Don Alberto Ravagnani rappresenta una Chiesa già morta in partenza con la benedizione della salma da parte della curia milanese

Don Alberto Ravagnani

rappresenta una Chiesa già morta in partenza

con la benedizione della salma

da parte della curia milanese

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TESTO DELLA RISPOSTA DI DON ALBERTO
alle domande di Fedez
Trascrizione dal video di don Giorgio

La Chiesa e il mondo. La Chiesa vive nel mondo come l’anima nel corpo. Eppure, oggi sembra che non riescano più a comunicare tra di loro. Anzi, nonostante tutto il bene che fa, la Chiesa non è ben vista, e il mondo ci snobba, sfotte le nostre tradizioni, e tanti purtroppo ci odiano.
Praticamente tutti crescono all’interno della Chiesa, o perché vanno in oratorio, o perché frequentano il catechismo, o fanno l’ora di religione a scuola, ma poi crescono, e la maggior parte di loro se ne va, e quasi non ci stupiamo neanche più di questo allontanamento come se tutto ciò fosse normale. Forse ci sta sfuggendo qualcosa.
Al sabato sera le discoteche sono piene di ragazzi, e alla domenica mattina in chiesa non ce n’è quasi nessuno. Tutti sono appassionati di fitness e pochissimi hanno a cuore la propria vita interiore. I giovani seguono quello che dice Fedez, e non ascoltano quello che dice il Papa.
I casi di pedofilia sono uno schifo, uno scandalo insuperabile e rimarranno una ferita sempre aperta nel cuore della Chiesa, ma forse ancor più dolorosa è stata la difficoltà da parte dell’istituzione ecclesiastica di riconoscerli e di prendere una netta posizione di fronte ai preti coinvolti. Papa Francesco sta facendo di tutto per risolvere il problema, ma certo bisognerà comunque ancora fare i conti sul perché tutto questo sia capitato.
E poi la lentezza e la fatica con cui la Chiesa sta aggiornando i propri linguaggi per parlare a un mondo che ormai comunica soprattutto attraverso i social nwtork, e anche questo è motivo di fraintendimento tra la Chiesa e il mondo.
Ma è possibile che questa Chiesa che aiuta, incoraggia e sostiene chiunque soprattutto i più bisognosi, sia arrivata farsi ignorare e detestare da così tanta gente, perché l’amore che tiene insieme la Chiesa non è in grado di convincere questo mondo. E meno male che il mondo ce lo ricorda, anzi dovremmo ringraziarlo perché ci permette di convertirci e a rimanere fedeli alla nostra missione al servizio dell’umanità.
Noi non possiamo indugiare ancora. Dobbiamo investire tutte le nostre energie, tutte le nostre risorse per dialogare col mondo, e realizzare nel mondo il Regno di Dio, che è amore, pace, giustizia, verità.
Dobbiamo farlo, devo farlo, perlomeno per i miei ragazzi che sono parte della Chiesa e vivono nel mondo, che vanno al concerto di Fedez e vengono anche in oratorio. Io lo so che non posso fare tutto questo da solo, ma insieme possiamo riuscirci.

Commento di don Giorgio De Capitani

1. “La Chiesa e il mondo”.
Non sopporto quel brutto vizio di usare parole, che sono chiaramente equivoche, o tanto vaghe da andar bene per ogni ciabatta, senza doverle prima spiegare.
Del resto nei Vangeli, in particolare nel quarto, quello secondo la comunità di Giovanni, il termine “mondo” aveva una connotazione fortemente negativa: l’insieme delle forze del Maligno. Cristo ha detto agli apostoli: «Voi siete “nel” mondo, ma non siete “del” mondo».
Perché non chiarire subito il termine “mondo”, tanto più che, come si dirà in seguito, è il mondo a giudicare male la Chiesa, odiandola? Se così fosse, perché prendersela, dal momento che l’odio del mondo è un onore per la Chiesa, la quale può sempre riconoscere davanti a tutti di essere portatrice di un messaggio fortemente provocatorio, e non di essere connivente o succube del Maligno, o del primo venditore di stracci che passa per la strada, esponendo i propri tatuaggi.
Ed ecco il secondo termine: “Chiesa”. Di quale Chiesa si tratta? C’è la Chiesa di Cristo, che è quella radicalmente evangelica, c’è la Chiesa gerarchica, c’è la Chiesa istituzionale. E perché non chiarire che il Cristianesimo non è una religione, ma la Via, tanto è vero che i primi cristiani, scrive Luca negli “Atti”, venivano chiamati “quelli della Via”. Se è una Via, come potrebbe essere una struttura, che è di per sé qualcosa di immobile? Ma c’è sempre l’inganno: le istituzioni religiose sanno come far camminare le strutture, moltiplicandole a dismisura in modo da sembrare una lunga interminabile catena che attanaglia ogni spazio dell’universo. Se non basta una religione, eccone un’altra pronta a dare una mano, dietro la regia del Maligno che sa giocare bene le sue pedine.
E così la Chiesa istituzionale, fin dagli inizi, si è fatta religione, e perciò ha tradito il volere di Cristo. Immaginate come possono cambiare le visuali, le valutazioni, i giudizi, le accuse, per evitare di dare le solite risposte scontate, come se la Chiesa istituzionale, sempre e comunque, fosse da prendere come Verità assoluta. Sant’Ambrogio non l’aveva chiamata “casta meretrix”? Aggiungerei: poca casta, molto puttana!
E ora immaginate anche il confronto di don Alberto tra il mondo e la Chiesa. Quale mondo? Quale Chiesa?
2. “La Chiesa vive nel mondo come l’anima nel corpo”.
Altre parole da chiarire: anima e corpo. Che cosa s’intende qui per anima, e che cosa s’intende per corpo? Anzitutto, sarebbe ora di riprendere la concezione tridimensionale dell’essere umano, che è fatto di corpo, anima e spirito. Già gli antichi filosofi greci erano arrivati, ed erano convinti che, senza lo spirito, all’essere umano mancasse la cosa più essenziale. Che l’essere umano fosse tridimensionale, corpo, anima e spirito, non fu una concezione solo degli antichi, ma così si pensò fino al Medioevo e oltre. I Mistici ne erano profondamente consapevoli tanto che, senza la realtà dello spirito, che è l’aspetto più interiore dell’essere umano, non si può parlare del Divino in noi. Per i Mistici l’anima o psiche è l’aspetto intermedio, più legato all’esterno carnale che allo spirito. E non dimentichiamo le parole di Gesù, che invita a odiare la propria anima (in greco c’è psiché, e non bios).
È vero che si parla di anima intendendo lo spirito, ma dal momento che oggi la convinzione è, anche da parte della Chiesa, che l’essere umano è bidimensionale, composto solo di anima e di corpo, forse bisognerebbe spendere qualche parola in più per spiegare che siamo fatti di corpo, di anima e di spirito. Lo spirito è addirittura ignorato dalla psicologia e dalla psicanalisi. E se qualcuno mi chiedesse il motivo per cui la Chiesa non parla mai dello spirito, limitandosi a parlare di anima e di corpo, la mia risposta non potrebbe essere che questa: la Chiesa da secoli ha condannato la Mistica, l’unica che parlava della realtà dello spirito dell’essere umano, così profondo da sfuggire al controllo di ogni mediazione, come quello della Chiesa cattolica che ancora oggi vuole mettersi per traverso tra lo spirito dell’essere umano e la Divinità. La Mistica sosteneva l’autonomia dello spirito umano, e l’autonomia dello Spirito divino, in altre parole riteneva la religione solo come uno strumento, e come tale va usato, facendone anche a meno qualora si intromettesse con tutto il suo presuntuoso e invadente potere di mediazione. Nulla deve esserci tra lo spirito e il Divino, e questo è possibile solo nella libertà dello Spirito, senza indebite pressioni o interferenze.
Che significa allora: “la Chiesa vive nel mondo come l’anima nel corpo”? Parole assurde, superficiali, pronunciate da un prete con la testa confusa.
 
3. “Eppure, oggi sembra che non riescano più a comunicare tra di loro. Anzi, nonostante tutto il bene che fa, la Chiesa non è ben vista, e il mondo ci snobba, sfotte le nostre tradizioni, e tanti purtroppo ci odiano. Praticamente tutti crescono all’interno della Chiesa, o perché vanno in oratorio, o perché frequentano il catechismo, o fanno l’ora di religione a scuola, ma poi crescono, e la maggior parte di loro se ne va, e quasi non ci stupiamo neanche più di questo allontanamento come se tutto ciò fosse normale. Forse ci sta sfuggendo qualcosa. Al sabato sera le discoteche sono piene di ragazzi, e alla domenica mattina in chiesa non ce n’è quasi nessuno. Tutti sono appassionati di fitness e pochissimi hanno a cuore la propria vita interiore. I giovani seguono quello che dice Fedez, e non ascoltano quello che dice il Papa”.
Come fanno a comunicare tra loro il Maligno e quello spirito interiore che è in contatto profondo con lo Spirito santo? Secondo don Alberto dovrebbero comunicare tra loro, e se ne lamenta, si rattrista, non si rassegna all’idea che possa capitare il miracolo, e nemmeno si rende conto di pretendere da Dio una bestemmia atroce.
Capirei se don Alberto intendesse per mondo l’universo così generico da dire nulla o quella società di uomini tanto alienati da sragionare ad ogni impulso divino, per cui è come se tra la Chiesa (quale Chiesa?) e il mondo (quale mondo?) si frapponesse un muro di cemento armato così alto che, neppure mettendo le ali (qualche buona volontà da parte della Chiesa e da parte del mondo), sarebbe “possibile” scoprire uno spiraglio d’intesa.
E pensare che la parola “possibilità” (anche questa parola da chiarire) apre un mondo (questo sì del tutto positivo) di “potenzialità” tutte da sviluppare fino a raggiungere l’ultima in grado di immergerci nella Divinità, purissimo Spirito.
E qui, come si può parlare di Bene consumato nelle sue potenzialità divine, affermando in modo del tutto sbrigativo come se la Chiesa cattolica fosse l’ideale stesso, già realizzato o una ininterrotta sorgente di cose buone, anzi ottime, anzi divine?
Don Alberto rivela ancor più la sua superficialità in un’analisi gretta della crescita dei ragazzi, come se tale crescita fosse costretta entro un alveo da infantilismo a infantilismo: e così, come dice etimologicamente la parola, il ragazzo man mano perderà la sua parola per ascoltare come involute scimmiette le parole vuote di un rapper famoso, personaggio partorito nel grembo del nulla demenziale, anche se economicamente ricco di monete d’oro, o le parole del capo gerarchico di una Chiesa partorita da una deviazione del seme divino, sviluppandosi così in modo abnorme nel grembo di un mostro fuori controllo.
Con che coraggio don Alberto dice: “… nonostante tutto il bene che fa, la Chiesa non è ben vista, e il mondo ci snobba, sfotte le nostre tradizioni, e tanti purtroppo ci odiano”? Come se bastasse fare il bene (altra parola da chiarire!) per sentirsi circondati da osanna o da grida di approvazione. Allora Gesù Cristo ci avrebbe ingannato, dicendo che saremo odiati da tutti a causa del suo Nome. E anche i Vangeli ci avrebbero ingannato, narrando che Cristo è stato condannato a morte per crocifissione, segno di maledizione anche divina.
Ma dove si trova nel Vangelo che i credenti avranno una vita facile, con il consenso popolare? E non è per pretesa populista che l’attuale Papa, tra l’altro poco accorto e illuminato, ha cercato fin dall’inizio del suo pontificato di farsi ben volere da tutti, e che ora è in grave affanno?
E se la Chiesa fosse veramente all’altezza della sua missione, si potrebbe mettere a confronto tra loro le parole vuote di un rapper tatuato con le parole divine del Cristianesimo più puro?
Ma non è forse perché l’attuale Chiesa è al di sotto di un mondo vuoto di valori che i giovani si sentono attratti da divi del fasullo?
La Chiesa, per essere Chiesa di Cristo, dovrebbe essere sempre sulla Croce, pronta a morire, per donare, come Cristo morente, lo Spirito santo. Ma la vera tragedia è che la Chiesa gerarchica o istituzionale o aborto del Cristianesimo, si è ingrossata come l’animale di cui parlava Platone, mettendo sotto i piedi lo Spirito del Cristo morente.
Non nego che talora la Chiesa abbia agito bene, anche mettendo al rogo gli spiriti liberi, liberandoli così dalle pastoie di quel grosso animale che si nutre al trogolo del porcile.
Ma che significa “bene”? Che significa “fare del bene”? Solo forse assistendo malati o ricuperando drogati o aiutando i poveri? E che tipo di assistenzialismo è mai quello che nutre e cura un corpo, togliendogli magari lo spirito, però parlando sempre di salvezza delle “anime”? Cristo non ha forse invitato a odiare la propria psiche?
E allora, non può venire il dubbio che l’allontanamento dei ragazzi e dei giovani sia una crisi positiva, nel senso che potrebbero o avrebbero la “possibilità” di prendere coscienza di quel “sé, che fin da piccoli è stato quasi castrato dall’autoritarismo dell’ambiente in cui sono cresciuti? Ma, ecco la tragedia, la crisi si è subito risolta, mettendosi tra le braccia dei più idioti, messi sulle “mede” (mucchi conici di fieno), dove s’impongono dietro carriere farlocche, senza alcun merito di valore, anche perché questi ragazzi di oggi non hanno una alternativa o proposte migliori. Forse che don Alberto nei suoi messaggi sia la proposta migliore, e pensare che rappresenta molto bene quel vuoto di una diocesi allo sbando, senza un pastore autorevole, senza un clero misticamente motivato, senza educatori laici carichi di quella fede nello Spirito che potrebbe in realtà spostare le montagne di cemento armato.
4. “I casi di pedofilia sono uno schifo, uno scandalo insuperabile e rimarranno una ferita sempre aperta nel cuore della Chiesa, ma forse ancor più dolorosa è stata la difficoltà da parte dell’istituzione ecclesiastica di riconoscerli e di prendere una netta posizione di fronte ai preti coinvolti. Papa Francesco sta facendo di tutto per risolvere il problema, ma certo bisognerà comunque ancora fare i conti sul perché tutto questo sia capitato”.
Non è che la parola “schifo” sia una delle migliori per condannare un fenomeno che va ben al di là dei singoli casi. Limitandosi a dire “schifo” è solo fare come quel tale che, vedendo uno scarafaggio nel lavandino, urla: “che schifo!”, senza nemmeno porsi il problema, seriamente, da dove sia venuto fuori.
I populisti più beceri dicono “che schifo!”, pensando al marcio che vi è nella società che, tra l’altro, è l’insieme di individui, e ognuno fa la sua parte.
E il mister internauta don Alberto ha alzato almeno una volta la sua voce, appena ha saputo di casi di pedofilia di preti milanesi?
“Che schifo!”, certo, riferendosi ai casi, ma i casi sono anche persone, vittime di qualcosa di diabolico che forse appartiene al grembo della madre, come si fa chiamare la Chiesa cattolica, che partorisce anche mostri che fanno “schifo”.
E che significa che i casi di pedofilia sono uno scandalo “insuperabile”? Forse nel senso che non ci siano altri scandali peggiori? Gli scandali sono scandali, e ognuno ha la sua gravità da non valutare mettendoli a confronto, e tanto meno per attenuarne le responsabilità. Certo, non ci sono solo scandali legati alla pedofilia: come dimenticare le condanne e le scomuniche lanciate dalla Chiesa inquisitoriale contro gli spiriti liberi, tra cui i Mistici, pensando che, uccidendo il loro corpo, si potesse uccidere anche la loro profezia?
E la Chiesa, uccidendo la Mistica nel cuore dei credenti, si è praticamente suicidata, ed è dalla fine del Seicento che il Cattolicesimo è rimasto un cadavere o quel grosso animale privo dello spirito vitale.
La pedofilia è sì un fenomeno vergognoso, senza aggiungere però “Che schifo!”, ma anche qui attenzione alle parole: “fenomeno” deriva dal greco e significa “ciò che si manifesta, ciò che appare”. Per fenomeno si intende qualcosa di sensazionale, di strepitoso. Questo per dire che non si può limitarsi a dare giudizi sul fenomeno in sé, che è qualcosa di sensibile, diciamo di esteriore, ma occorre cercarne le vere cause che hanno generato e tuttora generano la pedofilia. Spetterà anzitutto alla scienza studiare a fondo il fenomeno, e alla Chiesa accettarne gli esiti dello studio scientifico, ovvero mettere in opera tutto ciò che può limitare al massimo il fenomeno, e ciò è forse più importante che limitarsi a condannarlo. Punire chi sbaglia serve, ed è doveroso, ma non redime fino alla radice una causa che, al di là delle punizioni (almeno fossero deterrenti!), continua a generare altri crimini, che, tra l’altro, andrebbero anche ridimensionati, tenendo conto di tante cose, ad esempio l’età con cui si ritiene uno maggiorenne o minorenne, senza escludere quei giochi d’intesa o di complicità, per cui talora è istintivo separare la responsabilità dell’uno (ritenuto anche per legge maggiorenne) dalla responsabilità dell’altro (ritenuto sempre vittima di perversioni sessuali).
Se è così, le parole di don Alberto sono quelle tipiche di chi lancia le pietre per poi nascondere la mano, o di chi pone domande scontate lasciandole poi in sospeso.
Infine, non è questione di persone che oggi al comando della Chiesa farebbero di tutto per arginare il fenomeno ormai esploso in tutto il mondo, mentre, pur conoscendo il rischio di immediate condanne su dicerie popolari che poi magari si rivelano infondate, i vescovi locali sono titubanti tra redimere un loro prete e un atto da condannare senza se e senza ma.
Siamo sulla strada buona, anche se sarà lunga? Forse sì, e forse no. Ma la cosa che bisognerebbe evitare è di rispondere a domande banalmente poste (come ad esempio da parte di un rapper che crede di porle intelligentemente) con risposte del tutto banali, magari populiste (“Che schifo!”) e per nulla provocatorie nel senso di spingere chi di dovere a cercare almeno qualche causa di un fenomeno gravissimo, senza limitarsi a ricorrere ai Tribunali.
5. “E poi la lentezza e la fatica con cui la Chiesa sta aggiornando i propri linguaggi per parlare a un mondo che ormai comunica soprattutto attraverso i social network, e anche questo è motivo di fraintendimento tra la Chiesa e il mondo”.
Questo passaggio non mi è chiaro, e anche qui trovo una battuta del tutto superficiale, anche se problematica.
Che viviamo oggi di comunicazioni che fanno uso di mezzi anche altamente tecnologici, talmente popolari da travolgere ogni intelligenza o quella saggezza che per lo meno si riserva qualche spazio di intimità, è una constatazione che, per un verso ci spaventa, e per l’altro ci esalta. Spaventa i più sprovveduti, ed esalta il peggior fondo dell’anima, che è una psiche assai disturbata e deteriorata.
Ma attenzione anche qui all’inganno: se è vero che il fine non giustifica i mezzi, ma, se i mezzi sono tecnologicamente potenti, la banalità prenderà il sopravvento, e allora la verità da comunicare esigerà il massimo della intelligenza e della prudenza per evitare di ridurre Dio in pillole non più a un gruppetto ristretto di bambini dell’oratorio, ma a una massa già ebete, che non si riuscirà a convertire con video come quelli realizzati da don Alberto.
Qui non è questione di stare al passo delle nuove tecnologie del linguaggio, ma di capire che il linguaggio mediatico è ancor più soggetto a fraintendimenti e a esteriorità imprevedibili.
Oggi assistiamo ad un duplice rischio: quello di lanciare messaggi senza interlocutori, e di dialogare in programmi così faziosi o studiati apposta per fare audience, in cui la rissa è imposta a priori.
E in tali risse la presenza di un prete o di una suora è particolarmente appetibile ai fini consumistici: più il programma è piccante o morboso con l’aggiunta di un prete che vorrebbe fare il missionario, lasciandosi immergere in un contesto tanto basso o triviale, da cloaca o fogna, che poi ne uscirà malconcia non solo la figura di prete, ma anche il volto della stessa Chiesa. E pensare che la stessa Chiesa, anni addietro, aveva fatto di tutto per ostacolare il movimento dei preti operai, i quali se non altro avevano scelto di vivere accanto ai lavoratori, per provare la durezza dell’ambiente di lavoro, ma soprattutto per evangelizzare un mondo che la Chiesa da un secolo aveva abbandonato. Ed ora, questo sì che è uno schifo, le diocesi permettono a preti o a suore di partecipare a certi programmi televisivi, come Il Grande Fratello, vera cloaca di brutture e oscenità, dove il prete o la suora, invitati solo per fare audience, credono di convertire i castrati mentali e i pervertiti carnali.
Meglio allora correre il primo rischio, che è quello di lanciare messaggi senza interlocutori, e ciò succede ad esempio quando si tengono le omelie in chiesa durante la Messa. In tal caso, il rischio è il celebrante che spiega la parola di Dio come fosse qualcosa di già stranoto, senza alzare il tiro e senza tentare nemmeno un afflato mistico, davanti a un’assemblea che dormicchia o sbadiglia per noia, guardando l’orologio. Ma per chi prepara seriamente l’omelia c’è l’occasione di parlare, senza essere interrotto da qualche stupido intervento che solitamente fa cadere di tono un’intera conferenza. La gente di oggi, che è ignorante, vorrebbe anche apprendere qualcosa di quella Novità che è la provocazione della Parola o del Logos divino. Quando predico, sento il silenzio dei presenti, attenti a non perdere nemmeno una parola di ciò che sto dicendo. C’è come una sintonia profonda tra l’attenzione di chi ascolta e la parola del celebrante, che scende tra il pubblico come acqua dissetante.
Mi chiedo talora come si possa da parte di noi preti disattendere la sete che la gente ha di una parola buona e provocatoria. In chiesa ci vuole un minimo di tecnologia, un microfono funzionante e altoparlanti perfetti. E non si deve dire che a Messa viene poca gente: dipende, ma se la gente sa che il prete dice qualcosa di evangelico, fa di tutto, anche venendo da lontano, per partecipare. Registro l’omelia e la riporto su youtube e sul mio sito, e un centinaio di persone l’ascoltano.
Per fortuna noi preti abbiamo ancora il pulpito, ed è la nostra libertà di comunicare il Vangelo di Cristo. Non c’è bisogno di cercarne altri, magari in luoghi meno adatti. Il dialogo con il mondo (quale mondo?) avviene a partire dal nostro essere interiore, e la Chiesa non può tradire la Mistica, che è il segreto del Divino in noi, per correre dietro a mezzi mediatici, peggio se tecnologicamente potenti, per raggiungere la pelle del mondo.
Il linguaggio da usare è quello di un Pensiero alto che non scende in pianura a parlare ai trogloditi, usando lo stesso loro linguaggio. Il linguaggio dei social network è di una bassezza oscena, di una superficialità epidermica irritante, di una brutalità spaventosa. Almeno avesse una certa parvenza culturale! No! Rasenta la bestemmia grammaticale, la stupidità di un cervello pieno di segatura, lo sventramento di una parola che fa solo aria puzzolente. Non è il Mistico che deve cambiare il linguaggio: è il popolo bue che deve svestirsi della propria carnalità così che ognuno possa tornare in se stesso, secondo l’Oracolo di Delfi: “Conosci te stesso e, conoscendo te stesso, conoscerai la Divinità”.
Oggi che cosa va comunicato a questa società impazzita? Un miscuglio di parole sconnesse, una baraonda di immagini frammentarie, un gesticolare da mentecatto che non sa dove e chi guardare, perché sta giocando con la propria nullità interiore senza arrossire davanti a chi lo guarda e lo sente, e esclama: “Ma dov’è la frusta di Gesù Cristo?”.
6. “Ma è possibile che questa Chiesa che aiuta, incoraggia e sostiene chiunque soprattutto i più bisognosi, sia arrivata farsi ignorare e detestare da così tanta gente, perché l’amore che tiene insieme la Chiesa non è in grado di convincere questo mondo. E meno male che il mondo ce lo ricorda, anzi dovremmo ringraziarlo perché ci permette di convertirci e a rimanere fedeli alla nostra missione al servizio dell’umanità”.
Anche queste parole sono del tutto incomprensibili, se avessimo della Chiesa una visione che va oltre il suo fare o gran da fare. Sempre qui l’equivoco, e sempre qui l’abbaglio di una fede che si ferma all’esteriorità.
Come si fa ancora a ripetere che per forza di cose la Chiesa deve imporsi all’attenzione e alla ammirazione solo perché si dà da fare per gli altri, si sacrifica soprattutto per i più bisognosi?
La Chiesa, e qui specifichiamo, non è mai stata “odiata” per il suo assistenzialismo, per le sue numerose opere di carità, casomai quando si faceva prendere anch’essa da una “strana” forma di carità, che era in realtà una strumentalizzazione del bene in favore di un certo ben noto proselitismo.
Nel passato era sfacciatamente una conquista di popoli per il cosiddetto regno di Dio, e il battesimo era il chiodo fisso, come se solo attraverso questo sacramento ecclesiale, anche imposto con inganno, si poteva accedere alla salvezza.
Questa mistura di carità e di credenza religiosa e sacramentaria ha creato un divario tra l’interiorità dell’essere e il mondo del Divino.
Dire che la Chiesa si è impegnata al massimo per amore del prossimo vuol dire non comprendere quell’inganno che sta dietro alla parola “amore”.
E qui il prete youtubista esce a dire una cosa banale, come è banale ogniqualvolta pronunciamo la parola “amore”.
Non si convince il mondo con l’amore, perché amare il prossimo è una necessità o un dovere, che non scuote la coscienza della gente dalla sua indifferenza, anzi, succede il contrario: quando la gente vede una Chiesa alleata con il potere e con le ricchezze, disinteressandosi degli ultimi, allora grida allo scandalo. Ma non sta qui la forza convincente della Chiesa di Cristo. E d’altronde non è solo la Chiesa che si dà da fare per i poveri, e chiunque si impegna per il prossimo non sempre è riconosciuto o apprezzato.
Il concetto di fratellanza, che è universale e che va oltre il cattolicesimo, essendo insito nella natura umana di ciascuno, non per questo è accettato come il distintivo di una particolare religione o altro. Guai se identificassi il bene con la Chiesa istituzionale!
La gente in genere non riconosce il bene fatto dagli altri, per il semplice motivo che ha spento con l’egoismo più subdolo ogni aspirazione naturale al bene.
È chiaro che se la Chiesa venisse ancora intesa nella sua struttura di “grosso animale”, allora avrebbe bisogno di fare opere di carità per salvarsi almeno la faccia, e perciò per tentare di farsi ben volere.
Ma non basta, e allora non bisogna scandalizzarsi se la Chiesa, nonostante tutte le sue opere assistenziali e caritative, sia lo stesso odiata o non riconosciuta per il bene che fa. Il che vuol che il mondo degli esseri svaniti nella nebbia della ignoranza e della perversione, forse vuole qualcosa di più, che è il necessario interiore, che è punto debole soprattutto della Chiesa istituzionale di oggi che, se è vero che aiuta i più bisognosi, lo fa con beni materiali, di cui possiede ancora troppo, un eccesso che è una scandalosa violazione della povertà evangelica, ma manca di quella ricchezza di beni interiori, che vanno ben al di là di un aspetto strettamente religioso.
Il bene interiore è il bene di ogni essere umano, indipendentemente dal suo credo formale. Il puro assistenzialismo o la dedizione al bene sociale possono dire poco in confronto al pensiero che ci spinge ad essere se stessi, a rientrare nel nostro essere interiore.
L’amore è la testimonianza di che cosa: che io voglia bene al mio prossimo, donando qualcosa? Tutto qui? E che cos’è l’amore stesso di Dio?
Che significa, come dice don Alberto, che l’amore tiene insieme la Chiesa? L’amore in sé non tiene insieme nulla, se non nelle apparenze o nelle emergenze, quando si è costretti ad aiutarsi a vicenda per salvare qualcosa di ciò che stiamo per perdere o abbiamo perduto.
Prima dell’amore c’è l’intelletto o lo spirito, che è vita o quel principio che dà unità al tutto.
E allora, se anche la Chiesa facesse tutto il bene di questo mondo, intendendo per bene l’assistenza alle persone più bisognose, lascerebbe ancora un vuoto, ed è questo vuoto che suscita attese che finiscono nel nulla, e da qui una contestazione, che è opera non del Maligno e dei suoi seguaci, ma degli spiriti liberi, seguaci dello Spirito nella sua Intelligenza, prima che nel suo Amore.
Forse anche qui bisognerebbe chiarire i termini, perché, mettendo in gioco due parole come amore e intelligenza, non solo si rimane sconvolti e in difficoltà, ma, soprattutto tra la gente comune, si rischia di ridurre tutto a una questione di salvare l’anima con qualche elemosina, per di più accecati da un progresso materiale che fa perdere la testa anche alla Chiesa istituzionale.
E allora diciamo subito che non è l’amore che precede l’intelletto, ma è l’intelletto che precede l’amore per illuminarlo e per darne quel senso profondo, che va al di là di un generico e formalistico “vogliamoci bene”.
Mi sembra che oggi la Chiesa faccia opere di bene, ma con la testa bendata, ovvero senza intelligenza. E insiste, tutti insistono nel proclamare: Dio è Amore!
Se possiamo dire qualcosa di Dio, allora diciamo che Dio è anzitutto Intelletto, ovvero Luce.
Il nome stesso di Dio ce lo dice. La parola deriva dalla radice etimologica ariana div- che indica la luce, ciò che splende. Da cui il latino Deus = Dio, dies = giorno cioè la parte della giornata caratterizzata dalla luce.
Lo Spirito non può essere amore, se non come unione che proviene dall’Intelletto o Luce.
La vita stessa proviene dall’Intelletto/Luce. Quando nasce un bambino diciamo che è venuto alla luce. Generare è portare alla luce.
“Amore” è diventata la parola più usata e abusata, più convenzionale e più banale. Nei testi delle canzonette si ripete amore all’infinito con una noia mortale. Noi stessi usiamo la parola “amore” in tutte le salse, ed è per questo che con questa parola parliamo di Dio, quando in realtà Dio non è Amore, se non come Intelletto, che è Luce. Possiamo anche dire, come Platone, che Dio è il Bene Sommo, proprio perché Dio è Intelletto. L’amore è un riflesso del Bene, come la bellezza è una emanazione del Bene come Intelletto.
Pensate all’espressione “amore cieco”, ed è quello più pericoloso, perché la cecità ci conduce alla rovina.
Basterebbe pensare al miracolo del cieco nato, raccontato da Giovanni: un cammino dalla cecità fisica alla vista fisica, e dalla vista fisica alla vista interiore.
Anche una esistenza può essere cieca. Pensate all’incontro di Gesù con la Samaritana, che viene condotta alla luce dello spirito, proprio scendendo in quel pozzo apparentemente buio, dove quella donna prima attingeva solo acqua fisica che dissetava un corpo senza vita, senza la Grazia, che è Luce prima che amore.
L’amore rimanda immediatamente alla carne, l’Intelletto allo spirito.
Il nostro essere interiore è intelletto/spirito, e non amore che nel migliore dei casi è qualcosa di psicologico o di affettivo o di sentimentale.
Torniamo al punto. Quando la Chiesa intende provare la sua fede in Dio con opere di carità, è fuori strada, e resterà sempre sul piano carnale, e sarà sempre paradossalmente oggetto di scandalo
Una Chiesa che si butta nell’assistenzialismo è una Chiesa a cui manca la cosa più essenziale: la sua interiorità (o spiritualità), che è l’Intelletto, lo Spirito, la Luce.
E la cosa drammatica è far credere (che assurdità!) che bisogna amare il prossimo per salvarsi, quando la salvezza sta nello Spirito e nella scoperta del proprio essere interiore.
Erano arrivati a capirlo gli antichi filosofi greci,che parlavano di spirito, di bene, di intelletto e, quando parlavano di amore, erano già fuori di se stessi, in un mondo di odio e di violenza.
Sì, perché paradossalmente è l’amore, sganciato dall’Intelletto, che crea tutto il male in questo mondo: odio, violenza, guerre, gelosie, ecc.
L’amore divide, con la sua espressione più brutale, che è il sesso (da “secare”, tagliare, separare).
Il corpo o carnalità divide, e l’amore è la giustificazione di un corpo che divide, di un’anima o psiche che separa.
La Chiesa, struttura come il grosso animale, ama se stessa nel suo corpo, e divide. Si appella all’amore di un dio che divide.
Dunque, dio amore divide! Solo Dio Intelletto unisce.
L’unione profonda è nello Spirito, che è presente nel fondo apparentemente buio del nostro essere. In superficie è buio, ma più si scende più si trova la luce.
E allora se devo dire qual è il più grave peccato di una società balorda, non dirò che è la mancanza d’amore, ma del pensiero, come intelletto, come spirito.
Se devo dire dove sta l’errore madornale di una Chiesa tutta pelle non dirò che è la mancanza d’amore, ma dell’intelletto, spirito.
Questa Chiesa ama ed è cieca, e si fa odiare dalla luce, dagli spiriti liberi.
7. “Noi non possiamo indugiare ancora. Dobbiamo investire tutte le nostre energie, tutte le nostre risorse per dialogare col mondo, e realizzare nel mondo il Regno di Dio, che è amore, pace, giustizia, verità. Dobbiamo farlo, devo farlo, perlomeno per i miei ragazzi che sono parte della Chiesa e vivono nel mondo, che vanno al concerto di Fedez e vengono anche in oratorio. Io lo so che non posso fare tutto questo da solo, ma insieme possiamo riuscirci”.
La parte finale del video-intervista è solo patetica, di una decadenza intellettiva paurosa. D’altronde, non poteva che essere così.
Una risposta, quella del prete youtubista, a domande banali di un rapper banale.
Una risposta che si è svolta di banalità in banalità fino all’invito finale: “Uniamoci, nella banalità! Ci si sente se non altro solidali”.
Come quei due ciechi che camminano insieme per non sentirsi soli, e poi cadono nel burrone.

UN INVITO

Caro confratello, sei stato appena sfornato dal seminario, e anche per la tua giovanissima età per me sei solo un pivello, da essere accompagnato ancora in un cammino che sarà lungo e tortuoso.
Hai voluto subito sganciarti, pretendendo quasi un’autonomia che nessuno vorrebbe negarti, tranne doverti criticare per la tua pretesa.
Sono convinto che sei stato mal consigliato e che dietro alla videocamera ci sia qualcuno che ti manovra. Il fatto stesso delle numerose visite dei tuoi video, appena escono, è la prova che c’è una promozione a pagamento, oltre il fatto che non tutti (io no di certo) possono permettersi di avere un mezzo per registrare che dovrebbe avere un certo costo.
Giovane prete, sei subito rimasto vittima di quel sistema perverso, che si chiama consumismo mediatico, e condizionato da un certo populismo che non fa certo onore alla verità divina.
Hai bruciato le tappe, e forse anche un po’ di cervello, “oggetto” di attenzione da parte di chi è pronto a sfruttare la tua immagine, per trascinarti nel vortice mediatico.
Sei ancora in tempo per tirarti indietro: lascia al più presto questo mondo, più che virtuale realmente ingannevole, e dònati in tutto al tuo impegno pastorale.
Non vorrei che ti succedesse, come è già successo per altri in casi simili, di bruciare anche la tua vocazione.
L’intelligenza ce l’hai, ma è offuscata da un odore di pelle, che non è l’amore per le pecore: puzza di qualcosa che non va.
Vuoi incontrarmi?
Benché pieno di acciacchi per una salute precaria, accetterò il tuo invito, e potremo parlare con lo spirito in mano.

12 Commenti

  1. Mattia ha detto:

    Grazie per l’analisi lucidissima di Don Giorgio. Quello di cui abbiamo estremo bisogno tutti quanti è appunto la lucidità di un intelletto purificato dallo Spirito che ci permetta di portare alla luce le sottili mistificazioni rifilate in tanti discorsi retorici. Non si critica qui l’entusiasmo di Don Alberto, ma gli si offre la possibilità di fare una seria verifica della propria umiltà.

  2. Giuseppe Mazza ha detto:

    Caro signor Capitani (non posso nemmeno chiamarla Reverendo), don Albero ha la freschezza della gioventù, non ha nemmeno l’età in cui Gesù iniziò a predicare, rappresenta il futuro. Lei, invece, è il morto, anzi il sepolcro nemmeno imbiancato, con il fetore della putrefazione e del livore dei suoi scritti. Si vergogni e chiuda il sito. Le persone cattive come lei disonorano la Chiesa.

    • Don Giorgio ha detto:

      Ah, ah, ah, una ragione in più per tenere aperto questo sito e lottare perché la società apra gli occhi e riscopra la via dell’essere.

    • Martina ha detto:

      Giuseppe Mazza, lei sembra molto arrabbiato e anche con parecchia cattiveria che le pesa sulle spalle.
      Forse non lo sa, ma lo Spirito non ha età e nella maggior parte dei casi chi è giovane è come una vecchia cariatide.
      Sa un’altra cosa? Forse questo don Alberto lei riesce a seguirlo proprio perché è così banale da riuscire a rendere ridicolo anche il messaggio più importante della Bibbia, mentre lei se la prende con don Giorgio perché fa estremamente fatica a capire la profondità e l’elevatezza di ciò che egli scrive o dice.

  3. Luigi ha detto:

    In un suo scritto sul linguaggio religioso don Abramo Levi scriveva che esiste un criterio per saggiare la “paternità” autentica del discorso religioso. Può essere formulato sotto forma di domanda: la domanda che Simone Weil rivolgeva a tutti i “chierici” (non tutti i chierici sono preti!): “Le cose vere che predicate sono efficaci per produrre cose giuste? Non si tratta, badate bene, di insegnare cose vere e, fra le tante cose vere, insegnare anche la giustizia. Il criterio è assai più esigente. Sono le cose vere che devono produrre cose giuste. Se le cose vere che insegnate non sono efficaci per produrre cose giuste, non sprecate fiato. Non sareste nell’ambito della paternità di Dio ma sulla cattedra dei farisei. Se le verità che insegnate lasciano tranquilli i ricchi e nella loro condizione i poveri, che discorso fate? Se siete contro ogni violenza, che discorso fate? Se, a ogni sequestro di ricchi, non trovate
    altro da dire che unirvi al coro unanime delle deplorazioni, che discorso fate? Se, nel pianto e nella disperazione terrena di un ricco, non sapete vedere l’alta pietà di Dio che gli vuole risparmiare guai eterni, che discorso fate? Vi sento dire da ogni parte: noi predichiamo la pura dottrina. Ma dove va a riversarsi questa pura dottrina? Non va forse a riversarsi nelle “forme” del secolo, assumendone convenzioni e convinzioni? Quella che voi presumete essere una incidenza nel mondo non si riduce ad essere una coincidenza con quella parte di mondo che voi pastorizzate?” Don Alberto Ravagnani “se le cose vere che insegni non sono efficaci per produrre cose giuste, non sprecare fiato.”

  4. giuseppe ha detto:

    BRAVO DON ALBERTO. ABBIAMO BISOGNO DEL TUO ENTUSIASMO E DELLA TUA FRESCHEZZA.NON LASCIARTI PRENDERE DA CHI VUOL
    SOLO CONDIZIONARTI. IL VANGELO E LA PAROLA DI GESU’ SIANO LE TUE GUIDE. TANTI AUGURI.
    GIUSEPPE

    • Don Giorgio ha detto:

      Tutto dipende da lui, farsi o no condizionare, finora si è dimostrato un burattino del perverso sistema mediatico. Due anni di Messa, e che pensi al suo piccolo gregge, senza evadere a brucare erba secca altrove. Ai preti giovani manca il senso del dovere e della fedeltà al proprio posto di lavoro: loro evadono alla ricerca di sensazioni nuove, e queste li portanno alla rovina. Don Alberto come prete durerà poco, se non si convertirà subito! È tutta pelle proponendo un tipo di fede, la cui novità sta solo nel suo gesticolare da insensato, e affascina gli allocchi come te.

      • Stefano ha detto:

        Mia nonna l’avrebbe definito un “giupì” in dialetto. E di fatto è così. La chiesa di Milano è alla canna del gas.

      • Federico ha detto:

        Quanta cattiveria in questa pagina. Forse invidia verso chi sa comunicare meglio l’essenza del messaggio evangelico. Fare l’analisi logica, grammaticale, etimologica delle frasi dette con naturalezza e passione è veramente deprimente, sintomo di una aridità dell’anima e di una arroganza dettata da invidia e superbia insieme. Si faccia una vacanza, legga un bel romanzo parli con i giovani e speriamo che lo spirito Santo la aiuti.

        • Don Giorgio ha detto:

          Imbecille! Don Alberto trasmette l’essenza del messaggio evangelico? Ah, ah, ah, fa il burattino di se stesso. Invidia? Invidia di che? Di uno che fa il burattino? Qualcuno lo mandi a pulire i cessi dell’oratorio…

  5. simone ha detto:

    Ho già scritto sul tema e vedo, con piacere, che molti dei miei consigli sono riportati nell’invito a fine post.

    Che altro dire? Il primo della classe di Venegono si è preso una lunga e precisa risposta da don Giorgio. Una risposta positiva, che vuole aiutare a crescere un prete che, a mio avviso, pecca per presunzione e inesperienza.

    Tanti paroloni buttati lì a casaccio per fare un pò di fumo..a cosa servono? Perchè?

    E poi questo “vittimismo” di un mondo che è ostile alla nostra fede. Questo continuo piangersi addosso; quando non si comprende che questo mondo è l’occasione per una testimonianza più efficace e sincera.
    L’obiettivo è sempre quello di chiudere tutti nel recinto, staccargli il cervello e guidarli scegliendo al loro posto la via.
    Io invece credo che l’obiettivo debba sempre essere quello di trasformare ogni figlio in uomo, capace di affrontare ogni cosa con la propria zucca. Vorrei che l’intento fosse quello di mettere al centro il bene fatto senza etichette o slogan. Vorrei che ognuno riconoscesse nel suo intimo una presenza viva che guida e da gioia.

    Termino con la precedente esortazione: chiudi il canale e ricomincia ad occuparti fulltime della tua parrocchia.

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