Uno sfogo necessario per un risveglio salutare

L’EDITORIALE
do don Giorgio

Uno sfogo necessario per un risveglio salutare

Lo confesso. In questi ultimi tempi non mi sento o, meglio, non provo alcuna attrattiva, diciamo che sono pigro, o meglio, che non ho voglia di mettermi davanti a una videocamera e sparare a zero contro questo o contro quella: mi sembra di essere vuoto dentro, quasi amorfo, forse perché nauseato di tutto e di tutti.
Ma il motivo forse è un altro: a che serve?
Una domanda che prima, nei bei tempi delle lotte anche feroci, non mi ponevo, forse perché c’era una dura anche virulenta reazione anche popolare, il che mi teneva in vita, dandomi una ragione per continuare a lottare.
Ma era una illusione, forse non capivo che la vera dialettica non sta in una magari sterile contrapposizione, tanto più se da una parte c’è la durezza del potere politico e ecclesiastico, e dall’altra una voce di protesta, magari isolata o per lo meno lasciata sola in un contesto di comunità, che pensa solo a tenersi caro il “suo” prete, tanto caro da proteggerlo, pretendendo da lui una vita “normale”, di buon pastore che ha cura delle sue pecore, poche o tante che siano non importa, purché siano lasciate tranquille a vegetare senza essere troppo esposte ai lupi rapaci.
Da anni ormai (più di otto per precisione) non ho più un gregge da “curare”: sono un pastore a cui è stato tolto tutto, perfino il nome o la qualifica di pastore.
Lottare da prete di parrocchia mi prendeva con una passionalità tale da non sentirmi pastore senza espormi ed esporre anche il gregge alla violenza invasiva del lupi rapaci.
Mi hanno “strappato” il gregge; ciononostante mi sento empaticamente unito con quel pezzo di umanità che, volere o no, mi coinvolge, anche se quasi esclusivamente solo su internet.
Dicono che la realtà sia un’altra cosa da quella che si incontra sui social. Ma tutto è questione di empatia, che però va oltre la carnalità o quel rapporto talora brutale con le situazioni reali di una comunità o di un paese in quanto tali.
Ma è qualcosa che in realtà non ci lascia mai estranei o indifferenti, evitando di isolarci per non farci soffrire, per poi buttarci giù in una depressione tale da non permettere qualche salutare reattività.
Il contatto con la gente stimola a reagire, lottando perché il gregge non si lasci abbindolare da pastori mercenari.
Ora il contatto con la gente mi manca, e la domanda: A che serve?, torna frequentemente.
Se prima mi era istintivo colpire con un linguaggio per nulla politicamente corretto gentaglia che cavalcava qualsiasi forma di potere, ora la domanda torna: A che serve?
In realtà la domanda ha una sua logica: non si sconfigge il potere solo con le critiche anche aspre.
È il tempo il vero giudice implacabile del potere più o meno corrotto.
Prima ero insofferente, imprudente, impaziente, istintivo, forse troppo orgoglioso per capire che il potere ha la pelle troppo grossa e tenace perché una lingua tagliente lo possa anche semplicemente scalfire.
Il tempo!
Il temo ha messo in ginocchio l’orgoglio degli egiziani, dei persiani e dei babilonesi, dei romani, dei sovietici e dei nazisti e fascisti, anche se il tempo sfascia le strutture, gli imperi, ma lasciando ancora sopravvivere certe ideologie, che mutano nel nome, ma senza perdere la loro perversità mentale.
Il tempo!
Il tempo è il tribunale più spietato della storia.
Tutti prima o poi saranno vittime del tempo, soprattutto i ricchi e i potenti.
Lo dice anche il Magnificat, anche se è lo stesso Dio ad allearsi con il tempo.
No, non mi lascio prendere dalla depressione, solo ho cambiato tattica. Prendere di petto il potere e i potenti, le ricchezze e i ricchi non produce quegli effetti che ci aspetteremmo: forse la nuova tattica sta nella dialettica tra il Bene e il male.
Se il male c’è, e di conseguenza i farabutti, i criminali, gli ingiusti, è perché si crede poco nella potenza del Bene: il male in sé non esiste, esiste solo il bene, a cui però si toglie purtroppo la possibilità di realizzarsi. Ogni possibilità mancata, ecco il male.
Chi è allora il farabutto, il criminale, l’ingiusto? Colui che toglie al Bene qualche possibilità di realizzarsi.
Sto finalmente capendo che la migliore lotta per sconfiggere il potere sta nel proporre la Bellezza del Bene, così da convincere più gente possibile a realizzare il Bene, togliendo così ai farabutti ogni occasione per destabilizzare il Bene.
Certo, non basta dire questo: ciò potrebbe anche sembrare semplicistico. Qualcosa di affascinante, ma campato per aria.
Da quando ho scoperto la Mistica, nessuno riuscirà a convincermi che basta lamentarsi, borbottare, magari lottare anche scendendo in piazza, ma stando fuori di se stessi, come se la pelle va cambiata con un’altra pelle.
La rivoluzione deve partire dal di dentro, ma a chi spetta educare la gente a convertirsi, ovvero a rientrare in se stessa?
Eppure anche Cristo, oltre gli antichi greci, aveva parlato di cambiare mentalità. “Metanoèite!”.
Il problema è grave, disperato, quando la stessa religione non vuole raccogliere i messaggi dei Saggi, e la Buona Novella.
La domanda: A che serve? esige un’altra risposta. Certo, non basta averla trovata.
Ma c’è un’altra domanda: Oggi dove sono i veri saggi, che richiamano gli antichi filosofi greci?
E, parlando del Cristianesimo delle origini, dove sono i profeti, forse dovrei dire, dove sono i Mistici?
18/12/2021
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

1 Commento

  1. Giorgio ha detto:

    Il piccolo Mahatma Gandhi ha sconfitto la potente Inghilterra non con gli insulti ma presentando il Bene.
    Don Giorgio, sei sulla buona strada.

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