Omelie 2018 di don Giorgio: QUINTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

30 settembre 2018: QUINTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Dt 6,1-19; Rm 13,8-14a; Lc 10,25-37
Non se la prendano i liturgisti che hanno scelto i tre brani della Messa di questa domenica, se distinguerò le mie riflessioni in due tronconi, pur conoscendone la loro esplicita intenzione di proporci una Parola di Dio univocamente intesa a parlarci di Legge e di Amore. Ciò è del resto evidente leggendo il brano del Deuteronomio, il brano di San Paolo e la parabola del buon samaritano.
“È ormai tempo di svegliarvi dal sonno”
Vorrei partire dalle parole di San Paolo, quando scrive ai cristiani di Roma: «… è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…», eccetera.
Mi sento, soprattutto oggi, come afferrato da questo invito, tanto più che, a differenza da quanto poi scrive l’Apostolo, la notte non è ancora avanzata, e il giorno non è ancora vicino.
È vero che talora sembra di toccare la speranza di una nuova luce che avanza diradando le tenebre della notte. Ma è anche vero che il giorno subito passa, lasciando il posto ad  un’altra notte di tenebre.
Ci sono momenti storici in cui non c’è distinzione tra giorno e notte, tra luci e tenebre. Il giorno sembra peggiore della notte, se, svegli di dentro, ovvero nel nostro essere interiore, assistiamo ad una macabra danza di spettri che oscenamente danzano, irridendo ogni spirito di libertà.
Ma cosa s’intende per giorno e cosa s’intende per notte? Certo, sono immagini già espressive di luce e di oscurità, ma che tuttavia richiederebbero una spiegazione, anche coraggiosa, per comprendere almeno qualcosa di questo momento storico che stiamo vivendo o, sarebbe meglio dire, stiamo soffrendo sulla nostra pelle.
Solitamente, è più chiaro o più facile dare giudizi sul passato, proprio perché è passato e perciò non ci coinvolge più nel modo passionale (il passato è sempre un freddo ricordo, quando ce ne ricordiamo), ma sul presente sembra quasi che una coltre ci tolga ogni visuale, per non parlare di quella lucida capacità critica che è solo degli spiriti liberi. Ma, dove sono gli spiriti liberi?
Eppure, si cade negli stessi errori. Gli errori del passato tornano sotto vestiti diversi, ma gli errori sono i medesimi, ovvero la radice degli errori è la stessa, la fonte è identica.
Certo, gli errori del passato si coprono ben bene di apparenze, che hanno tutta l’aria di accattivante novità, di seducente progresso, di conquista di diritti che aspettano rivendicazioni, oppure di quella ricerca spasmodica di un qualcosa che, volere o no, ci tocca sempre da vicino, nella nostra realtà esistenziale.
Ma il passato torna in quella menzogna che è presente, da quando Dio ha creato l’essere umano; e il male, o l’”amor sui”, l’amore di se stesso, ha preso il sopravvento.
Che significa allora l’invito di san Paolo: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno”? Come un ordine perentorio, per il fatto che non si può aspettare, altrimenti periremo tutti come gente comatosa in attesa della morte? Oppure va inteso come una constatazione, per il fatto che si fa giorno e bisogna dunque darsi da fare, riprendere il lavoro quotidiano?
Forse l’apostolo Paolo era convinto che effettivamente si stava facendo giorno, e questo per la sua fede nel Cristo che, da quando era risorto in quel mattino di Pasqua, aveva dato origine al nuovo Giorno, il “dies domini”, la domenica.
Ma, con amarezza, dobbiamo constatare che quel Giorno luminoso della Pasqua, durante i millenni del Cristianesimo, è stato quasi soffocato da una spessa coltre di indifferenza e di inettitudine da parte di una Chiesa istituzionale, che non ha ancora saputo riscoprire l’energia vitale di quella Luce del Risorto.
La Luce c’è, ma dove trovarla? Non certo in quel “grosso animale” di cui parlava Platone, da identificarsi in quel mondo sociale, che è un insieme di strutture “carnali”, ovvero di istituzioni politiche e religiose che amano soffocare lo spirito dell’essere umano.
Secondo gli antichi filosofi, ripresi poi dai grandi Mistici medievali, ciascuno di noi nasce con una specie di scintilla divina, però da scoprire, da risvegliare. Ed è qui il nostro impegno di credenti e di cittadini: risvegliare quel Divino che è dentro di noi, ma che è come addormentato, talora in stato comatoso. Noi, invece, credenti e non credenti, siamo preoccupati di accarezzare il grosso animale, ovvero ciò che è puramente esteriore al nostro mondo interiore, ed ecco il lavoro indefesso della politica e della religione nell’ingrossare le strutture, gli organismi, insomma tutto ciò che accarezza ciò che è esterno al nostro essere.
La Legge e il prossimo
Passo ora a dire due parole sulla parabola del buon samaritano. So che meriterebbe una lunga riflessione. Il cardinale Carlo Maria Martini le aveva dedicato la Lettera pastorale per l’anno 1985/86 dal titolo: “Farsi prossimo”. Da leggere e rileggere. È ancora attualissima. La potete trovare su internet. Riporto solo un’osservazione interessante che fa Martini, alla fine della Lettera. «La seconda novità è la sorprendente e rivoluzionaria concezione del prossimo. Solo l’evangelista Luca pone sulle labbra del maestro della legge una seconda domanda: “Ma chi è il prossimo?”. Gesù risponde raccontando la parabola del buon samaritano. Il prossimo non esiste già. Prossimo si diventa. Prossimo non è colui che ha già con me dei rapporti di sangue, di razza, di affari, di affinità psicologica. Prossimo divento io stesso nell’atto in cui, davanti a un uomo, anche davanti al forestiero e al nemico, decido di fare un passo che mi avvicina, mi approssima».
Ma vorrei fare un’osservazione personale, tenendo conto del momento attuale. Forse Martini non si immaginava che saremmo tornati ad una barbarie tale da mettere il prima e il poi, ma il “prima” è il nostro egoismo, e “il poi” è colui che ha bisogno. In questo prima e in questo poi non c’è nulla di cristianesimo, ma direi di più: non c’è nulla di umanesimo.
La mia osservazione è questa: sosterrò sempre l’assistenza agli ultimi, ai più deboli, ai migranti, e arrivo al punto di dire come un prete mi ha confidato: siamo tornati al tempo del fascismo, quando si nascondevano i perseguitati dalla legge. Oggi bisogna nascondere e proteggere i migranti, quelli regolari e quelli senza il permesso di soggiorno. Sono persone! Ma non basta un’ammirevole opera assistenziale: manca in questa società un’opera culturale dei quei valori che partono dal nostro essere interiore. Nel risveglio di questi valori dell’essere sta la vera contrapposizione vincente alla barbarie razzista.

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