori bisogna parlare”, fermo restando che “sappiamo chi sono”.
“La democrazia per il Papa non è una priorità, lo sono i diritti umani. Non si può proporre e imporre alle democrature il modello occidentale secondo il Papa” è la convinzione di Piero Schiavazzi. Anche perché il Papa, venendo dal Sudamerica, non ha una visione idillica delle democrazie occidentali. “Papa Francesco viene dal sud del mondo, ha una visione delle democrazie occidentali meno romantica, più pragmatica, non si fa incantare da una certa idea del mondo dove ci sono buoni da parte e cattivi dall’altra. Come era nella Guerra Fredda e quindi anche con Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI” prosegue Faggioli. “Bergoglio ritiene che dietro gli ayatollah ci sia una grande cultura e che le dittature siano transeunti. Le dittature, anche se durano qualche decennio, le fasi di radicalizzazione, come è il Khomeinismo, non vanno aggredite secondo Bergoglio” conclude Schiavazzi.
Sono passati due mesi dall’inizio delle proteste in Iran e finora il Papa non ha cambiato il suo approccio verso la Repubblica Islamica di Teheran. Resta da capire come evolverà la posizione del Vaticano. L’Iran è una pentola a pressione che potrebbe saltare. “Ci sono cose di queste proteste, come anche di quelle che stanno avvenendo in Cina, che sono sfuggite a tutti, anche al Vaticano. La posizione della Chiesa potrebbe cambiare vedendo una diversa evoluzione della Piazza” spiega Schiavazzi. Secondo Lucetta Scaraffia, Papa Bergoglio interverrà sulla questione Iran solo una volta che la situazione si sarà quietata: “Anche in Ucraina ha provato all’inizio a lasciar perdere, ma non ha potuto farlo perché in Ucraina c’è una chiesa che non ha mai avuto grande simpatia per Roma e per Giovanni Paolo II e questo lo ha messo un po’ alle strette. In Iran nessuno invece lo mette alle strette”. Faggioli ritiene invece che Francesco continuerà con il suo silenzio: “E solo negli anni a venire si capirà se questo silenzio sarà servito a qualcosa”.
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