I quattro piani di Cospito e cosa ci dice la sua vicenda sullo Stato di diritto

Huffington Post, Stampa

I quattro piani di Cospito

e cosa ci dice la sua vicenda sullo Stato di diritto

di ALESSANDRO TROCINO
Il caso Cospito, come ci viene raccontato in questi giorni, appare sempre più incomprensibile. Noi ne avevamo già parlato («L’indifendibile Cospito va difeso?», 6 dicembre), provando a chiarire la sua vicenda, ma negli ultimi giorni gli sviluppi – con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, la mobilitazione pacifica e le proteste violente – hanno complicato il quadro. Per provare a farsi un’idea, conviene tenere distinti quattro piani: quello umanitario, quello giuridico, quello politico e quello dei diritti fondamentali. E cominciare con riepilogo della sua vicenda.

I fatti

Ci sono due atti criminali nella storia di Alfredo Cospito, pescarese, classe 1967.
• Il deposito nella notte del 2-3 giugno 2006 di due pacchi bomba alla caserma degli allievi carabinieri di Fossano (Cuneo). Gli ordini esplosero senza causare vittime né feriti.
• Il ferimento alle gambe di Roberto Adinolfi, dirigente dell’Ansaldo nucleare, nel 2012. L’attentato fu rivendicato dal nucleo Olga Fai-Fri, Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale.

I processi e le condanne

• 10 anni e 8 mesi per Adinolfi Cospito è stato condannato una prima volta nel 2014 a 10 anni e 8 mesi per il ferimento di Adinolfi.
• 20 anni per i pacchi bomba di Fossano. Successivamente, i pm di Torino hanno avviato un’indagine che ha portato a un procedimento nei confronti degli appartenenti alla Fai (la sua sigla, Federazione anarchica informale, da non confondersi con la Federazione anarchica italiana) per i reati compiuti prima, tra il 2003 e il 2006, Fossano compreso. Cospito è stato identificato quale «capo e organizzatore di un’associazione con finalità di terrorismo» e condannato a 20 anni di reclusione in primo e secondo grado. La Cassazione ha chiesto di aggravare la pena (ne parliamo sotto, nel capitolo sull’ergastolo ostativo)

Il 41 bis (carcere duro) e la Cassazione

Dopo sei anni in regime di alta sicurezza nel carcere di Bancali a Sassari, il 4 maggio 2022, Cospito è stato sottoposto dall’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia, su richiesta dei magistrati di Torino, al regime del 41 bis, disposizione introdotta nel 1986, in funzione di lotta e contrasto alle mafie. Motivo: comunicando con l’esterno, manterrebbe i legami con il gruppo anarchico di riferimento. Cospito è il primo anarchico in 41bis ed è la prima volta che la misura viene applica a un non mafioso o terrorista conclamato. Già dal 12 gennaio sul tavolo nel nuovo ministro Carlo Nordio c’è un’istanza di revoca, depositata dal legale, Flavio Rossi Albertini. Il Guardasigilli ha il potere di revoca in ogni momento, ma non si è espresso (parlerà domani in Parlamento): starebbe aspettando i pareri della procura antiterrorismo di Torino della Direzione nazionale antiterrorismo. Ma c’è anche un altro passaggio giuridico: il 7 marzo (l’udienza prevista per il 20 aprile è stata anticipata), la Cassazione darà il suo parere sul ricorso presentato contro il verdetto del tribunale di sorveglianza che a dicembre ha confermato il decreto ministeriale. Ma se anche annullasse l’ordinanza, la Cassazione potrebbe rinviare gli atti alla Sorveglianza.

L’ergastolo ostativo e la Corte Costituzionale

Dai 20 anni di condanna, inflitti in primo e secondo grado per i fatti di Fossano, Cospito potrebbe passare all’ergastolo ostativo. La Cassazione a luglio ha stabilito che il reato per cui doveva essere giudicato non dovesse essere «strage comune» ma «strage politica», ovvero «contro la sicurezza dello Stato». L’articolo 285 del codice penale prevede il delitto di strage politica punendo con l’ergastolo chiunque, «allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette, tra l’altro, un fatto diretto a portare la strage nel territorio dello Stato o di una parte di esso».
I giudici della Corte d’Assise d’appello di Torino, nell’ordinanza, hanno accolto una questione di legittimità costituzionale, sollevata dagli avvocati della difesa, sull’attenuante rispetto al reato di «strage politica». La difesa ha cioè chiesto di differenziare le stragi, perché, nell’attentato del 2006, non ci furono vittime, morti e feriti. Il tema è quello della «lieve entità» per Cospito. Ma il pescarese ha una contestazione di «recidiva reiterata specifica» e la legge vieterebbe un bilanciamento e dunque si dovrebbe comunque applicare l’ergastolo. La questione è controversa. Per questo si è deciso di rinviare gli atti alla Consulta per valutare se anche nel reato di strage politica debba operare il divieto di bilanciamento. Se fossero concesse le attenuanti, la pena resterebbe tra i 21 e i 24 anni. Per ora, il processo è sospeso.

Spiegata nel dettaglio la (complicatissima) vicenda, che pensarne?

Conviene, come si diceva, distinguere i piani

1. Piano umanitario. Alfredo Cospito è un detenuto. Come tutti i reclusi, è affidato allo Stato. Che lo punisce, ma è custode del suo corpo e garante dei suoi diritti. Da 103 giorni Cospito è in sciopero della fame.Ha perso 40 chili e per il suo medico personale ha bisogno di cure che nel carcere di Sassari non può avere. La questione umanitaria si riassume in una domanda: può uno Stato democratico e decente restare inerte di fronte a un tentativo di suicidio, quale ne siano le ragioni, e non predisporre tutte le cure possibili per una persona in gravi condizioni di salute? L’unica risposta possibile è no, dunque il primo provvedimento necessario è quello di trasferire Cospito in un carcere più adeguato, dove possa ricevere le cure più adeguate. Ieri c’è stato il primo segnale, con il trasferimento al carcere di Opera, che dispone di un padiglione Sai, Servizio assistenza intensificata. Ma è sufficiente? La seconda domanda che bisogna farsi è se il regime di carcere duro, 41 bis, sia compatibile o meno con le sue condizioni di salute. Non è una domanda politica, né ha a che fare con la legittimità in astratto o in concreto della misura, ma solo umanitaria.
2. Piano politico Cospito è politicamente indifendibile. Ha gambizzato una persona e minacciato una strage. Non importa che, non esistendo il reato di mancata strage, la qualifica giuridica sia stata «strage» anche in assenza di vittime. I suoi legali, e molti suoi difensori d’ufficio, spiegano che quelli erano «attentati dimostrativi, fatti di notte, in luoghi deserti, che non dovevano fare né morti né feriti e non ne hanno fatti». Ma omettono di spiegare che i due ordigni di Fossano erano posizionati con la tecnica del richiamo e programmati per esplodere in differita, a mezz’ora di distanza l’uno dall’altro. Contenevano mezzo chilo di esplosivo nel quale erano immersi bulloni. Qualcosa di molto lontano da un attentato «dimostrativo», visto che ipoteticamente, dopo il primo scoppio, potevano accorrere giovani carabinieri che sarebbero stati colpiti dalla seconda esplosione. La rivendicazione, poi, faceva riferimento alla strage dei carabinieri a Nassirya.
Altrettanto indifendibili sono le proteste violente di alcuni gruppi, che stanno lanciando molotov e incendiando auto. Indifendibili e controproducenti. Perché consentono una risposta che rischia di frenare una svolta positiva del caso. Ed è quella del governo, la «linea della fermezza» (anche se Moro e le Br qui non c’entrano nulla): non si tratta con la violenza, lo Stato non scende a patti con i terroristi e con chi minaccia. Bisogna aggiungere che, a rigore, non si tratta di terrorismo e che la violenza si limita alle cose, fortunatamente. Sono danneggiamenti, devastazioni. Fatti gravi, da punire, ma non insurrezione contro lo Stato. Salvo prova contraria, che speriamo non arrivi mai, non c’è un reale allarme terrorismo o sovversione. Scrive Mattia Feltri: «La presa di posizione del governo è politicamente una sventatezza perché riconosce un ruolo agli anarchici più esagitati, perché non risolve ma accentua le preoccupazioni di ordine pubblico e perché qualsiasi decisione più favorevole per Cospito fosse presa dalla Cassazione o dall’amministrazione penitenziaria verrebbe visto come un cedimento dello Stato».
3. Piano giudiziario L’applicazione del 41 bis a Cospito è molto contestata e pare a molti abnorme. Innanzitutto perché, come ricorda lo storico Gianfranco Ragona all’Huffington Post, i gruppi anarchici non hanno gerarchie, sono spesso sigle che nascono e muoiono in fretta, animate da cani sciolti, senza capi, senza esecutori. Per il 41 bis sono stati citati cinque recenti attentati e due associazioni che sarebbero in stretta connessione con Cospito: il centro sociale Bencivenga Occupato di Roma e il Circolaccio Anarchico di Spoleto. Ma alcune sentenze, a Perugia e della corte d’Assisi di Roma, hanno escluso associazioni con queste finalità sia a Roma che a Spoleto. Difficile dunque contestare al detenuto pescarese anarchico di essere il «capo» di un’organizzazione che non c’è. Secondo il difensore, in questi attentati è stato utilizzato «il metodo Fai» come un marchio a licenza libera, ma nessuno di questi è riconducibile «all’associazione Fai, che ha smesso di operare nel 2012».
4. Piano dei diritti In questi giorni, alcuni difendono la linea dura sul carcere con la motivazione che allentarla vorrebbe dire darla vinta alla mafia (vedi Messina Denaro) o ai violenti (vedi Cospito). A parte il livello molto diverso di pericolosità dei due soggetti, bisogna ricordare che l’umanità e la ragionevolezza giuridica non rendono debole uno Stato, semmai lo rafforzano. L’assenza della pena di morte non è un favore a Riina. L’abolizione di quella tortura legale che è il carcere ostativo non sarebbe un favore alla mafia, ma allo Stato di diritto. Si può discutere sull’opportunità di mantenere forme più rigide di reclusione, per debellare fenomeni organizzativi mafiosi e terroristi. In presenza di timori concreti e attuali, lo Stato ha il diritto di tutelarsi. Ma non può usare il carcere duro come forma di ritorsione o di aggravamento della pena e non si può allargare a dismisura: oggi i detenuti al 41 bis sono 750.
Il garantismo, l’umanità, il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo non sono un cedimento a nulla. Sono una conquista della civiltà e della politica, la miglior risposta all’imbarbarimento mafioso o sovversivo. E come scrive ancora Mattia Feltri: «Se per disgrazia Cospito morisse, sarebbe il disastro per tutto il sistema: gli oppositori muoiono in carcere nella Russia di Vladimir Putin o nell’Iran di Alì Khamenei, non nelle democrazie liberali occidentali».
***
da www.huffingtonpost.it
30 Gennaio 2023

Cospito.

Un capolavoro italiano in sette errori

di Mattia Feltri
Dal 41bis alla nerboruta dichiarazione di ieri del governo: come siamo riusciti a trasformare un caso in una emergenza dalla quale uscire indenni è ormai quasi impossibile
Riuscire a trasformare in emergenza il caso dell’anarchico Alfredo Cospito è un capolavoro italiano costruito in sette errori.
Primo errore. Il 41bis, il regime del carcere duro, da provvedimento emergenziale – ai limiti della costituzionalità e forse oltre – è diventato provvedimento ordinario, ormai dalla vita ultratrentennale e applicato con qualche disinvoltura. Infatti oggi i detenuti al 41bis sono molti, circa settecentocinquanta, in gran parte mafiosi, alcuni terroristi e poi Cospito, primo anarchico per il quale si è ritenuto necessario il provvedimento, congiunto all’ergastolo ostativo, pena che, per un attentato senza vittime, appare di sproporzionata severità.
Secondo errore. Cospito è finito al 41bis per la corrispondenza dal carcere con giovani compagni di anarchia. Nelle lettere si parlava anche del ricorso alla violenza ma non è che Cospito indicasse obiettivi e fornisse istruzioni: era un dibattito filosofico, diciamo così, e infatti le lettere sono state pubblicate su alcune riviste anarchiche. Non erano i pizzini di Bernardo Provenzano. È stupefacente che il ministro della Giustizia del governo Draghi, Marta Cartabia, una apertamente critica col sistema penitenziario italiano, abbia autorizzato il carcere duro.
Terzo errore. Da mesi sui giornali si susseguono appelli con cui si invitava il governo precedente e si invita l’attuale a riconsiderare l’abnormità del 41bis per Cospito, ma né il governo precedente né l’attuale l’hanno mai ritenuta una questione degna di riflessione, e lo diventa soltanto ora che rischia di evolvere in un problema di ordine pubblico.
Quarto errore. La presa di posizione di ieri del governo di Giorgia Meloni è inutilmente drastica e bellicosa (“lo Stato non fa patti con chi ci minaccia”), politicamente una sventatezza perché riconosce un ruolo agli anarchici più esagitati, perché non risolve ma accentua le preoccupazioni di ordine pubblico e perché qualsiasi decisione più favorevole per Cospito fosse presa dalla Cassazione o dall’amministrazione penitenziaria (compreso il trasferimento a Opera di cui abbiamo dato notizia) verrebbe visto come un cedimento dello Stato.
Quinto errore. Dalla nota di Palazzo Chigi alle interviste ai sottosegretari alla Giustizia alle dichiarazioni di titolari di altri ministeri e di leader e semi leader politici, tutti stanno parlando tranne il titolare a parlarne: il ministro Carlo Nordio. Il quale può parlarne o non può parlarne, è sua facoltà, ma un caso serissimo si è tramutato nella solita palestra per body builder della propaganda.
Sesto errore. Dopo i body builder arriva la burocrazia. La Cassazione decide di anticipare ai primi di marzo, dai primi di aprile, l’udienza per rivalutare il 41bis per Cospito. Ma in questa situazione, quasi quaranta giorni di attesa continuano a essere un’enormità.
Settimo errore. È quello non ancora commesso. Ma se per disgrazia a Cospito cedesse il cuore, cioè morisse in carcere in seguito allo sciopero della fame, sarebbe il disastro per tutto il sistema, perché gli oppositori muoiono in carcere nella Russia di Vladimir Putin o nell’Iran di Alì Khamenei, non nelle democrazie liberali occidentali.
***
da www.huffingtonpost.it
30 Gennaio 2023

“Gli anarchici non hanno capi,

non sono terroristi né mafiosi.

Cospito è al 41 bis per errore”

di Federica Olivo
Intervista al prof. Gianfranco Ragona, esperto di anarchismo: “Alfredo non interromperà lo sciopero della fame. Il governo? Manca l’onestà intellettuale di riconoscere il 41 bis come un vero problema, anche per l’uso politico a cui si presta”
“Cospito è stato messo al 41 bis partendo da una concezione errata: che sia un capo, un dirigente di una qualche formazione anarchica verticistica, che mandi ordini dal carcere. Cospito non è questo, e l’anarchismo, per sua natura, è un fenomeno molto diversificato, pluralista, che non ammette capi, né strutture rigide . Poi il detenuto in questione ha compiuto atti discutibili e in effetti molto discussi nello stesso mondo anarchico, che in gran parte non condivide quelle linee. Che, attenzione, comunque non sono ascrivibili al terrorismo, almeno per come lo abbiamo conosciuto”, Gianfranco Ragona è uno storico esperto di anarchismo. Insegna Storia del pensiero politico a Torino e ha scritto vari libri sul tema. Gli abbiamo chiesto di spiegarci il mondo dell’anarchia. Partendo dal caso dell’anarchico in sciopero della fame da 103 giorni contro il 41 bis e andando oltre.
L’attività anarchica di Cospito non può essere paragonata al terrorismo, dunque. Perché?
Se non in pochi casi, e per brevi periodi, l’attività degli anarchici non è mai stata di natura violenta e in particolare terroristica. Prendiamo il caso di Cospito: il reato che gli viene contestato nell’ultimo processo (l’apposizione di un ordigno, di notte, davanti a una caserma di allievi Carabinieri, ndr) non ha prodotto vittime, né feriti. Soprattutto, non si tratta di un reato commesso nell’ambito di un’organizzazione strutturata, verticistica, o con una strategia unitaria di sovvertimento. Gli anarchici, è vero, lottano, si aggregano, e pagano per questo. Ma non hanno nulla a che spartire con forme di terrorismo.
Lottando, però, alle volte commettono reati. E Cospito ne ha commessi. Al di là della vicenda umana, del fatto che la Corte d’Appello ha chiesto alla Consulta di valutare se sia proprio necessario un ergastolo per una strage che non produce vittime, né feriti, né danni, e dell’eccessiva durezza del 41 bis, questo elemento va tenuto a mente.
Certo. Chi commette reati viene indagato e poi processato per questo. Ma qui abbiamo un problema diverso.
Quale?
Il problema è come vengono qualificati questi reati. Sempre più spesso, quando si tratta di azioni commesse dagli anarchici, vengono contestati reati associativi. Quel reato, cioè, si considera commesso all’interno di un’associazione che ha come scopo quello di attentare alla sicurezza dello Stato. Ci sono stati tanti casi di anarchici condannati a pene fino a 20 anni, perché l’impianto contestato era quello di un reato associativo. Ma se l’associazione in questione non esiste, allora abbiamo un problema. Ecco, non c’è dubbio sul fatto che i magistrati debbano perseguire i reati, ma se si aggrava il tutto rendendolo un reato associativo, come se si trattasse di un’associazione mafiosa o terroristica, si va fuori strada.
Perché è un modo di procedere così errato?
Se riduciamo una corrente politica come l’anarchismo a un fatto di criminalità organizzata commettiamo un errore gravissimo. Se non riconosciamo la legittimità dell’esistenza delle forme di dissenso, anche delle più critiche, ne va della nostra coscienza democratica. A me sembra che, soprattutto attraverso alcuni tribunali, si stia procedendo a una subdola criminalizzazione del dissenso. Ma senza il riconoscimento dell’altro cosa rimane della nostra democrazia?
Si tratta, però, di un “altro” che fa paura a chi associa l’anarchia solo ed esclusivamente a un problema di ordine pubblico. Alcuni giornali ieri parlavano di “ritorno degli anarchici”. La domanda è: se ne sono mai andati?
I movimenti anarchici non sono mai scomparsi, per il semplice motivo che la nostra modernità è fatta di tre principali correnti di pensiero: il pensiero liberale, il pensiero socialista e il pensiero libertario. Ecco, l’anarchia fa parte della nostra modernità. C’è stato un momento di cesura, molto risalente nel tempo: la guerra di Spagna. Prima di quel conflitto, gli anarchici avevano un’organizzazione e il loro pensiero politico era egemone in alcune zone della Spagna. Dopo aver subito una grave sconfitta – che è stata la sconfitta di tutto il mondo democratico – l’anarchismo ha cambiato volto, è diventato un modo di vivere, una dimensione esistenziale, che non ha una organizzazione vera e propria, unica e unitaria (ma in effetti non ne ha mai sentito il bisogno). Anche per questo credo che non si debba parlare di galassia anarchica: è un’espressione confusa. Segnalo, peraltro, che molti anarchici sono pacifisti, anche per questo prima ho detto che non tutti condividono azioni violente.
Ci parla dell’organizzazione, o presunta tale, di cui farebbe parte Cospito?
Anche qui, la premessa è doverosa. Una cosa è la Fai, intesa come la federazione anarchica italiana. Si tratta di un soggetto che ha centri di aggregazione, socialità, case editrici, giornali, ecc. Un movimento politico e culturale. Altra cosa è la Fai intesa come federazione anarchica informale, in nome della quale sono state compiute azioni come il rilascio di pacchi bomba, e alla quale farebbe capo Cospito. Bene: questa federazione non esiste come organizzazione in sé. Si tratta di una sigla a cui può richiamarsi chiunque. E questo rende le cose più complicate, anche per quanto riguarda l’applicazione del 41 bis. Perché, lo voglio ripetere, parliamo di forme di organizzazione informale, di gruppi di affinità non istituzionalizzati. Ritenerle organizzazioni criminali, con un vertice e dei sottoposti, ci porta fuori strada.
Prima ha fatto un cenno storico a un modo di intendere l’anarchia che non esiste più. Chi sono, invece, gli anarchici oggi?
Non esiste un prototipo. In passato erano stati fatti degli studi secondo cui la maggior parte degli anarchici appartenevano alla classe degli artigiani,i cosiddetti produttori. Andando ad approfondire, però, abbiamo capito che l’anarchismo italiano si è diffuso anche e forse soprattutto tra i ceti popolari. In alcuni casi si parla di anarchismo istintivo, dettato da una disaffezione alla politica che a ben guardare non è un semplice rifiuto, ma una forma di dislocamento del politico. Ecco, gli anarchici stanno là. Li vediamo in prima fila, ad esempio, nelle proteste contro il modo in cui il nostro Paese tratta i migranti. Certo, lo fanno con delle bandiere, delle parole d’ordine cui non siamo abituati, ma che colgono nel segno. Peraltro, quello dei migranti è un problema che ci riguarda, non dimentichiamo mai che siamo sotto la lente di vari organismi internazionali. Ancora, troviamo gli anarchici – non da soli – nelle lotte contro l’emergenza abitativa. Storicamente, poi, gli anarchici hanno un’avversione contro il carcere in generale. Anche qui, parliamo di un problema reale: sarà normale che ancora esistano le carceri minorili? Si tratta di una crisi che va affrontata.
Dall’avversità per il carcere in genere nasce la protesta di Cospito contro il 41 bis. Una lotta che lui dice di sostenere non solo per se stesso ma per tutti i detenuti.
L’esempio del 41 bis è eclatante. Nel nostro Paese succede che una misura di carattere eccezionale diventi la normalità. Così è stato con il 41 bis, che è stato implementato in un momento di crisi, in cui la mafia rappresentava un pericolo notevole. Via via, è stato applicato in maniera sempre meno eccezionale. In tutto questo ci si è dimenticati, però, che la mafia non si combatte solo con la repressione.
Il 41 bis può essere applicato anche ai terroristi. Cospito è il primo anarchico cui viene assegnato il carcere duro. La sua storia servirà, se non altro, a fare un ragionamento sul modo in cui si utilizza il 41 bis?
In un momento in cui questo istituto dovrebbe essere comunque messo in discussione, gli anarchici ci hanno messo di fronte a un problema reale. Io credo che, comunque la si pensi, il caso Cospito ha messo un dito nella piaga. E deve farci riflettere sul tema del 41 bis, ma anche sul tema della repressione più in generale. Io vivo a Torino e ho visto una mia studentessa, che istintivamente aveva provato a difendere un’amica che la polizia stava portando via dopo alcuni scontri, condannata a 6 mesi di carcere. Queste cose devono farci riflettere.
A proposito di repressione, il governo, dopo gli atti dimostrativi davanti alle ambasciate e contro le stazioni di Polizia, ha annunciato la linea dura. Si parla dell’ordine pubblico, si dimentica la vicenda umana di Cospito, che rischia di morire. Come se lo spiega?
Provando a guardare le cose dal punto di vista dell’esecutivo, sicuramente al governo può essere utile trovare un nemico ideale. Perché così può confermare delle scelte già fatte o uscire da qualche impasse.
Come immagina evolverà la vicenda di Cospito?
Non credo che lui retrocederà dal suo proposito di non alimentarsi più e, umanamente, non posso non notare quanto enorme e straordinario sia il coraggio di rinunciare alla propria vita per un principio. Quanto al governo, non credo sarà in grado di intervenire: qui manca il coraggio di un intervento. E, forse, manca anche l’onestà intellettuale di riconoscere il 41 bis come un vero problema, anche per l’uso politico a cui si presta.
***
da www.huffingtonpost.it
30 Gennaio 2023

Tutti i motivi per mettere in discussione il 41 bis

(anche prima del caso Cospito)

di Stefano Anastasia
Persone sottoposte a un regime di sostanziale isolamento per dieci, venti, trenta o più anni; l’immiserimento di ogni possibilità di relazione affettiva; le innumerevoli vessazioni cui coloro che ne sono destinatari sono costretti in virtù di leggi, circolari e prassi su cui le Corti superiori sono interpellate, mancando la fonte legislativa da impugnare
L’aggravarsi delle condizioni di salute di Alfredo Cospito ha finalmente richiamato l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica. Si intrecciano, in questa vicenda, almeno tre questioni distinte, e ciascuna merita di essere adeguatamente affrontata. Innanzitutto, soprattutto ora, quando la forma di protesta consapevolmente scelta da Cospito lo ha portato alla soglia di conseguenze irreversibili, c’è la questione della tutela della sua vita e della sua salute.
Subito dopo c’è la legittimità del provvedimento di applicazione del regime di 41bis e della sua perdurante attualità. Infine, c’è la questione dello stesso regime del 41bis, che è la motivazione originaria della protesta di Cospito. Tutte questioni che meritano risposte adeguate nel merito e nei tempi. E preliminarmente va detto che azioni violente contro cose o persone che a qualsiasi titolo rappresentino l’autorità pubblica non solo sono condannabili in se stesse, in quanto riproducono quella violenza che vorrebbero contestare, ma non aiutano a risolvere nessuno dei tre problemi in cui si sostanzia il caso Cospito e anzi sono palesemente controproducenti, come dimostra la chiusura a riccio del governo dopo i fatti di sabato a Roma e davanti alle sedi diplomatiche all’estero. Chi intende sostenere la causa della salute di Cospito, la sua liberazione dal regime cui è sottoposto o la sua battaglia contro il 41bis dovrebbe quindi evitare di dare argomenti contrari a ogni soluzione di ciascuna delle tre questioni poste dallo sciopero della fame di Alfredo Cospito.
Innanzitutto bisogna ricordare che lo Stato, e specificamente l’Amministrazione penitenziaria, è responsabile delle condizioni di vita e di salute di Alfredo Cospito. Non certo della sua volontà di condurre il suo sciopero della fame anche fino alle estreme conseguenze (volontà che non può essere coartata o negata), ma della necessaria assistenza quali che siano le sue condizioni di salute. Come ripete da giorni il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, Cospito va immediatamente trasferito dove può essere adeguatamente assistito nell’aggravamento progressivo delle sue condizioni. E forse ormai il semplice trasferimento in un altro carcere più attrezzato di quello di Sassari (per mezzi interni e per collegamento con strutture esterne) potrebbe non essere più sufficiente. L’Amministrazione penitenziaria, dunque, deve valutare anche la possibilità di trasferire Cospito in un luogo di cura adeguato: non sarebbe la prima volta per un detenuto in 41bis, se è necessario si faccia subito.
Distinta dalle sue condizioni di salute, c’è la questione della legittimità dell’applicazione del 41bis a Cospito. È pendente il giudizio della Cassazione sulla decisione con cui il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto legittimo il decreto ministeriale di disposizione del regime speciale al militante anarchico. La difesa di Cospito ha peraltro portato nuovi argomenti contro l’applicazione del 41bis nel caso specifico, alcuni di essi anche desunti dalla stessa sentenza di condanna, che riconosce la struttura acefala dei movimenti anarchici e dunque l’impossibilità di riconoscere in Cospito il capo di un’organizzazione criminale, presupposto dell’applicazione del 41bis che, ricordiamolo, non riguarda gli associati alle organizzazioni criminali, ma solo coloro che si ritiene possano dare ordini a gruppi attivi all’esterno. L’emergere di nuovi argomenti contro l’applicazione del regime di 41bis a Cospito giustifica anche il riesame del provvedimento da parte del Ministro in carica che può sempre revocare atti di propria disposizione, e questo – giustamente – ci si aspetta ora dal Ministro Nordio: che non si trinceri dietro formalismi interpretativi e si prenda le sue responsabilità nel caso concreto.
Infine c’è la questione del regime previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario, dalle sue circolari applicative e dalle prassi in cui si sostanzia che, ricordiamolo, è la motivazione originaria della protesta di Cospito, non per sé, ma per tutti. Avendo esperienza di visite nelle sezioni di 41bis e di interlocuzioni con le persone che vi sono detenute, con i loro familiari e avvocati, posso dire che si tratta di un regime terribile, ma la Corte costituzionale, la Corte europea dei diritti umani e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura lo hanno più volte giudicato legittimo, e dunque compatibile con il divieto di trattamenti degradanti o contrari al senso di umanità. Ma ciascuno di questi pronunciamenti ha posto o ha chiesto dei limiti al 41bis, invocandone la provvisorietà, la rivedibilità, la limitazione alle misure strettamente necessarie all’interruzione dei rapporti con l’esterno, la garanzia dei diritti umani fondamentali che vanno riconosciuti a ciascuna persona, anche in stato di detenzione, anche per fatti gravissimi, anche se costituiscono un pericolo per la società esterna. Questo prevede un ordinamento fondato sulla universalità dei diritti umani e sulla sottoposizione di ogni potere alla legge, alla Costituzione e alle Convenzioni internazionali.
Dunque, non è del 41bis in astratto che si può discutere, ma della sua attuazione concreta: delle persone sottoposte a un regime di sostanziale isolamento per dieci, venti, trenta o più anni; dell’immiserimento di ogni possibilità di relazione affettiva; delle innumerevoli e inutili vessazioni cui coloro che ne sono destinatari sono costretti in virtù di leggi, circolari e prassi su cui le Corti superiori sono interpellate, spesso senza poter dare risposte, mancando la fonte legislativa da impugnare. Addirittura il giudicato dei magistrati di sorveglianza viene sistematicamente disatteso, se non obbligato da un successivo giudizio contro l’inazione dell’Amministrazione penitenziaria.
Di tutto questo si può e di deve discutere. Non per cedere a ricatti, come qualcuno dice per sottrarsi alle proprie responsabilità, ma perché lo hanno chiesto nelle loro deliberazioni il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, il Garante nazionale delle persone private della libertà, la Commissione diritti umani del Senato e finanche la Corte costituzionale, quando ha legittimato il 41bis nella misura in cui anche i detenuti a esso sottoposto siano destinatari dell’offerta trattamentale per il reinserimento che spetta a tutte le persone detenute in virtù dell’articolo 27 della Costituzione. Di questo, dunque, si discuta, anche nelle sedi deputate, sulla base della copiosa documentazione istituzionale sulle storture e i limiti dell’applicazione concreta del 41bis.

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Fino a prova contraria, la prigione è già una punizione perché priva della libertà. Non riesco a capire perciò il motivo per cui, se non in casi realmente eccezionali e di pericolo reale per lo stato e la cittadinanza, debba diventare uno strumento di ritorsione e di tortura, contravvenendo al principio di equità della pena. Di questo passo è facile trasformare la democrazia di uno stato di diritto a quello sciagurato di polizia.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*