Il dopo Angelo Scola

scolaimbe
di don Giorgio De Capitani
Credo che neppure papa Francesco abbia già in meno il successore di Angelo Scola alla guida di Milano, o, se ci sta già pensando, non penso che sia tanto sicuro sulla scelta di un nome che rientri nelle aspettative di una Diocesi che, dopo cinque anni di “vuoto” pastorale, è così amareggiata e disorientata da aggrapparsi ciecamente allo Spirito santo.
E, ogni volta che ci si aggrappa alle sue sottane, lo Spirito sembra divertirsi ora al rialzo e ora al ribasso.
Forse ci voleva anche un “ribasso” per noi ambrosiani, per capire il “rialzo”. Ma il problema siamo anzitutto noi, preti e laici ambrosiani, che ci vantiamo quando la Provvidenza ci manda un grande vescovo, ma non ce ne approfittiamo, continuando imperterriti a vivere al ribasso.
Non saprei come spiegarlo, anche se dentro sento un grande desiderio che le cose possano mutare per il loro verso giusto. D’altronde, so che non basta avere di nuovo un grande vescovo come Martini, se poi lo lasceremo isolato, continuando cocciutamente a restare in una pastorale che non cambia di una virgola o, meglio, prende per novità solo le cose bizzarre o di facciata. In questo, noi ambrosiani siamo particolarmente abili e scaltri.
Abbiamo avuto un grande vescovo come Carlo Maria Martini, e siamo rimasti come prima; abbiamo poi avuto un dignitoso vescovo come Dionigi Tettamanzi, e siamo rimasti come prima; ultimamente, abbiamo avuto un inqualificabile vescovo come Angelo Scola, e siamo rimasti come prima.
Di che cosa abbiamo veramente bisogno per uscire da uno stallo pauroso? Ma… perché noi preti ambrosiani ci lamentiamo? O, meglio, di che cosa ci lamentiamo?
Guardando a ciò che abbiamo attorno a noi, ovvero ai nostri collaboratori, non ci fa paura un laicato solo attivo per pragmatismo, e per nulla maturo nel campo di una fede testimoniata con la vita? 
Una volta c’erano laici dissidenti, che stimolavano i preti a uscire dal clericalismo autoritario; oggi il clericalismo lo trovi nello stesso laicato, la cui unica preoccupazione sembra quella di prendersi un pezzetto di potere, all’interno della comunità parrocchiale.
E allora, che cosa ci aspettiamo? Un vescovo taumaturgico, capace di compiere il miracolo della conversione del clero e della riscossa profetica del popolo di Dio? Oppure, un pastore che sappia rinnovare una pastorale, dove preti e laici collaborino, insieme, per il meglio della crescita della comunità evangelica, all’interno di questa società che non ha solo bisogno di una vera Politica, ma anche di riscoprire quella realtà interiore, da cui potrebbe nascere un mondo nuovo?
Ed è qui che vorrei scommettere le mie attese: un vescovo capace di farci riscoprire quell’essere interiore, che soprattutto noi cristiani, praticoni e manageriali, ci manca così tanto da morire soffocati dal consumismo e dall’efficientismo, pur con mille tentativi di salvarci dall’inferno, ma senza però uscire dal cerchio maledetto.
Abbiamo bisogno di Luce, che illumini il nostro essere. Solo così potrà nascere una nuova pastorale – coraggiosa, profetica e mistica – che sappia unire, lo ripeto, clero e laicato con la stessa passione di guardare al futuro, incidendo però sull’oggi:  sognando in grande, osando senza paura.
Ciò sarebbe impossibile, all’esterno del nostro essere: ecco perché la rinascita anche per la Chiesa milanese dovrà partire dalla fonte, ovvero dall’interiorità più profonda del nostro essere.
Il futuro vescovo di Milano non dovrà essere l’ombra di papa Francesco. Se così fosse, sarebbe la fine di un sogno.

 

1 Commento

  1. GIANNI ha detto:

    Non so chi sarà il prossimo arcivescovo di Milano, nè se progressista o conservatore.
    MA, di certo, sarà difficile che riesca a smuovere qualcosa, che dipendesse dall’intima essenza stessa della religione istituzione e struttura.
    FOsse anche un novello MArtini, sarà pur sempre inserito in un ambito gerarchico ed istituzionale, che difficilmente gli consentirà quegli spazi di apertura che teoricamente potrebbero apparire all’orizzonte.
    Forse, avrà verso i sacerdoti dalla propria arcidiocesi un atteggiamento diverso da Scola, ma poi, alla fin fine, come tipico della chiesa, potrebbe essere che tutto sembri cambiare, perchè nulla cambi.
    Non necessariamente per volere del nuovo arvivescovo, fosse anche un novello MArtini, ma perchè oltre certi limiti di rinnovamento, verrebbe minacciata la chiesa intesa come istituzione e struttura, che si autodifenderebbe, appunto come con papa Bergoglio.
    Martini non era certo un innovatore solo di facciata, eppure cosa cambiò realmente nella chiesa?
    Per avere un cambiamento reale, nella dottrina e nella pastorale, bisognerebbe che qualcuno come MArtini divenisse papa, non cardinale o arcivescovo.
    COmunque, forse, qualcosa sta cambiando.
    Nel caso ad esempio dell’ultima esortazione apostolica, parrebbe che non vi sia più un divieto assoluto di ricevere la comunione, per divorziati risposati, anche se la cosa non è chiarissima.
    Quanto alla prevalenza dello spirito sull’esteriorità liturgica, credo sia tipica un po’ di tutte le religioni occidentali una certa prevalenza della forma, e probabilmente anche nella cultura occidentale, rispetto a quella orientale.
    MA qui il discorso andrebbe lontano, rispetto al tema originario.
    COmunque, un augurio per un arcivescovo migliore,, ma credo che dopo Scola, non sarà difficile, non fosse, magari, che per il fatto di ritornare a qualcuno che non appartenga a nessun gruppo particolare, tipo cl o altri.
    Chissà, come si dice a volte lo spirito santo fa strani scherzi, magari in positivo…….

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