La pancia e… il Pensiero

L’EDITORIALE
di don Giorgio

La pancia e… il Pensiero

Non solo il popolo bue, decerebrato e solo pancia affamata di fieno, ma anche la classe borghese e intellettualoide non si rendono conto della stupidità e della barbarie di un mondo politico, che sembra essersi svuotato di ogni dignità di “essere”.
Ma che cos’è l’essere per l”uomo di Neanderthal”, il cui cervello atrofizzato è chiuso al Pensiero?
Che posto potrebbe avere il Pensiero in un contesto esistenziale, dove valgono solo cose e cose, da consumare e da defecare?
Dicono che anche la defecazione provochi un piacere erotico, e ci credo, visto che fa parte del naturale ciclo biologico degli “uomini di Neanderthal”, che provano piacere nel sentirsi utili a fertilizzare i campi destinati a nutrire i loro ventri.
Come si può negare all’uomo contemporaneo la sua propensione a soddisfare il suo ciclo naturale: cibarsi e defecare per nutrirsi di nuovo di altri cibi prodotti da concimi fertilizzanti?
Anche il Pensiero ha i suoi cicli, ma sono di ben altra natura, se per natura intendiamo (nel suo senso etimologico) “ciò che sta per nascere”.
È il Pensiero ciò che sta per nascere, nel senso dell’essere che si sveglia o si risveglia nella sua realtà più interiore.
Puoi anche prolungare la tua esistenza fisica, nel suo continuo ciclo (mangiare e defecare, per poi di nuovo mangiare ecc.), ma per tutti arriverà il momento in cui l’ultimo atto sarà la defecazione.
Il Pensiero è eternità, perciò solo vita, nella realtà spirituale dell’essere interiore.
Il Pensiero è Spirito che non conosce il tempo: non vive di cibo e di defecazione, ma di quel Divino che si auto-genera nello Spirito.
Certo, anche il Pensiero va nutrito, ma i suoi prodotti sono generazioni eterne, per non dire divine.
È una bella lotta tra il corpo e lo spirito, tra il corpo sociale e la realtà spirituale dell’essere. Oggi, però, la lotta si fa solo all’interno del corpo sociale, tra corpi che si nutrono e defecano per nutrirsi di nuovo, in una drammatica reciproca contesa di rivendicazioni individualistiche.
Si tratta di una lotta di sopravvivenza di corpi che si scannano reciprocamente. Il destino è segnato: il tempo che si prolunga sembra ingannare, ma l’inganno sta nel suo apparente rifiorire in un deserto di scheletri battuti dal vento arido di vita.
Nel passato la lotta era tra il corpo e lo spirito. Ma se il corpo sociale respingeva lo spirito costringendolo alla resa, lo spirito però non respingeva il corpo, ma voleva “animarlo”, dargli vita, restituendogli quelle “possibilità” di pensare anche in quanto corpo.
Il corpo pensa nella sua realtà spirituale. Finché ci sarà un corpo, non potrà non vivere di pensiero, se vogliamo dare al corpo un senso, oltre la sua carnalità putrescente.
2 marzo 2019
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