Il Cavaliere non è votabile, ora sul Colle vada il premier

da La Stampa

Il Cavaliere non è votabile,

ora sul Colle vada il premier

Massimo Giannini
L’incredibile pochezza dei sedicenti leader e l’insostenibile leggerezza dei presunti moderati trasfigura il Cav Berlusconi in Sir Winston Churchill.
Anche nell’era della post-pandemia globale e della post-democrazia digitale, il demiurgo dell’antipolitica pre-sovranista e del tele-populismo analogico continua a essere la sola “figura adatta” della destra italiana.
Sopravvissuto alle sue inverosimili disgrazie e ai suoi implausibili delfini, continua a tenere in catene i suoi alleati e in ostaggio il Paese.
Diciamolo subito, per essere chiari: è grottesco, o addirittura pazzesco, ma tutto questo è assolutamente legittimo. Nulla osta alla sua ennesima “discesa in campo”. Berlusconi è perfettamente candidabile. È candidabile sul piano giuridico. Pregiudicato, e condannato a quattro anni di reclusione per un reato assai grave, ha scontato la sua pena. Non in carcere, ma ai servizi sociali presso la struttura di Cesano Boscone. E la sua originaria “incandidabilità”, applicata in base alla legge Severino del novembre 2012 e scattata in seguito alla sentenza definitiva che lo ha riconosciuto colpevole di frode fiscale, è stata cancellata dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, che lo ha “riabilitato” nel maggio 2018.
Ma è candidabile anche sul piano politico. È e resta il fondatore di un’anomala destra tricolore (a-repubblicana, a-fascista, a-europeista), che nel ’94 mescola il partito-azienda forgiato da Marcello Dell’Utri sulla rete Publitalia, i frammenti della diaspora democristian-socialista, gli ex missini lavati con l’acqua di Fiuggi e i padani di Bossi ripuliti da Miglio. È a sua volta portatore di un’anomalia gigantesca e irrisolta, il conflitto di interessi, incistato nella coalizione e introiettato dal sistema.
Resta ancora il padre-padrone di un campo largo persino più anomalo – in cui convivono il governismo di ministri azzurri e cacicchi verdi, il nazionalismo dei leghisti salviniani, l’estremismo dei Fratelli meloniani – e tuttavia probabilmente maggioritario nelle urne. Lo dicono tutti i sondaggi, anche al netto delle potenziali e ulteriori annessioni di rito nazareno con quel che resta del partitino di Renzi.
Dunque, non è uno scandalo che oggi il Cavaliere, alla veneranda età di 85 anni, cerchi ancora una volta di far coincidere la sua biografia politica con quella dell’intera nazione. Di comprare grandi elettori e piccoli peones non più grazie ai bonifici dell’affarista Lavitola (come accadde ai tempi del senatore De Gregorio) ma ai buoni uffici del telefonista Sgarbi (come succede oggi con quella che è stata ribattezzata “operazione scoiattolo”). Di fulminare Draghi sulla via del Colle, minacciando di uscire dalla maggioranza “di unità nazionale” se l’attuale premier lascia il governo. Il vero scandalo è che glielo consentono i suoi alleati.
Salvini e Meloni, figli irresoluti, non vogliono o non possono affrancarsi dall’abbraccio mortale dell’anziano genitore, e così ne assecondano i capricci senili. È grave se ci credono davvero, a dispetto delle chiacchiere vuote sullo “spirito Sassoli” che dovrebbe caratterizzare l’elezione no-partisan della figura chiamata a rappresentare tutti gli italiani e a perseguire il bene comune.
Ma è grave anche se non ci credono, a dispetto dell’endorsement ufficiale, e magari si illudono di risolvere il problema lasciando che l’Autocandidato fallisca la compravendita nello squallido outlet del gruppo misto o vada a sbattere contro il muro nelle prime tre votazioni. In tutti i casi, sottovalutano le rovinose macerie che l’urto finirà per produrre. Sulla solidità delle istituzioni e sulla credibilità degli stessi partiti, sulla tenuta del governo e sulla vita quotidiana dei cittadini.
E il vero scandalo è che glielo consentono anche gli avversari. Letta e Conte, a questo punto, farebbero bene a compiere l’unica scelta che potrebbe almeno salvare il salvabile: candidare al Colle proprio Draghi, come non hanno ancora avuto il coraggio di fare e nonostante i problemi che questo creerebbe sull’esecutivo, scaricando sulla destra la drammatica responsabilità di dire no alla risorsa migliore di cui l’Italia dispone. Pd e Cinque Stelle non possono limitarsi a ripetere che la candidatura di Berlusconi è “divisiva”. Il punto non è questo. Negli annali della Repubblica ci sono stati diversi presidenti “divisivi”, perché di “parte”. Ma è la funzione che sviluppa l’organo. L’ha detto nei suoi auguri di fine d’anno Sergio Mattarella, un Capo dello Stato esemplare che salvo sorprese rimpiangeremo: chi entra al Quirinale e serve le istituzioni ha il dovere supremo di garantire tutti, dismettendo gli abiti della propria appartenenza passata e presente. Questo nobile processo di spersonalizzazione, in teoria, potrebbe azzardarsi a compierlo persino il Cavaliere, ansioso com’è di veder risarcita dalla Storia la sua titanica avventura politica.
Ma qui ha ragione Pierluigi Bersani, quando sostiene che la Presidenza della Repubblica non è “un Oscar alla carriera”. Il punto vero, come ha scritto sul nostro giornale Montesquieu, non riguarda la legalità formale e la legittimità politica della candidatura, ma la sua compatibilità costituzionale, che riflette la somma ideale tra gli articoli 49, 54 e 87 della Carta del 1948: “Rappresentanza, difesa della Costituzione, unità nazionale, terzietà, equidistanza tra le posizioni politiche, reputazione internazionale”.
Con tutta la simpatia umana e personale, Berlusconi non è “figura adatta” rispetto ad alcuno di questi valori e di questi principi. È tempo di dirlo chiaro e forte. Prima di tutto a lui, che da combattente irriducibile quale è si prepara alla sua ultima battaglia con la solita volontà di potenza: caro Cavaliere, è meglio un giorno da scoiattolo che altri sette anni da caimano.
E poi a tutti quelli che, nel Palazzo e nel Paese, ridono e dimenticano: cari italiani, ricordatevi chi siamo e da dove veniamo. È la lezione di Milan Kundera, e del suo grande romanzo: “La lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”.

5 Commenti

  1. Martina ha detto:

    L’opposizione fa benissimo a combattere, anche a distruggere la candidatura di una persona incandidabile. Semmai é lui il dittatore che riesce sempre a tenere tutti in pugno e fare il brutto e bello tempo che vuole. Allo stesso tempo, l’opposizione, é chiaro che deve proporre un nome valido e decente!

  2. Giuseppe ha detto:

    L’opposizione non deve e non ha alcun diritto a fermarlo, non siamo fortunatamente in dittatura! Semmai deve essere all’altezza e proporre, proporre, proporre… finchè c’è gente a sinistra che pensa che l’avversario politico vada ostacolato o fermato, non ne usciremo più. Va semmai superato con persone valide e proposte interessanti!

  3. Martina ha detto:

    Sì ma il problema è che non c’è una opposizione decisa, determinata, capace di fermarlo e di spazzarlo via. Possibile che questo Coso trovi sempre la strada libera?!?

  4. Giorgio ha detto:

    Articolo perfetto. Non ha tuttavia messo in evidenza che Scalfari e Napolitano non sono stati un Presidente “equidistante tra le posizioni politiche e con reputazione internazionale”.

  5. Giuseppe ha detto:

    Bellissima disanima… tuttavia il problema è più grande di Berlusconi stesso: i partiti, soprattutto a sinistra, non azzardano a candidare alcuno di valore, o meglio, non ne hanno e quei pochi che hanno non sono stati in grado di candidarli come segretari di partito. Manca leadership ovunque, ma anche serie e discrete figure di riferimento

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