L’Aldo Moro di Bellocchio è un capolavoro, e l’arte arriva alla verità con strade proprie

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L’Aldo Moro di Bellocchio è un capolavoro,

e l’arte arriva alla verità con strade proprie

17 Novembre 2022
di Michele Brambilla
Le polemiche sulla veridicità di “Esterno notte” dovrebbero concentrarsi su un punto: solo se non rispetta la bellezza non è arte. E la rispetta, eccome. Il resto è mistero italiano. Storia delle cento foto di Cossiga.
“Esterno notte” è grande cinema, è un capolavoro, e la discussione potrebbe e forse dovrebbe finire qui: con un riconoscimento alla bellezza. Ma a riprova di quanto il caso Moro ancora divida gli italiani, si discute sulla sua corrispondenza ai fatti e ai personaggi reali, si eccepisce sulla verità giudiziaria, si litiga – c’è, in Italia, un tema sul quale non ci si divida in fazioni? – sul suo messaggio politico.
Chi ha rapito Aldo Moro? Le Br sì va bene: ma solo le Br? E i servizi? E gli americani? E si tentò di salvarlo o lo si volle morto? E la Dc, la Dc che cos’era, un grande partito popolare o un cancro corrotto e malvagio? E i personaggi – Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Paolo VI, i brigatisti, lo stesso Aldo Moro – erano davvero così? Così come li racconta Marco Bellocchio?
Maria Fida Moro ha protestato: “O si decide che siamo personaggi storici, e allora si rispetta la storia, o si decide che siamo personaggi privati e allora ci si lascia in pace”. Adriana Faranda ha scritto che non l’ha visto e non lo vedrà. E si possono ben capire le vittime e pure i carnefici: ma così come le sentenze spettano alla magistratura e non ai familiari delle vittime (né tantomeno agli imputati, ovvio), anche il cinema non può essere pensato, scritto e recitato dai personaggi reali.
Si rispetti la storia, dice Maria Fida. Ma che cosa sappiamo della storia? Di “quella” storia? Del caso Moro, ma anche di molto di ciò che lo precedette e lo seguì, piazza Fontana e la lotta armata, e poi via via fino a Ustica e la stazione di Bologna? Di quanti misteri è composto il mosaico del nostro dopoguerra, dal caso Mattei in poi? Bellocchio non rispetta la verità? Ma qual è la verità? L’unica verità certa è che una ragion di Stato ha sempre fatto sì che non emergesse mai la verità. E si può perfino capire una ragione di Stato, tanto più in un tempo di Guerra fredda: ma spetta proprio agli artisti, a volte, il compito di gettare un sasso in piccionaia, di porre domande, di scuotere le coscienze. E l’arte può, deve avere le sue licenze. Solo se non rispetta la bellezza non è arte.
Chi rapì e uccise Aldo Moro? I brigatisti rossi, sicuramente: conosciamo i loro nomi e cognomi, abbiamo ascoltato i loro racconti, e soprattutto ci sono gli anni di galera da loro scontati a rassicurarci sul fatto che non furono “sedicenti”, come si diceva allora. Ma, a Moro rapito, chi lo volle libero e chi morto? Qualcuno lasciò fare? E gli americani, tirati in ballo anche da Bellocchio, che ruolo ebbero?
Anni fa intervistai Richard Gardner, ambasciatore Usa in Italia (con Jimmy Carter presidente) al tempo del sequestro Moro. Mi disse che il suo più grande dolore era il sospetto di un loro ruolo nel delitto Moro. “Lui era il nostro uomo a Washington, l’operazione di coinvolgere i comunisti nel governo l’avevamo voluta noi, era l’unica via possibile per far calare il consenso di cui godevano: coinvolgerli e renderli partecipi di scelte impopolari”. Si mise a piangere, raccontando. Mi sembrò sincero. Ma di quante anime è fatta l’America? Di quante fazioni i suoi servizi segreti? Chi può assicurare che qualcuno non si mise di traverso allo stesso Carter? Sono dubbi, domande legittime: tanto più per un artista.
E quella di Bellocchio è arte. Non è vero che Andreotti vomitò quando seppe del rapimento di Moro? E che Cossiga chiese a sua moglie di dormire con lui alla fine di quel terribile 16 marzo 1978? E che da quel giorno cominciò a impazzire la sua pelle? Non lo sappiamo. Ma che importa?
Il 30 gennaio del 2002 – ricordo ancora la data precisa perché era il giorno del delitto di Cogne – andai a Roma a intervistare Cossiga. Fu un’intervista importante, perché lui lanciò un messaggio dirompente: la proposta di un’amnistia per i brigatisti che partisse dal presupposto che in Italia, negli anni Settanta, si era combattuta una guerra civile. Mai la Dc, mai la magistratura e la politica, mai lo Stato avevano voluto concedere ai brigatisti la dignità di combattenti: terroristi, e basta.
Avevamo appuntamento alle quattro del pomeriggio nella sua casa di Trastevere. Ansioso come sono, sempre timoroso di arrivare in ritardo, mi presentati alle quattro meno un quarto. Cossiga dormiva. Mi fecero accomodare in soggiorno, dove restai da solo per un po’. Che cosa mi colpì? Che cosa quasi mi sconvolse? La quantità di fotografie di Aldo Moro. Cinquanta? No, di più, molte di più. Cento? Forse sì. Forse di più. Veri o no che siano gli episodi ricostruiti nella serie tv, il fatto di una vita spezzata dalla morte di Moro, di un rimorso, di un’ossessione, è vero, verissimo: la narrativa ha raccontato, reso bene, un fatto reale. Fui interrotto, nel mio stupore, dal passo di un uomo ricurvo su se stesso e da una voce: “Caro Brambilla, c’è una cosa peggiore dell’arrivare in ritardo: arrivare in anticipo”.
I volti, le emozioni, il caos, l’incertezza, la paura di quei giorni sono ricostruiti mirabilmente da Bellocchio. Eravamo così: smarriti, con una sensazione di impotenza, di essere stati messi sotto scacco da inarrivabili primule rosse. È comprensibile il dolore di Maria Fida Moro: ma l’uccisione di suo padre non è una faccenda privata. Nulla, forse neanche piazza Fontana, ha cambiato e scosso la storia dell’Italia repubblicana come il delitto Moro.
Né gli storici né i giudici hanno potuto fare piena luce. E allora ben venga il cinema, l’arte, Marco Bellocchio e i suoi bravissimi sceneggiatori (Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino), che ci hanno regalato una cosa così bella che, a quel punto, della verità storica ti importa perfino poco, o nulla.

1 Commento

  1. Alex ha detto:

    Ringrazio Don Giorgio per questo spazio di dialogo. Esprimo una mia opinione, che rimane del tutto personale e non pretendo che venga condivisa.

    Non ho visto “Esterno notte” e non potrò vederlo perché nel paese in cui vivo non è disponibile. Anni fa, però vidi al cinema – dello stesso Bellocchio – “Buongiorno notte”. Sul valore artistico niente da dire, ma l’aura apologetica di cui ammantò i tremebondi, idealisti ed ingenui terroristi non mi andò giù.

    Allo stesso modo non mi vanno giù certe affermazioni del Sig. Brambilla. Più che affermazioni, le solite insinuazioni depressive: “che cosa sappiamo della storia? Di “quella” storia? Del caso Moro, ma anche di molto di ciò che lo precedette e lo seguì…? Bellocchio non rispetta la verità? Ma qual è la verità? L’unica verità certa è che una ragion di Stato ha sempre fatto sì che non emergesse mai la verità”.

    Ci si rimane male quando un giornalista come il Sig. Brambilla, che ha al suo occhiello interviste con l’ex-ambasciatore USA ed il nostro ex-Presidente Cossiga (che lo apostrofa confidenzialmente come “caro”), si/ci chieda quale sia la verità. E forse ancor più che, ubriaco ed investito dal turbine di bellezza ammaliante di Bellocchio, in suo nome arrivi ad affermare che “a quel punto, della verità storica ti importa perfino poco, o nulla”.

    Caro Sig. Brambilla, la invidio. Beato lei che della verità non gliene frega nulla e che sia pronto a barattarla con un bel film. Alla fine tutti i gusti sono gusti, certo, ed il suo amore per la bellezza non è certo più criticabile del mio (detto poi da un’artista….).

    Però la solita litania piagnona della verità che non si conosce, che rimane sempre ammantata nel fitto delle nebbie quella no, non è un opinione condivisibile. Le tante commissioni sul caso Moro hanno fatto un’ottima luce nonostante (questo va detto) le innumerevoli reticenze dello Stato in prima istanza. E’ tutto scritto, nero su bianco. Sono migliaia di pagine. E io credo che il Sig. Brambilla se le sia lette così come fece la sottoscritta anni fa, una per una, impiegando mesi. Ovviamente se si cerca il colpo d’ala dell’Hercule Poirot che esclama: “il colpevole è XY”, quello non si troverà. O almeno, non in questa maniera. Ma c’è tutto. Ci sono i personaggi, le ramificazioni, le collusioni politiche, tutti quelli che hanno supportato/nascosto/agevolato le BR (che non erano affatto sole e che da sole ben poco avrebbero potuto fare), e quant’altro. Il sen. Gero Grassi, che presiedette (credo) almeno una delle commissioni Moro sono anni che ne pubblicizza, tramite libri e conferenze, i risultati.

    Poi, certo, se vogliamo continuare ad alimentare i soliti fumi dei misteri all’italiana (che ci sono, per carità se ci sono) e delle teorie cospiratorie facciamolo pure. Magari, però, scegliendoci un altro argomento. Uno un po’ più da bar, se vogliamo. E senza nasconderci dietro l’alibi di una presunta bellezza.

    Ringrazio nuovamente Don Giorgio per questo spazio.

    PS. Perfettamente d’accordo sull’arte in grado di scuotere le coscienze e porre domande. Ma l’arte non crea una sua verità. Anche perché non esiste la “mia” verità, la “tua” verità, quella storica e quella artistica. Di verità ce n’è una – casomai possiamo apprezzarne diverse sfaccettature. Quindi non diciamo panzanate, grazie.

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