L’aborto di nascosto, così iniziò la mia lotta: nessuna donna avrebbe più dovuto subire quella umiliazione

da L’Unità
Emma Bonino si racconta

L’aborto di nascosto, così iniziò la mia lotta:

nessuna donna avrebbe più dovuto subire

quella umiliazione

EDITORIALI – di Emma Bonino – 22 Maggio 2023
Quarantacinque anni fa l’interruzione volontaria di gravidanza cessava di essere reato e veniva data libertà di scelta per tutte le donne italiane, pur tra molte limitazioni e compromessi. Era il 22 maggio del 1978 quando con la legge 194 si poneva fine a interruzioni di gravidanza clandestine operate con ferri da calza e altri metodi improvvisati e rudimentali da mammane, che provocavano emorragie che mettevano a rischio la salute e la stessa vita di molte donne. Erano poche quelle che disponevano di mezzi economici tali da potersi recare a Parigi o Londra per effettuare un’operazione di interruzione di gravidanza in sicurezza.
Quando ero ragazza mi era stato detto di essere sterile e invece niente affatto. Un giorno scoprii di essere incinta e capii sulla mia pelle cosa significasse vivere allora l’esperienza dell’aborto. Avevo fatto l’aspirazione, esperienza che già tante donne avevano provato. Ma mi chiesi perché dover andare notte tempo da un medico, seppure bravissimo, a fare questa cosa, di nascosto?
Avevo poco meno di trent’anni. Questo mi spinse ad andare all’AIED (l’Associazione Nazionale per l’Educazione Demografica nata negli anni Cinquanta, grazie ad un gruppo di giornalisti, scienziati, uomini e donne di cultura laica e democratica, che poi hanno ispirato la nascita dei consultatori pubblici) dove, poi, rimasi come volontaria. Io, che forse ne sapevo meno di tutti gli altri, decisi da quel momento che nessuna donna avrebbe più dovuto subire quella umiliazione. E rimasi a dare i contraccettivi. Ricordo che venivano tante donne, ma erano già incinte ed era tardi. Allora le mandavo da Adele Faccio, l’avevo trovata su una rivista, e loro tornavano abbastanza serene. Adele era un’attivista politica tra le prime a parlare di autodeterminazione delle donne. Un giorno andai anch’io a parlarle di persona e lì incontrai i radicali.
Entrata in contatto con Adele Faccio e insieme a Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia cominciammo un percorso di aiuto pubblico ad abortire alle donne che ne avevano bisogno, e quindi di autodenuncia. Facendoci arrestare proprio per portare riscontro mediatico al problema degli aborti clandestini, tanto da ottenere – dopo la pubblicazione, nel gennaio del 1975, di un servizio del giornale di destra Il Borghese che fece scoppiare il caso della clinica di Firenze, Cisa -, nel 1976 oltre 700 mila firme utili per avviare un referendum abrogativo riguardante i reati d’aborto, quello che poi, due anni più tardi, avrebbe portato all’approvazione della legge che avrebbe riconosciuto il diritto della donna a interrompere la gravidanza gratuitamente e in maniera sicura presso le strutture pubbliche.
Il risultato del ‘78 fu un insieme di referendum, non violenza, di tutti gli strumenti di cui disponevamo. Una stagione di grande risveglio civile (erano gli anni del voto ai diciottenni, l’introduzione del divorzio, dei contraccettivi, l’obiezione di coscienza). Quegli anni furono, almeno per me, degli anni di profonda vitalità e impegno. Di una presa di coscienza credo generale, non solo delle donne ma a partire dalle donne, sull’importanza della libertà di scelta e anche sulla questione che, come dire, chi aveva i soldi in qualche modo si arrabattava e chi non ne aveva rischiava anche la salute. E per ottenere il via libera, la legge 194 ha dovuto subire un sacco di compromessi, ma c’era, aveva iniziato a funzionare, abbassando il numero di interruzioni di gravidanza, adesso invece siamo ridotti che abbiamo una legge di fatto non applicata.
In molte Regioni per una sorta di obiezione di coscienza organizzata a cui alcune stanno ponendo un freno, aprendo per esempio dei concorsi a medici non obiettori, diventa impossibile per molte donne abortire legalmente, se non spostandosi, se possono, da una regione all’altra. C’è anche un altro limite: l’arretratezza anche scientifica, per cui in Italia, diversamente da altri Paesi europei, l’aborto chimico invece di quello chirurgico, dicasi l’utilizzo della pillola abortiva Ru486, è stato ostacolato per molto tempo. Anche oggi non viene utilizzato in modo sistematico.
Nonostante questi due enormi limiti fondamentali dell’obiezione di coscienza e del rifiuto dell’aborto farmacologico, che andrebbero superati, la legge ha funzionato. Oggi ne usufruiscono soprattutto le donne immigrate che non hanno ben chiara la possibilità della pianificazione familiare e della contraccezione.
Ma a preoccuparmi oggi non sono solo questi due limiti, o le varie campagne dei movimenti Provita, che, soprattutto negli ultimi tempi, con manifesti e messaggi molto violenti continuano ad opporsi all’indipendenza e alla libertà di scelta delle donne, né penso che la legge 194 sia a rischio di essere cancellata da questa maggioranza parlamentare di destra reazionaria. Il mio timore è che diventerà inapplicabile di fatto, in tutte le Regioni.
La norma viene applicata infatti solo in Emilia Romagna, Toscana, e Puglia. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, criticata durante la campagna elettorale per le sue posizioni sull’aborto, ha più volte chiarito che non intende abolire, né modificare, la direttiva ma “applicare la legge 194, aggiungere un diritto: se oggi ci sono delle donne che si trovano costrette ad abortire, per esempio perché non hanno soldi per crescere quel bambino, o perché si sentono sole, voglio dare loro la possibilità di fare una scelta diversa, senza nulla togliere a chi vuole fare la scelta dell’aborto”. Meloni fa dunque riferimento all’articolo 2 quando parla di “piena applicazione della 194”. Quello che raccontano però le regioni amministrate dalle forze di centrodestra, mostra una situazione ben diversa da quella descritta dalla premier. Il caso Marche ne è l’esempio più palese.
Solo in questa Regione la percentuale media di obiezione per il 2021 è pari al 69 per cento, leggermente inferiore a quella riscontrata negli ultimi dieci anni, pari al 70 per cento, ma poco più alta della media nazionale. Su 17 strutture sanitarie, 12 sono punti per l’interruzione di gravidanza: in una non si pratica l’aborto (Fermo) e nelle altre quattro non ci sono ginecologi non obiettori. Quattro su dodici hanno più dell’80 per cento di ginecologi obiettori. Le Marche sono la Regione del centro Italia dove meno si pratica l’aborto farmacologico. Sono al 13 per cento, quando la media nazionale, già molto bassa, è al 24-25 per cento. Ma la Legge 194 dice che tutti i servizi ospedalieri devono garantire l’interruzione di gravidanza. E quindi mi aspetto che, nonostante l’obiezione o i Governi regionali di centro destra, la legge venga applicata e rispettata.
E, secondo me, il modo più efficace per difendere la 194 è lottare per i nuovi diritti ancora da conquistare, dalla cittadinanza, all’eutanasia, alla legalizzazione della cannabis, e via dicendo. Le contestazioni alla Ministra Roccella rischiano di farne una martire. Capisco la frustrazione, ma così è controproducente. Solo lottando per nuovi diritti possiamo difendere quelli già acquisiti.

7 Commenti

  1. Francesco66 ha detto:

    Un prete che celebra la bonino mi lascia basito.

    • Martina ha detto:

      Scusi, ma celebrare significa: «Lodare, esaltare»
      Qui non mi sembra che si stia celebrando nessuno ma riconoscere ciò che ha fatto. Tra l’altro, anche il Papa l’aveva elogiata per il suo impegno per l’Africa.

  2. Federica ha detto:

    Sono ammirevoli le lotte che la Bonino ha fatto nella sua vita. Tuttavia, visto che questo sito è gestito da un sacerdote, mi chiedo: Per la Chiesa l’aborto è o non è un omicidio?

    • Don Giorgio ha detto:

      Quando c’è una legge bisogna rispettarla. Il cardinale Martini diceva che la legge sull’aborto bisogna farla rispettare senza andare oltre.

      • Paolo ha detto:

        Ciao don Giorgio,
        la legge, quando è palesemente ingiusta, si può anche contestare, o no?
        Per me l’aborto equivale a sopprimere una creatura innocente, non vedo altri modi per definirlo. Non mi posso permettere di giudicare chi lo pratica o lo ha praticato, perché in certe situazioni bisognerebbe trovarcisi, prima di esprimere un’opinione, che sarebbe comunque troppo legata all’esperienza personale; ma l’atto in se è tremendo.

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