Omelie 2022 di don Giorgio: SECONDA DOPO PENTECOSTE

19 giugno 2022: SECONDA DOPO PENTECOSTE
Sir 18,1-2.4-9a.10-13b; Rm 8,18-25; Mt 6,25-33
Mi sembra che anche nei tre brani scelti dalla Liturgia per questa domenica ci sia come un’unica parola di fondo che li ispiri. Ho detto “come un’unica parola”, in realtà è lo Spirito divino in quanto Sapienza. Sapienza significa non solo intelletto o luce, ma, come già suggerisce la parola, anche quel sapore da gustare spiritualmente nella creazione, vista come grembo che genera la vita.
Nel Salmo 34 leggiamo: “Guardate a lui e sarete raggianti”. Qualche esegeta traduce: “contemplatelo e sarete luminosi”. Nella contemplazione pura dello spirito avviene quell’unione mistica con il Divino, che trasforma il nostro essere in uno specchio di luce. Sempre nel Salmo 34 troviamo anche: “Gustate e vedete com’è buono il Signore”. Buono sta per bontà, ovvero quel Sommo Bene, che è l’essere stesso di Dio. Gustare significa vivere di quella Gioia che è pura gratuità.
L’autore sacro, nel brano di oggi, desunto dal libro del Siracide, pone una serie di riflessioni e di domande, quelle giuste, perché nascono spontaneamente da un’unica meraviglia, che è l’incanto davanti alla creazione, come dono di Dio.
L’incanto nasce dunque spontaneo non da speculazioni filosofiche, tanto complesse da disorientare l’uomo semplice, ma da quella contemplazione di cui parla il Salmo 34: “Contemplatelo e sarete raggianti”.
Due sono le riflessioni dell’autore sacro che mi hanno colpito: «Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore». Nulla da togliere e nulla da aggiungere, perché Dio è infinito, e basta a se stesso. E, essendo infinito, “non è possibile scoprire di colpo tutte le meraviglie del Signore”. Forse potremmo accontentarci di qualche flash di meraviglia per star bene dentro. Più ci meravigliamo della Bontà divina, presente nel Creato, più siamo meravigliati. Già il nostro essere è una meraviglia, uno stupore.
E la seconda riflessione: “Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità”. Non contano gli anni, più o meno numerosi, quanto gustare una goccia d’acqua nell’Oceano infinito o un granello o seme di vita nell’Eterno presente. Gli antichi riflettevano su queste cose, e noi invece siamo preoccupati di correre dietro a qualche piuma portata via dal vento.
Nella Lettera che San Paolo ha scritto ai cristiani di Roma troviamo l’invito a contemplare la creazione. La natura e il creato sono la stessa cosa: natura significa ciò che sta per nascere, è sempre in gestazione, creato significa l’universo che non è qualcosa di già realizzato, ma è sempre in fase di realizzazione, per cui dire universo, come dice la parola “verso l’uno”, è dire uno sviluppo, un cammino verso la sua unità.
Dunque, tutto è in gestazione che, come dice San Paolo, comporta gemiti come di una donna che sta per partorire. Ma ciò che colpisce è il fatto che la gestazione è ininterrotta, dunque sempre una meraviglia.
Poi l’apostolo Paolo dice: “Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli…”. Dunque, non solo “tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto”, ma anche il nostro essere interiore, che, come un grembo sempre fecondo, genera la vita per opera dello Spirito. Lo spirito geme, perché il distacco dalla carnalità comporta sofferenza, dolori.
Passiamo al terzo brano della Messa. Fa parte del famoso Discorso della Montagna: è la pagina più lirica presente nei quattro Vangeli.
Vorrei soffermarmi più specificatamente analizzando i verbi o le parole usate da Gesù. Dico solo che il verbo greco, tradotto in italiano con “preoccupatevi”, è “merimnao”, che significa di per sé “sono in ansia”. In che senso? Il verbo greco “merimnao, usato da Matteo, è una combinazione di due parole: “merizo”, che significa “dividere”, e “nous”, che significa “mente” (includendo le facoltà percettive, di comprensione, sentimento, ecc.)
Quindi, chi è in ansia ha la mente divisa, è confuso, si lascia prendere da emozioni o sentimenti fuori controllo, che non provengono dall’intelletto “attivo”, quello che è illuminato dall’Intelletto divino. Direbbe Aristotele: chi è in ansia si lascia condizionare dall’intelletto “passivo”, quello che assorbe ogni cosa che il proprio ego prende dalla carnalità.
Le cose ci dividono o ci separano nel nostro mondo interiore. Siamo dissociati, perciò in balìa delle cose, da qui ansie di ogni genere. Di qui l’invito di Cristo a non essere in ansia, in agitazione, con la mente confusa, e perché evitiamo di cadere in questo stato d’animo stressante il nostro essere occorre risvegliare il nostro intelletto interiore.
Ma Cristo non si limita a dire di non essere in ansia, passa poi al positivo: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio!”.
Qui dovrei soffermarmi sul verbo “cercare” e sull’espressione “regno di Dio”. Il verbo “cercare”, in greco, “zetèin”, è interessante. Pensate: la prima parola che Gesù pronuncia nel Vangelo di Giovanni è una domanda che pone a bruciapelo ai due che lo stanno seguendo: “Che cosa cercate?” Τί ζητεῖτε; È questa una domanda importante che tende a scavare le intenzioni più intime; l’evangelista la sceglie con cura e la riproporrà ancora due volte nel corso della sua narrazione: all’inizio della sua passione, Gesù chiede per due volte a coloro che sono venuti ad arrestarlo nel giardino: «Chi cercate?» (18,4.7); la stessa domanda ripete il Risorto al mattino di Pasqua, quando vuole scuotere la Maddalena piangente: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (20,15).
Gesù indica chiaramente ciò che bisogna cercare: il regno di Dio! E sul “regno di Dio” potremmo star qui a lungo a elencare tutte le spiegazioni che se ne sono date, dimenticando che quella giusta l’ha data Gesù stesso che alla domanda dei farisei: «Quando verrà il regno di Dio?», risponde: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è dentro di voi! Dire che il regno di Dio è dentro di noi cambia tutto. Il regno di Dio è spirituale, è il regno dello Spirito che agisce nello spirito di ogni essere umano.
Infine, Gesù unisce al regno di Dio la giustizia. La giustizia di Dio è qualcosa che va ben oltre il concetto umano di giustizia. Non posso soffermarmi: il tempo a disposizione è trascorso. Ma una cosa è da dire: chi cerca il regno di Dio e la sua giustizia otterrà anche tutto il resto. Gesù non l’ha detto, ma sembra chiaro: chi scopre il regno dello spirito scopre anche il segreto per la risoluzione dei problemi sociali e politici, che non troveranno una soluzione finché si rimane fuori dal proprio essere. Chi è un alienato, vive fuori dal proprio essere, penserà, vivrà sempre da alienato.

1 Commento

  1. Martina ha detto:

    STUPENDA!

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