
da la Repubblica
28 SETTEMBRE 2025
Flotilla, Marco Tasca:
“Nonostante i rischi le barche
devono andare avanti.
La Chiesa è vicina agli attivisti”
di Erica Manna
“Mattarella fa bene a tutelare i cittadini ma penso serva un segnale forte di umanità”
Ha organizzato una veglia di preghiera nella cattedrale di Genova, mentre la città che ha raccolto oltre cinquecento tonnellate di aiuti ieri sera è tornata a marciare con fiaccole e bandiere palestinesi, per Gaza e a supporto della Global Sumud Flotilla: «I fratelli e le sorelle della Flotilla sono operatori di pace e devono sentirsi sorretti — spiega a Repubblica l’arcivescovo di Genova Marco Tasca, che il 30 agosto aveva fatto benedire le prime barche partite dal porto — non soli o abbandonati, come se stessero combattendo una battaglia persa. Devono sapere, invece, che la Chiesa è vicina: vi vuole bene, vi stima, vi apprezza».
Arcivescovo, il cardinale Matteo Zuppi è in campo come mediatore, per far sbarcare la Flotilla a Cipro: anche lei pensa che la missione dovrebbe accettare questo compromesso?
«Io mi sento diviso, è faticoso decidere cosa fare. E mi chiedo: qual è la cosa più utile per la gente a Gaza? Ma nel mio cuore io direi: andiamo avanti. Perché è importante dare un segno. In un momento così grave, in cui vediamo che stanno compiendo il male del mondo su gente inerme, su donne e bambini, la simbologia è importante. E noi dobbiamo dare dei segnali. La missione della Flotilla ha proprio il merito di aver reso evidente la follia di quello che sta accadendo a Gaza».
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha chiesto agli attivisti di non mettere a rischio la loro incolumità, di accettare la mediazione: lei dunque non è d’accordo?
«Il presidente ha forse altri elementi che io non ho, e per lui è un dovere tutelare i cittadini. Ma io, da cittadino, dico: ci vuole un segno forte, bisogna andare avanti. Anche con i rischi. E i fratelli e sorelle della Flotilla sono coscienti dei rischi che stanno correndo».
La piazza di Genova spazia dai portuali alla Chiesa, dalle organizzazioni umanitarie agli studenti: una mobilitazione dal basso che la politica non riesce a intercettare?
«È così. Eppure sono valori così evidenti. Ma in questo nostro mondo o sei con me o sei contro di me, c’è una polarizzazione che è fuori dalla grazia di Dio. Organizzo la veglia? Mi criticano. Non la organizzo? Anche. Qualsiasi cosa fai, contestano. È assurdo: esasperare le differenze non aiuta niente e nessuno, serve solo alla gloria personale. Eppure è più semplice: mettere insieme è una fatica. Ma è una fatica che i politici dovrebbero fare».
Cosa può fare la Chiesa?
«Ha il dovere di esserci, di fermarsi a pregare: la nostra infatti è una veglia ecumenica, non solo per i cattolici. Seguo l’insegnamento degli ultimi due papi, e non solo loro. Pensando anche alle parole di san Massimiliano Kolbe, martire cristiano morto ad Auschwitz: il male distrugge, solo l’amore crea».
L’organizzazione umanitaria Music for Peace, che ha organizzato la raccolta di aiuti e sta lavorando per far arrivare 300 tonnellate di pacchi attraverso un corridoio di terra, ha denunciato la scioccante richiesta israeliana: togliere biscotti e miele “perché troppo energetici per donne e bambini”. Cosa ha pensato?
«Disgustoso. Disumano. L’invito è a essere più umani: sentire ancora la vita degli altri, averla a cuore. L’opinione pubblica, dal basso, ha iniziato a esprimere sempre di più la propria indignazione».
Perché c’è voluto tanto?
«Siamo assuefatti alla guerra, credo. E piano piano si parla anche con nonchalance di armi atomiche, di droni che sorvolano. Ci siamo assuefatti a un certo linguaggio, ai numeri dei morti. Ed è terribile. Si sta poi esasperando l’individualismo, che è una caratteristica del nostro tempo. Ma questa esasperazione porta a estreme conseguenze».
Genova, con la battaglia dei portuali contro le armi nei porti e la raccolta degli aiuti, è l’epicentro di questa mobilitazione: che piazza è?
«Bella, pacifica. Veniamo da anni forti: penso al G8, che ha lasciato ferite. Oggi è bellissimo vedere questi uomini e donne. Giovani tutt’altro che apatici. Che dicono: vogliamo esprimere quello che pensiamo. Un segno di maturità e democrazia».
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