Quando ho letto questo articolo con la protesta di alcuni fedeli trevigliesi contro la chiusura di ambienti ecclesiastici, chiese e oratori, per affidarli a altre istituzioni con finalità che non rispecchiano le esigenze della gente che vorrebbe che si continuasse a tenere aperti luoghi tradizionali di culto e educativi, mi sono poste alcune domande.
Non conoscendo la situazione locale, vorrei fare un discorso a più ampio raggio.
Anzitutto, si tratta di parrocchie che appartengono alla diocesi milanese, ecco perché compare il nome di Mario Delpini, il quale, se ho capito bene, avrebbe suggerito recentemente di provvedere a un ripensamento nell’utilizzo degli immobili parrocchiali e in particolare degli oratori. Il progetto delpiniano potrebbe estendersi per altre situazioni simili a quella trevigliese.
Mi chiedo: c’è un motivo di fondo, serio, ben studiato, approfondito, sperimentato, prima di fare scelte azzardate, che porteranno non solo a inevitabili proteste (e ogni protesta è buon segno che c’è ancora una certa attenzione per le realtà parrocchiali), ma anche a inevitabili danni, che saranno irreversibili, sulle stesse comunità parrocchiali.
Ed ecco un’altra domanda: perché non si riflette seriamente sul perché i nostri ambienti si stanno svuotando? Basta trovare soluzioni alternative (comode per tanti motivi), che non risolveranno il vero problema di fondo: perché la gente si sta allontanando dalla fede?
Altra domanda: perché la gente non collabora più nel sostenere anche economicamente i nostri ambienti parrocchiali? Nelle mie diverse esperienze pastorali ho sempre trovato gente generosa, e il motivo era chiaro: vedeva che per il primo il prete ci teneva ai propri ambienti, e non era sempre in giro a zonzo a giocare fuori casa. Se la gente non dà più offerte per la propria chiesa è perché vede qualcosa di strano, e non si fida più del prete.
Una cosa è certa: la nostra diocesi milanese, anche nel passato, ha talora fatto scelte sbagliate, non solo nel campo pastorale, ma anche nel campo strutturale, costruendo quando non doveva costruire, comperando ambienti poi risultati inefficienti, e vendendo stupidamente, come fa ora, Case di Spiritualità (vedi la Villa S. Cuore di Triuggio).
Da Angelo Scola in poi, tutto va in discesa libera, ed ora, con Mario Delpini, c’è un tale scriteriato discernimento per scelte pastorali e strutturali da chiedermi: come si può tacere di fronte a tali idiozie, frutto di cervelli corti e di menti pervertite?
Prima Giovanni Battista, poi lo stesso Cristo urlava: “Metanoèite!”, ovvero cambiate il vostro modo di pensare, di discernere, e perciò di decidere, perché siete fuori strada.
Che cosa dobbiamo aspettare da un vescovo che è fuori si sé, chiuso in una imbecillità pastorale da dover prima o poi mettere in gioco lo stesso Spirito santo?
Questa diocesi milanese è in mano a dei folli, a menti confuse, a intelletti spenti.
Urliamo? A che serve se abbiamo un vescovo che è come un muro di gomma? E così ogni pallottola torna indietro, colpendo i giusti o gli spiriti liberi che vorrebbero più intelletto, più giustizia, più dialogo in un mondo ecclesiastico dominato da una gerarchia acefala.
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da bergamo.corriere.it
Parroco chiude l’oratorio,
lenzuola di protesta
di Pietro Tosca
La ribellione dei fedeli e del comitato di quartiere ovest di Treviglio contro il progetto di affidare la struttura agli scout e contro monsignor Norberto Donghi. Che invoca il dialogo. L’intervento dell’arcivescovo di Milano, Delpini
Nel Quartiere Ovest di Treviglio scoppia la protesta delle lenzuola contro il parroco, monsignor Norberto Donghi, per contestare la decisione di «chiudere» l’oratorio e affidare lo stabile agli scout. È da un mese che il mondo delle parrocchie trevigliesi, riunite da oltre 15 anni nella Comunità Madonna delle lacrime, è in fermento per il progetto che prevede un ripensamento nell’utilizzo degli immobili parrocchiali e in particolar modo dei 7 oratori.
Una riflessione partita a inizio anno su sollecitazione dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, e prende atto, da un lato, del calo demografico che sta spopolando gli oratori e, dall’altro, dei cambiamenti nelle necessità della comunità di fedeli unite ai costi di manutenzione sempre più difficili da sostenere. Da queste considerazioni, nel recente passato, a Treviglio sono nati i provvedimenti che hanno visto la chiesa di San Giuseppe destinata a divenire il nuovo hub solidale della Caritas e quella di San Rocco affidata agli ortodossi.
Decisioni che hanno sollevato malumori, ma niente in confronto alla levata di scudi del Quartiere Ovest per il suo oratorio. Quando è emerso che sarebbe stato destinato agli scout, sono apparse lettere al vetriolo prima nei gruppi di WhatsApp dei fedeli e via via sugli altri social. Due settimane fa, quando il Consiglio pastorale ha dato il via libera al piano di riassetto, i rappresentanti del Quartiere Ovest hanno votato contro. Un dissenso così marcato che era arrivato il richiamo indiretto di monsignor Delpini. L’arcivescovo, a Treviglio il 10 novembre per la dedicazione dell’altare della basilica, aveva dedicato tutta la sua omelia ai dissensi nella comunità cristiana invitando a «non lasciare alle spalle un torto che non sia riparato o divisione che finisce per diventare abisso invalicabile». Un invito che, però, non ha convinto il Quartiere Ovest.
Lo si è capito quando sulle case hanno iniziato a comparire le lenzuola con messaggi in difesa dell’oratorio e contro il parroco. In sostegno alla protesta anche il Comitato di quartiere che ha diramato un comunicato in cui spiega che «appoggerà convintamente le iniziative di protesta pacifica» perché l’oratorio «è sempre stato un punto di riferimento per la comunità, un centro di socializzazione a forte impronta identitaria». Non riesce a nascondere l’amarezza monsignor Donghi. «C’è stato evidentemente un difetto nostro di spiegazione e comunicazione — osserva —. Il quartiere si è sentito come se volessimo togliere qualcosa. Ma il piano di riassetto non è contro San Francesco, punta invece a un rilancio degli oratori dando a ognuno una vocazione. A quello di San Francesco, che al momento ha numeri di utenti davvero piccoli, è parso bello inserire gli scout che invece stanno crescendo». Monsignor Donghi auspica la riapertura di un dialogo. «Mi spiace — ammette — per la reazione di pancia. Non c’è stata però una sola persona che sia venuta da me a dirmi “fammi capire”. I tempi di realizzazione sono medio-lunghi e ci si siederà al tavolo per capire cosa si può condividere con gli scout. Tre settimane fa sono andato a dir messa a San Francesco e mi sono fermato a spiegare il progetto. Se mi arriva un segnale, sono pronto a tornare tutte le volte che sarà necessario. Nei prossimi mesi ce la metterò tutta, ma non posso nascondere di essere dispiaciuto da una comunità cristiana in cui invece di cercare di capire ci si attacca».
Leggendo l’introduzione all’articolo qui pubblicato mi sono balzate all’occhio:
il fatto che questa situazione si estenderà senz’altro anche da altre parti (magari già successa senza che noi lo sappiamo);
i danni che ne conseguiranno;
perché non si riflette seriamente sul perché si svuotano gli ambienti oratoriali?
e il vero problema di fondo: perché la gente si sta allontanando dalla fede? O meglio, perché si è allontanata?
Perché oramai tanta gente si è allontanata o non ha mai avuto una gran fede.
Molte motivazioni scaturiscono dalla chiesa stessa.
Alla fine questa situazione è il loro frutto. Cosa pretendere?
Ci sono piante che danno frutti buoni (e vengono bandite) e ci sono le piante che danno frutti cattivi. Questa situazione è frutto di anni addietro e non di oggi.
Si raccoglie quello che si semina. Non si ascolta chi potrebbe dare buoni frutti e i risultati sono questi.
Continuo a pensare che sia giusto così. Perché le parole di Cristo possano davvero ritrovare il loro senso vero.
Questa Chiesa non è quella di Cristo.
Il Cristianesimo va purificato, o meglio, deve uscire quello che veramente è.
Aggiungo un terzo punto: il modo maldestro con il quale si sta procedendo alle ridefinizione dell’uso degli stabili. Non uno per volta ma, credo di aver capito, 7 in una sola volta. Una rivoluzione. Il parroco l’ha definito un progetto “spietato”.
Qui parla l’ego non l’intelletto. L’ego di un prete che vuole essere ricordato per le sue gesta.
La modalità è importante. Ne passa la credibilità e testimonianza delle persone dal modo in cui si attuano delle scelte.
“La nostra generazione deve trovare il coraggio di fare scelte visionarie e per certi versi innovative, che segneranno il cammino della nostra Comunità per i prossimi decenni – ha spiegato – Lo scopo non è certo quello di fare cassa. Piuttosto è quello di dare servizi più adeguati, utilizzando meglio il nostro patrimonio. Bisogna guardare in faccia la realtà: abbiamo otto oratori, alcuni dei quali sottoutilizzati. Che senso ha?”
Questo è il suo obiettivo fare scelte visionarie per dare servizi più adeguati. Questa è la sua idea di Chiesa un ente che eroga servizi! Questo è il problema…modi e idee.
Conosco il personaggio ma vorrei liberarmi dai preconcetti per esprimere due pensieri.
Il primo: se la gente protesta significa che non si è sentita coinvolta in una scelta che va fatta ma va anche condivisa. Non basta il consiglio pastorale che spesso è composto da tirappiedi del parroco; serve una più ampia condivisione. Nascondersi dietro l’approvazione del consiglio pastorale è da vili. Per certe scelte serve un consenso più ampio.
Secondo: se la gente protesta significa che ha a cuore queste strutture ed è pronta a sostenerle come credo abbia fatto finora. Le strutture parrocchiali son costruite e sostenute, spesso, grazie alla generosità della gente. Questa protesta mi auguro sia il segno di un popolo pronto a sostenere nuovamente il mantenimento di queste strutture che ritiene importanti. Per cui, capisco la necessità di ottimizzare e ricollocare ma se una comunità vuole un oratorio ed è pronta a sostenerlo nella gestione e nel mantenimento, da parroco mi sentirei felice.