INDIFFERENZA E FASCISMO DI STATO
INDIFFERENZA E FASCISMO DI STATO
In questi giorni di lutti, tragedie e cordoglio, voglio ricordare un dramma passato sotto silenzio, quello di Alina, una giovane donna ucraina, suicidatasi in un posto di polizia a Trieste, mentre attendeva il rimpatrio, mentre vedeva svanire una a una tutte le sue speranze.
Il dramma di Alina è avvenuto tre giorni fa, ma l'opinione pubblica (con l'immancabile complicità dei media) l'ha spazzato via perché aveva altro su cui riversare le proprie lacrime.
Non ci si ricorda mai di chi è solo, di chi è debole.
La repressione sociale tritura i corpi dei dimenticati con le stesse modalità di un mattatoio, e l'indifferenza cancella ogni ricordo, ogni coscienza.
“Forse sarà che la gente non sa, forse sarà che la gente non può più capire, aiutare…
Salire sul tetto di un grattacielo, avvicinarsi al limite estremo di quella piattaforma di cemento e poi osservare atterriti il vuoto sotto di sé…
L'istinto mi direbbe di fuggire, di allontanarmi con mille cautele da quel bordo; ma come fare se una forza superiore ci costringe a non muovere un solo passo all'indietro, verso la salvezza?
Ansimando, rimarrei sgomenta a contemplare le indifferenti forme microscopiche che scorgerei da quell'altezza.
Poi, un accesso di folle disperazione mi indurrebbe a compiere l'impensabile: un passo, solo un piccolo passo…
Subito, a volo appena iniziato, l'istinto mi farebbe cercare un inesistente appiglio, ma non troverei alcun ostacolo al mio precipitare.
Sperimenterei per qualche istante l'ebbrezza di una violentissima velocità che mi schiaccerebbe le membra e comprimerebbe all'inverosimile le mie viscere.
L'aria mi penetrerebbe in gola soffocandomi, mentre i miei occhi verrebbero investiti da fulmini di ghiaccio.
Non riuscirei a piangere, a gridare, a respirare… A tornare indietro, a salvarmi…
L'impatto col ruvido suolo di cemento sarebbe devastante, forse agonizzerei per qualche attimo guardando il cielo con gli occhi sbarrati, impossibilitata a muovermi, mentre intorno a me la mortale indifferenza della città aggiungerebbe silenziosa il mio nome all'elenco degli eliminati…”
Un articolo su Alina da Femminismo a Sud:
“Alina Bonar Diachuk, ucraina, aveva 32 anni. Un giorno l’hanno presa e portata in un ufficio di polizia per l’immigrazione. Dentro c’era un tale che teneva una targa mussoliniana dal titolo “Ufficio epurazione” e una serie di libri antisemiti e dichiaratamente nazisti. Tra gli altri: Julius Streicher, Adolf Hitler e Julius Evola. Il dirigente dell’ufficio, Carlo Baffi, è stato sospeso e sono partite indagini perché il questore e tutti quanti dicono che quella, no, non è mica la questura degli orrori. Carlo Baffi, indagato per sequestro di persona e omicidio colposo, pare ritenesse le leggi sull’immigrazione troppo morbide.
C’erano due agenti che sorvegliavano Alina mentre era detenuta illegittimamente in quel commissariato. Cosa sia accaduto ad Alina non lo sa nessuno. Si sa solo che si è impiccata. I due agenti sono accusati di omicidio colposo e violata consegna perché giusto nel momento in cui lei si suicidava, nonostante vi fosse anche una telecamera di sicurezza, non si sono accorti, nei 40 minuti di agonia di Alina, di ciò che stava accadendo.
Trovate tutti i dettagli nella rassegna stampa di Bollettino di Guerra e poi ditemi se quelli sono gli uomini che dovrebbero “tutelarci” quando si parla di violenza sulle donne.
Non possiamo chiamare il suicidio di Alina un “femminicidio”, perché su questo oramai è Repubblica che detta le regole, ma io vorrei osare e dire che si tratta di un suicidio di Stato e come quello chissà quanti altri dentro i Cie e dentro le galere per motivi di cui non siamo a conoscenza.
Lo abbiamo visto già con Genova, con Bolzaneto, ora con i lager nazisti 'legalizzati' e con questa gente che abusa del proprio potere per compiere la propria vendetta personale sulla base delle proprie ideologie discriminatorie e fasciste: il fascismo in Italia esiste e non c’è nulla che possa difenderci da esso salvo noi stess*. Perché questo fascismo è di Stato.
Buonanotte Alina. Buonanotte cara. La nostra rabbia e il nostro amore siano con te.”
21 maggio 2012
Zero virgola zero
Ecco cosa sono per questa società le persone trans.
Zero è quello che siamo; dopo la virgola c'è quello che ci viene concesso: zero.
Chiaramente non è una cosa che scopro oggi, lo so da una vita.
Ma perché i benpensanti (mi riferisco a quelle persone che credono di esserci solidali), una volta tanto, non ammettono che questa società rifiuta il transessualismo?
Non è vero che si sono fatti passi avanti negli ultimi anni: non è vero.
Le menti e le coscienze, riguardo a tale questione, si sono chiuse sempre più, fino ad arrivare ad un'ignoranza spaventosa.
Da una vita vado chiedendomi da dove scaturisca questa sistematica mancanza di rispetto (è un eufemismo). Perché solo per me (e per poche altre persone) il modo in cui è stata data la notizia dell'uccisione di Patrizia a Milano due settimane fa è mostruoso?
Perché la gente cosiddetta normale non inorridisce anch'essa dinanzi a una tale aberrante mancanza di rispetto?
Sui giornali, i giorni successivi al tragico fatto, si è letto fra le altre cose: “E' stato ucciso un uomo che si faceva chiamare Patrizia”. Da una frase come questa io posso dedurre una sola cosa: vivo in una società feroce popolata da poveri idioti e ritardati.
Altre cose non ne posso pensare.
Calpestare a questo modo la dignità delle persone, azzerare completamente il motivo per cui si intraprende il percorso di transizione, significa cancellare dal mosaico sociale la persona trans.
Lo ripeto: non me ne sono accorta ieri.
La mia vita è costellata di isolamenti, silenzi, sguardi biechi: ed è con tutto questo che la società mi emargina.
I soliti idioti diranno: “Eccola che rompe i coglioni col vittimismo.”
Ma perché invece di dir questo (e di continuare con la sua cattiveria) certa gente non la smette di agire facendosi guidare solo dall'ignoranza?
Ci sono anche altre opzioni: la sensibilità, la comprensione, l'amicizia. Perché tenersi stretta a questo modo un'ignoranza così assassina di sogni, di speranze, di persone?
Questo è un bell'articolo sull'argomento uscito su queerblog:
“A Milano viene trovata morta una trans: è stata uccisa? oppure si è trattato di un terribile suicidio con una coltellata auto-inflitta? I fatti non sono chiari, ma una cosa emerge con chiarezza dai resoconti offerti dai quotidiani italiani: la dignità dei morti vale, in genere, per i politici passati a miglior vita, per i ladri, per gli assassini, ma non per le persone transessuali.
Non si spiegherebbe altrimenti per quale motivo quotidiani di antico e indubbio prestigio, come il Corriere della Sera o il Messaggero, o di storia più recente, ma di autodichiarata fede progressista, come Repubblica, abbiamo potuto infierire con tale superificialità, crudeltà, indifferenza, ferocia sulla vita e sul corpo, ormai morto, di una trans così come si può leggere nelle cronache pubblicate online – e sulle versioni cartacee.
Si legge di “un viado”, oppure di “un uomo che si faceva chiamare Patrizia“; si scrive, senza neanche un secondo di dubbio, di “un trans”, perché quello che conta è il sesso biologico, quello esterno garantito dalla presenza dei genitali. Non importa che quella persona – ormai morta – vivesse la propria identità sessuale come quella di una donna e che, per correttezza, sarebbe giusto (sarebbe umano) considerarla come appartenente al genere femminile. L’Ansa arriva a parlare del “cadavere di un uomo, apparentemente un transessuale”…
È una questione di leggerezza, di ignoranza, di superficialità, che consente di uccidere una seconda volta una persona già morta.”
E queste invece sono alcune righe tratte dal mio libro Uncuorebestiale:
“D’improvviso, alle mie spalle udii dei passi; mi voltai e vidi che si trattava di un’infermiera.
'E’ morto all’alba, la salma è stata trasferita alla camera mortuaria.'
Morto… Ah, be’, certo: aveva il pisello. Poco contava che il mio amico avesse sempre vissuto come una donna, che avesse iniziato le terapie ormonali all’età di sedici anni e che il suo corpo –a parte quel piccolo particolare- fosse sempre stato quello di una miss. Il pisello e il passaporto parlavano chiaro: Linda era un uomo. E così si cancellavano una persona e la sua storia, per archiviare qualcuno che non era mai esistito: poveretti.
Nessuna volontà di capire, nessun rispetto, niente: neanche da morte.
Annuii senza polemizzare (strano per me, ma dato il momento volli fare una eccezione), salutai l’infermiera e me ne andai. Senza piangere: di lacrime non ne avevo più.”
15 febbraio 2012
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putroppo questo è la conseguenza di quello che ci propinano i mas media.dietro le righe fanno di tutto,ma proprio tutto,poi fanno gli ipocriti su persone sensibili.personalmente ne conosco di persone diverse e devo dire che abbiamo molto da imparare da loro.è più facile che ti stiano vicino loro che quelli normali.
Negli ultimi anni tanti agenti delle forze dell’ordine hanno perso ogni ritegno di tipo morale.
E’ evidente che non hanno paura e se non hanno paura si sentono incoroggiati.
Scrvio ora di ciò che vede.
Vedo, quindi testimonianza diretta, manifestanti anche anziani presi a manganellate anche quando sono a terra inerti, spesso da soli perchè il grosso dei manifestanti è stato respinto.
Lo vedo spesso nel TG.
Caricano a manganallate anche quando non cè ne bisogno.
Non vedo quasi mai manifestanti raccolti e seduti in un angolo con un agente dall’aria “Se ti muovi ti managanello” ma agenti che manganellano cittadini a terra che si coprono.
Non mi piace la deriva che prendono.
I partti che un incoraggiamento korale lo danno sono due: PdL e Lega.
Ciao Barbara, forse ti ricordi di me. Non so che dire: ogni volta che leggo questi articoli mi ritrovo a pensare, di fronte alla mancanza di pietà, di rispetto, all’insulto alla dignità: “Ma non possiamo essere, tutti quanti, semplicemente PERSONE? Perché dobbiamo essere UN’EICHETTA?” E se etichetta deve essere, perché non chiedersi qual è quella che la persona stessa avrebbe voluto darsi? Chi lavora con le parole ha un potere enorme e non lo sa.